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Sentenza Corte di Cassazione n° 927 del 16 febbraio 1989
Sezione lavoro: speciali di lavoro - associazioni in partecipazione - lavoro autonomo e subordinato - distinzione
In tema di distinzione fra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell'impresa, la riconducibilita` del rapporto all'uno o all'altro degli schemi predetti esige un'indagine del giudice del merito (il cui accertamento, se adeguatamente e correttamente motivato, e` incensurabile in sede di legittimità) volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo implica l'obbligo del rendiconto periodico dell'associante e l'esistenza per l'associato di un rischio di impresa (non immutabile dall'associante e non limitato alla perdita della retribuzione con salvezza del diritto alla retribuzione minima proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro), il rapporto di lavoro subordinato implica un effettivo vincolo di subordinazione, più ampio del generico potere dell'associante d'impartire direttive ed istruzioni al cointeressato all'impresa.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 21 aprile 1983 i coniugi G.S. e R.S. e i loro figli M., M.P., e A. convenivano innanzi al Pretore di Roma i germani G. e M.L. G., titolari dell'esercizio di bar tabaccheria presso la stazione di Roma/Ostiense, per l'accertamento del diritto alle retribuzioni eque e complete, ex art. 36 Cost. e a termini dei CCNL del settore commercio, nonché alla regolarizzazione delle posizioni assicurative, per il lavoro svolto da G. S. dall'8 novembre 1971, dalla moglie dal 20 luglio 1972 e dai figli da epoche successive, con cessazione al 20 dicembre 1980, data del definitivo licenziamento.
A sostegno delle domande i coniugi istanti assumevano di avere curato completamente il settore tabacchi - valori bollati - dolciumi - articoli vari dell'esercizio dei G. (i quali si occupavano in via esclusiva del bar), alternandosi nell'orario imposto ed avvalendosi della collaborazione dei figli, che era stata richiesta dai datori di lavoro; di essere stati retribuiti solo in forma percentuale con importi mensili dai quali venivano detratti contributi e ritenute fiscali per il S. e solo queste ultime per la S. e che erano maggiorati per il primo degli assegni familiari; che erano state emesse buste paga e pagati contributi previdenziali per il solo S. in ragione di prestazione quale commesso per quattro ore al giorno; di non avere null'altro ricevuto per indennità ed istituti contrattuali.
I convenuti resistevano alle domande, negando, tra l'altro, la sussistenza di rapporti di lavoro subordinato ed affermando trattarsi di associazione in partecipazione. Chiedevano il rigetto delle domande e, in via riconvenzionale, la condanna del S. a pagare la somma di lire 6.371.270, a titolo di saldo d'inventario di fine rapporto.
Il Pretore con sentenza 11/15 ottobre 1984, disattese le pretese di M., M.P. e A.S. per mancanza di prova, di un rapporto di lavoro con i convenuti, dichiarava il diritto dei coniugi ricorrenti a ricevere per gli indicati periodi di lavoro: 1) paghe base, contingenza, scatti EDR propri della categoria C 1 o livello 4 dei CCNL 70, 73, 76, 79 del settore commercio; 2) compenso per lavoro straordinario, notturno festivo a termini degli artt. 29, 36, 37, 38, 41, 43 CCNL 26/6/58 erga omnes ex DPR 2/1/62 n. 481; 3) tredicesime ed indennità di ferie a termini degli artt. 86 e 45 CCNL 1958; 4) indennità di anzianità ex art. 91 CCNL 1958. Dichiarava detraibili da quanto dovuto per le voci suindicate le somme percepite durante il rapporto. Condannava in via generica i resistenti in solido a versare ai due ricorrenti quanto spettante come saldo, al netto altresì di lire 6.371.270, che condannava i ricorrenti a restituire in parti eguali ai resistenti in solido; a corrispondere sul saldo finale, a ciascuno dei due ricorrenti spettante, la rivalutazione ISTAT secondo indici di rivalutazione che indicava per ciascun anno, nonché gli interessi legali sulla sorta rivalutata. Rimetteva le parti a separato giudizio per la determinazione del "quantum". Condannava i resistenti, in solido ed in via provvisionale, a corrispondere ai ricorrenti a titolo di anzianità e di acconto sulle spettanze per 13esima e ferie, già rivalutate le somme secondo l'indice del 20/12/80 e già decontate le quote a debito per riconvenzionale: lire 12.990.447 a G.S. e lire 11.651.051 a R.S.. Condannava i resistenti in solido alle spese. Dichiarava esecutivi infine i capi E ed F della sentenza.
