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LAVORO AUTONOMO E SUBORDINATO

( Cassazione - Sezione Lavoro - Sent. n. 6570/2000 - Presidente R De Musis - Relatore N. Capitanio )

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 22 marzo 1990 S. D. a conveniva in giudizio davanti al pretore di Modena la ( omissis ), chiedendo che venisse affermata la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con essa e che, in conseguenza, venisse affermato il suo diritto a ottenere la regolarizzazione assicurativa e contributiva con condanna della società convenuta al pagamento della complessiva somma di lire 273.574.467, oltre rivalutazione, interessi e spese.

Il D. assumeva di essere stato incaricato, quale responsabile dell'ufficio della società convenuta sito a New York, della acquisizione e conclusione per conto di detta società di contratti di trasporto tra l'Italia e l'America e di avere percepito per l'espletamento di tale attività un compenso annuo di 50 mila dollari Usa, aumentato di 10mila dollari a partire dal 1987.

Il lavoratore aggiungeva che si era dimesso il 30 giugno 1989 senza percepire la promessa buonuscita, corrispondente a cinque mensilità di compenso e a un premio di 72.500 dollari, in quanto la società convenuta si era rifiutata di regolarizzare la sua posizione contributiva.

La ( omissis ) si costituiva eccependo che tra le parti era stato pattuito ed era intercorso un rapporto di lavoro autonomo.

Dispiegava domanda riconvenzionale con la quale chiedeva la condanna del D. al risarcimento dei danni subiti per violazione del patto di non concorrenza.

Con sentenza in data 23 ottobre 1992 il pretore di Modena rigettava sia la domanda principale come quella riconvenzionale e compensava le spese del giudizio.

Il tribunale di Modena con sentenza in data 6 dicembre 1995-22 luglio 1996 rigettava l'appello proposto dal D. avverso la sentenza pretorile, che confermava condannando l'appellante al rimborso delle spese del giudizio in favore della società appellata.

Il tribunale, in particolare, osservava che dall'accordo contrattuale, di cui alla lettera di incarico del 20 marzo 1983, veniva a desumersi che le parti avevano inteso instaurare un rapporto di lavoro non ordinato e che tale caratteristica veniva a desumersi dalle stesse dichiarazioni rese dal D. in sede di libero interrogatorio.

Il giudice d'appello aggiungeva, altresì, che da tutte le deposizioni acquisite, compresa quella della M., non era stato possibile desumere che il rapporto di lavoro nel corso del suo svolgimento, si fosse trasformato da autonomo in subordinato con la soggezione del D. al potere organizzativo e disciplinare della società.

Secondo il tribunale era risultato, invece, che il D. acquisiva contratti di trasporto avvalendosi dei dipendenti della società e della sua filiale di New York, organizzando, però, il suo lavoro in piena autonomia e senza soggiacere al potere direttivo altrui.

Contro la suindicata sentenza il lavoratore propone ricorso per cassazione sostenuto da tre motivi.

Resiste la ( omissis ) con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo dì ricorso il D. denunzia violazione e falsa applicazione dell'articolo 2094 Cod. civ., anche in relazione all'articolo 2697 Cod.civ.

Con il secondo motivo il ricorrente denunzia insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo in ordine alla volontà originaria delle parti sulla qualificazione del rapporto giuridico tra loro intercorso, nonché violazione degli articoli 1362 e seguenti Cod.civ.

Con il terzo motivo. infine, il D. denunzia insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia relativo alla avvenuta realizzazione, in concreto, della subordinazione nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro e omesso esame di documenti decisivi.

I tre dedotti motivi, che, nella sostanza, si concretizzano nell'unica censura dell'omessa individuazione ad opera del tribunale del rapporto di lavoro subordinato nell'attività di acquisizione dei contratti di trasporti tra l'America e l'Italia svolta, dal D. in favore della società ( omissis ), per ragioni di logica connessione vanno esaminati congiuntamente.

