OGGETTO: Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge n. 335/1995. Soggetti non residenti.
In considerazione delle richieste di chiarimenti da più parti formulate in merito all’obbligo contributivo, nei confronti della Gestione separata, in riferimento ai non residenti, si forniscono le precisazioni che seguono.
L’art. 2, comma 26, della legge n. 335/1995 individua i soggetti tenuti all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata tramite formale rinvio ai percettori di redditi di collaborazione coordinata e continuativa, quali definiti dal Testo unico delle imposte sui redditi. Inoltre, a mente del successivo comma 29, il contributo previdenziale è applicato sul reddito delle attività determinato con gli stessi criteri stabiliti ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, quale risulta dalla relativa dichiarazione annuale dei redditi e dagli accertamenti definitivi.
A sua volta il Decreto ministeriale n. 281/1996 stabiliva, all’articolo 1, che il contributo previdenziale doveva essere applicato sull’ammontare del compenso determinato ai sensi dell’art. 50 (ora art.
54), comma 8, del TUIR e, agli articoli 4 e 5, prevede l’obbligo per i committenti di presentare all’INPS copia dei modelli 770 o di certificazione equivalente.
Discende da quanto precede che i principi che disciplinano l’imposizione della contribuzione previdenziale dei redditi in argomento, allorché percepiti da soggetti non residenti, non possono che essere quelli valevoli, per gli stessi soggetti, ai fini dell’imposizione dell’ Irpef.
A tal riguardo si rammenta che sino al 31 dicembre 2000 la materia era disciplinata dall’art. 20 del TUIR che, nella formulazione anche all’epoca vigente, considerava prodotti nello Stato i redditi di lavoro autonomo dei non residenti allorché derivanti da attività esercitate nello Stato stesso.
Considerato che sino al 31 dicembre 2000 i redditi da collaborazione coordinata e continuativa erano qualificati quali redditi da lavoro autonomo, anche ai fini della contribuzione previdenziale doveva ritenersi vigente, per i collaboratori, il principio della “territorialità”.
Peraltro, la legge n. 342/2000 ha innovato la preesistente normativa qualificando quali redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente i redditi di collaborazione coordinata e continuativa, modificando l’art. 50, comma 8 del TUIR ed inserendo i redditi da collaborazione, tramite integrazione dell’articolo 20 del TUIR, tra quelli che si considerano, comunque, prodotti in Italia se corrisposti da:
· Stato italiano;
· soggetti residenti nello Stato italiano;
· stabili organizzazioni nel territorio dello Stato italiano di soggetti non residenti.
Deve ritenersi, quindi, che nel nuovo contesto normativo i redditi da collaborazione coordinata e continuativa percepiti da soggetti non residenti, nell’attuale qualificazione di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, devono essere considerati imponibili ai fini contributivi se l’attività è svolta in Italia o, comunque, se il committente è italiano.
Tutto ciò premesso si sottolinea che i principi sin qui esposti esplicano la loro efficacia in assenza di una diversa disciplina convenzionale tra lo Stato Italiano e lo Stato estero, così come previsto dallo stesso art. 34 della citata legge n. 342/2000, secondo il quale restano salve le disposizioni riferite ad eventuali convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate tra il Governo italiano e quello di altri paesi.
A tal riguardo, nel rinviare alle singole convenzioni, si fa presente, in estrema sintesi, che quelle stipulate secondo lo schema OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) prevedono che l’imposizione fiscale e, quindi, per quanto sin qui esposto, quella contributiva, avvenga:
- per i lavoratori autonomi, nello stato di residenza del lavoratore estero, a meno che lo stesso disponga abitualmente di una base fissa in Italia (art. 14);
- per gli amministratori, nello stato di residenza della società presso la quale il lavoratore esercita le relative funzioni (art. 16).
Per le figure già definite “atipiche” di collaborazioni coordinate e continuative, e, quindi, per la generalità delle collaborazioni a progetto, non previste dalle convenzioni in argomento, si ritiene che le stesse siano da ricondurre alla disciplina del lavoro dipendente, da assoggettare a contribuzione, in linea di massima, nello Stato in cui l’attività è svolta (art. 15).
Si fa presente, inoltre, che anche il regolamento della Comunità economica europea del 2/12/1996, n. 118/97, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale, prevede che la legislazione applicabile, sia per i lavoratori autonomi che per quelli dipendenti, in linea di principio e fatte salve specifiche eccezioni, è quella dello Stato nel quale è esercitata l’attività.
Le disposizioni della presente circolare devono essere applicate anche ai rapporti non ancora definiti e relativi agli anni 2001 e seguenti, in considerazione delle modifiche introdotte dal citato articolo 34 della legge n. 342/2000 e delle determinazioni in tal senso assunte dal Comitato amministratore della Gestione separata con ordine del giorno del 1° dicembre 2003. Sono abrogate le disposizioni contenute al punto 1. 2 della circolare12 giugno 1996, n. 124.