Quest'ultima, appellata dai soccombenti, trovava conferma nella decisione indicata in epigrafe.
Il Tribunale, prendendo in esame i singoli motivi dell'impugnazione, dopo avere rilevato che il primo non conteneva alcuna richiesta di riforma della sentenza impugnata, disattendeva il secondo, escludendo con diffuse argomentazioni che ricorresse nella specie l'asserita associazione in partecipazione, per esservi invece i requisiti tipici del rapporto di lavoro subordinato, consistenti nella subordinazione e nell'assenza del rischio dei prestatori dell’attività personale.
Nel dichiarare infondato il terzo osservava che il Pretore aveva pronunciato nei limiti del domandato, emettendo una sentenza definitiva di accertamento con condanna al pagamento delle somme già certe e di una provvisionale, senza che vi fosse violazione dell'art. 278 cod. proc. civ. per il solo fatto di essere il dispositivo articolato; giudicava assorbito dalle fatte considerazioni il quinto motivo, relativo alla illegittimità della condanna di somme determinate.
Disattendeva poi il quarto motivo d'appello, considerando che il Pretore aveva assunto come parametro, applicando gli art. 36 Cost. e 2099 cod. civ., le retribuzioni previste dalla contrattazione collettiva del commercio ed aveva cosi` fornito le necessarie indicazioni a completamento della condanna generica, mentre non era stata mai in discussione l'insufficienza delle percentuali.
Rigettava infine il sesto perché: "Il Pretore individuo` il carattere retributivo dei crediti attribuiti e decise in conseguenza ritenendo non decorsi i termini di prescrizione. L'accertamento di qualifica incidentalmente operato dal Pretore e` soggetto a prescrizione decennale e dunque anche per il diritto alla qualifica non era intervenuta prescrizione".
M.L. e G.G. affidano il ricorso per cassazione a sei mezzi d'annullamento, ai quali resistono gli intimati con controricorso. V'e` memoria dei ricorrenti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con i primi due motivi i ricorrenti censurano la sentenza impugnata come segue:
Primo mezzo - Violazione degli artt. 2549, e 2552 cod. civ., in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ..
L'esistenza dell'associazione in partecipazione, e non già di un rapporto di lavoro subordinato, si desume dalla deposizione non valutata dal Tribunale del teste S., secondo cui durante le trattative non si parlo` mai di stipendi ed era chiaro che si sarebbe trattato di una forma associativa; dalla prestazione di una cauzione, che non e` possibile imporre ad un lavoratore subordinato; dalle modalità di gestione, posto che gli orari di apertura e chiusura del negozio non erano dettati dai G., ma dall'ACOTRAL, e che con una certa elasticità li osservava il S., non la S; dalla proposizione della domanda anche da parte dei figli dei S., per cui il rapporto si sarebbe instaurato, invece che con persone determinate, con un gruppo familiare, senza peraltro che i predetti figli percepissero mai una qualsiasi retribuzione; dalla costante misura dell'asserito compenso nei lunghi anni del rapporto, dato che una sola volta in tutto il periodo il Monopolio aveva elevato la percentuale dal 6 all'8 per cento e che in tale occasione l'utile del S. venne portato dal 2,50 al 3,50 per cento; dalla piena compatibilità della presentazione dei conti da parte dell'associato, dal momento che solo se ciò avviene l'associante può, a sua volta, presentare il rendiconto di cui all'art. 2552 cod. civ., redigendo in base a detti conti il bilancio; dal reciproco controllo, che e` tipico dell'associazione in partecipazione, in concreto attuato nella specie.
Secondo mezzo - Violazione degli artt. 2549 e 2552, nonché dell'art. 1414 cod. civ., in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.
Dalla istruttoria e` emerso che G. G. non avrebbe potuto far risultare come gestore della tabaccheria il S., essendo vietata la concessione in gestione degli esercizi di vendita di articoli di monopolio; il S. inoltre versava in una situazione economica precaria. Per tali motivi le parti simularono un rapporto di lavoro subordinato, della esistenza del quale il Tribunale avrebbe dovuto trarre la prova da un attento e critico esame (che e` invece mancato) delle deposizioni di S.U, N.S, M., V.B., M.F., C.S..
I due esposti motivi, che per connessione vanno trattati congiuntamente, non sono fondati.
E` necessario premettere che il contratto di associazione in partecipazione, quando l'apporto dell'associato sia costituito dalla prestazione di attività lavorativa, e quello di lavoro subordinato, nelle ipotesi previste dall'ultimo comma dell'art. 2099 cod. civ. di retribuzione collegata agli utili dell'impresa, presentano nella pratica attuazione aspetti coincidenti, posto che le parti possono convenire la partecipazione alle perdite in deroga alla previsione normativa dell'art. 2553 cod. civ. e non può negarsi in testa all'associante un potere di direzione e controllo della prestazione personale dell'associato, potere connaturale al diritto di gestire l'impresa o l'affare (art. 2552, comma primo). Con riguardo poi al contratto di lavoro deve ammettersi un diritto del prestatore al controllo gestorio, pur in assenza di una espressa previsione di rendiconto come dall'art. 2552, ultimo comma, tenuto conto della possibilità di conseguire una retribuzione eccedente quella minima garantita dall'art. 36 cost. Infine il comma secondo dell'art. 2554 fa salva la disposizione dell'art. 2102 sul modo di determinare la partecipazione agli utili spettante al prestatore di lavoro.
Quando le parti abbiano stipulato in modo esplicito un contratto di associazione in partecipazione basato sulla prestazione di attività lavorativa dell'associato, rimane da verificare se la pattuizione non sia diretta ad aggirare il precetto tassativo del citato art. 36.
Se, come nel caso in esame, i termini della pattuizione debbono desumersi invece da dati incerti o discordanti, per quanto riguarda la stipula formale, e soprattutto, quindi, dalla esecuzione data dalle parti al costituito rapporto, si impone da parte del giudice del merito una indagine diretta a cogliere la prevalenza degli elementi che caratterizzano i due contratti (di lavoro subordinato ovvero di associazione in partecipazione) e cioè un effettivo vincolo di subordinazione, piuttosto che un generico potere di impartire direttive ed istruzioni ad un cointeressato all'impresa (v. sent. n° 6750/81, 313/71); la sola eventualità di un rendiconto dovuto con cadenza periodica dell'associante (v. sent. n° 6750/81 cit.); un rischio dell'impresa, che non sia limitato alla perdita, non regolata pattiziamente, della retribuzione (salvo, in ogni caso, il diritto alla retribuzione minima, proporzionata alla quantità e qualità del lavoro), ma sia invece elemento essenziale del contratto, implicante l'obbligo dell'associante di non immutarlo in danno dell'associato (v. sul punto sent. n° 253/62 ed anche sent. n° 32/84).
Ai principi ora esposti appare ispirata la sentenza impugnata.
La motivazione addotta dal Tribunale, che pone in risalto anche
alcuni non controversi aspetti esteriori del rapporto protrattosi per anni tra le parti, e ciò il versamento dei contributi obbligatori in favore del S., l'esistenza di buste paga, la corresponsione degli assegni familiari, la lettera di licenziamento con preavviso, aspetti tutti denotanti la natura di lavoro subordinato in tale rapporto, considera in modo specifico i singoli elementi intrinseci del medesimo, quali risultanti dalla concreta attuazione.In ordine alla subordinazione il Giudice dell'appello rileva che la prestazione delle energie lavorative da parte degli istanti "avveniva nell'ambito delle scelte organizzative tutte adottate dagli appellanti" ed al riguardo sottolinea alcuni dati significativi: "la scelta organizzativa" di affidare l'apertura al pubblico, con orario particolarmente ampio imposto dall'esterno, all’attività in turno dei coniugi S.; la richiesta presenza di uno di questi all'atto di apertura del locale; il completo controllo sui movimenti della merce; la direttiva di non rivolgere la parola a conoscenti ed amici durante la prestazione lavorativa; mentre, ragionevolmente, giudica "neutra" sul piano probatorio la circostanza che il potere gerarchico fosse esercitato con cortesia.
Con riguardo al rischio lo stesso giudice considera, con argomentazione che resiste alle osservazioni critiche contenute nel ricorso, che la rivendita di generi di monopolio con bacino di utenza predeterminato e con cessione di beni di immediato consumo ben può costituire, ai sensi del capoverso dell'art. 115 cod. proc. civ., nozione di comune esperienza da cui desumere l’eventualità di una inadeguatezza del compenso, giammai della sua mancanza
.A confronto di tale assunto e dando risposta alla specifica argomentazione dei ricorrenti, il Tribunale porta poi il suo esame sul problema della dinamica salariale, propria dei rapporti subordinati, per puntualizzare, con attendibile criterio di valutazione, che anche il tasso percentuale di utile che rimanga costante implica variazione dei compensi in aumento per effetto dell'aumento dei prezzi, sui quali la percentuale e` calcolata; e ciò pur senza tener conto della documentata variazione della percentuale sui generi di monopolio, che e` ammessa anche nel ricorso.
Ne` in quest'ultimo si assume, e ancor meno si dimostra, che gli attuali ricorrenti fossero esposti ad altre perdite connesse alle forniture, spese di esercizio o simili.
Infine sull'elemento del rendiconto della gestione, tipico ed essenziale nell'associazione in partecipazione, il giudice di secondo grado pone nel dovuto risalto un aspetto che, pur essendo di determinante portata motiva, non trova nei motivi in esame la necessaria censura e che si fonda sulla distinzione tra "momento di controllo", attuato nella specie con la "quotidianità dei conti", e "momento di bilancio o rendicontazione, che hanno altre più ampie periodicità".
Sul punto adduce anche, con pertinente osservazione (che e` conferente, altresì, in relazione ai primi due elementi della subordinazione e del rischio), che il S. e la S. consegnavano i pezzi e riscuotevano il prezzo, ma le altre attività, implicanti iniziativa e gestione, erano riservate agli appellanti; e cosi` la scelta dei tempi di approvvigionamento, la qualità e tipo delle merci poste in vendita, se non imposte dal monopolio, il sistema di stoccaggio e di prelievo.
Si tratta di una esposizione di ragioni motive logicamente coordinate, sufficienti nella dimostrazione dei punti decisi, non arbitrarie e non inconciliabili con la più gran parte delle settoriali circostanze riferite dai testi richiamati in ricorso, quando queste non contengono apprezzamenti che hanno a ragione, indotto il Tribunale a parlare di "testimoniale anomalo rispetto alle prescrizioni degli artt. 244 e segg. cod. proc. civ.".
Ne` può censurarsi la sentenza per non avere elencato le singole fonti di convincimento e smentito una per una le risultanze disattese e giudicate da altre superate, giacche` il giudice del merito per adempiere il dovere della motivazione deve dimostrare, cosi` come ha fatto il Tribunale, di avere tenuto presenti tutte le emergenze processuali di valore decisorio e di avere operato rispetto ad esse una scelta ragionata al fine della formazione del libero convincimento, senza necessita` di segnalarle e, se disattese, smentirle singolarmente, ben potendo desumersi il processo logico che ha portato alla decisione da valutazioni critiche globali o indirette.
Ciò vale anche per le deduzioni dei ricorrenti relative alle fasi delle trattative e della instaurazione del rapporto, rispetto alle quali - a parte il carattere non determinante delle invocate risultanze probatorie - e` da ritenersi assorbente il rilievo secondo cui gli stessi appellanti non sono stati in grado di rappresentare con chiarezza la realtà economica del rapporto.
Va chiarito infine che la prova dell'associazione in partecipazione, che si vorrebbe trarre dalla proposizione di domande anche da parte dei figli dei coniugi istanti, e` superata dalla reiezione (definitiva) di tali domande da parte del Pretore.
E` noto, d'altra parte, che non e` incompatibile con l'impegno, che il lavoratore subordinato assume di prestare attività lavorativa in favore del datore di lavoro, l'occasionale sostituzione del dipendente da parte di terzi e, in particolare, di persone di famiglia, quando non risulti (e nella specie non e` dedotto) che per espressa pattuizione o per la speciale natura del rapporto la prestazione deve essere resa di persona dall'obbligato.
I primi due motivi debbono essere, per tanto, rigettati.