La sentenza impugnata muove da questi erronei principi di diritto, attribuiti a questa Suprema corte, secondo cui: a) qualsiasi lavoro potrebbe essere svolto in regime di subordinazione o di autonomia; b) sarebbe la comune volontà delle parti e stabilire se il lavoro viene svolto in modo subordinato o autonomo; c) gli elementi indiziari costituiti dalla fissità e periodicità della retribuzione, la predeterminazione dell'orario l'utilizzo della sede e dei mezzi produttivi del datore di lavoro, ecc. non potrebbero eliminare l'accordo contrattuale e cioè la comune volontà delle parti che abbiano inteso instaurare un rapporto dì lavoro autonomo; d) al di fuori della volontà delle parti, rimarrebbe l'ipotesi di un successivo loro accordo realizzabile anche tacitamente per fatti concludenti, e diretto a modificare nel corso del suo svolgimento l'iniziale rapporto di lavoro autonomo in rapporto di lavoro subordinato. Tali principi di diritto, da cui la sentenza ha preso le mosse sono, invece, erronei e in conseguenza appare fondato il ricorso del D. che si è doluto della loro applicazione, con conseguente erronea valutazione degli elementi di prova, eseguita sulla base di tali principi.

Non corrisponde, intanto, al vero, che non siano ipotizzabili attività lavorative che siano tipicamente subordinate (si pensi ad es., all'attività lavorativa del maggiordomo). Invero, quando questa Corte ha affermato che ogni attività umana può essere oggetto di rapporto di lavoro autonomo o subordinato (v. Cass. 9 giugno 1998, n.5710) ha inteso semplicemente precisare che la natura dell'attività svolta dal lavoratore deve indurre il giudice a ritenere la sussistenza della subordinazione non già in relazione all'oggetto della prestazione lavorativa (ad es. di quella del maggiordomo intesa a esaudire le esigenze personali della persona a cui egli è addetto), bensì in relazione agli elementi tipici della subordinazione, costituiti dall'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale (domestica, commerciale o industriale) del datore di lavoro e dalla soggezione conseguente del lavoratore al potere gerarchico e disciplinare del datore di lavoro (ad es. per il maggiordomo la subordinazione è ravvisabile nel fatto che egli è inserito nell'organizzazione domestica del palazzo signorile ove svolge la sua attività ed è assoggettato alle direttive e alle eventuali sanzioni disciplinari della persona cui egli è addetto).

In altri termini ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato può rilevare il nomen juris utilizzato dalle parti o la loro volontà come risulta dal contratto da esse stipulato, a condizione, però, che tali elementi corrispondano effettivamente al rapporto di lavoro così come si è instaurato e si è svolto con l'avvenuto inserimento o meno del lavoratore nell'organizzazione aziendale del datore e il suo avvenuto assoggettamento o meno al potere gerarchico e disciplinare del datore con conseguente sussistenza o meno del rapporto di lavoro subordinato o autonomo.

Alla luce di tali principi il tribunale avrebbe dovuto esaminare sia le prove documentali come quelle testimoniali e presuntive al fine di accertare se alla volontà delle parti fosse corrisposta la effettività della sussistenza del rapporto instauratosi tra le parti, tenendo presente, ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, che quando l'elemento dell'assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri sussidiari come quello della collaborazione, della continuità della prestazione, dell'osservanza di un orario determinato, del versamento a scadenza fiscale di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto organizzativo del datore di lavoro, dell'assenza in capo al lavoratore di una pur minima struttura imprenditoriale, ecc., elementi, questi, che pur essendo, se singolarmente considerati, sforniti di valenza probatoria decisiva, possono tuttavia globalmente essere assunti a indizi probatori della subordinazione (v. Cass. Sezioni unite, 30 giugno 1999, n. 379).

Il tribunale, invece, con la sentenza impugnata si è limitato ad accertare che dalla lettera di incarico sarebbe risultato che le parti avevano inteso instaurare un rapporto di lavoro autonomo e aveva corroborato tale tesi interpretativa con l'equivoco tenore delle dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio del D. e dalle quali, viceversa, poteva desumersi che le parti avevano simulato un rapporto di lavoro autonomo al fine di consentire al datore di lavoro di eludere gli oneri contributivi.

Decisivo, a questo punto, doveva essere per il giudice di appello l'esame delle prove testimoniali al fine di accertare con quali caratteristiche tra le parti si era instaurato il rapporto di lavoro.

Il proposto ricorso va, pertanto, accolto.

Conseguentemente la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, al tribunale di Reggio Emilia il quale si uniformerà ai seguenti principi: "Ai fini della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e rapporto di lavoro subordinato occorre fare riferimento non già al nomen juris utilizzato dalle parti nella stipula del contratto di lavoro o alla volontà delle medesime risultante dal contratto, bensì al concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro sin dal momento del suo instaurarsi sino a quello del successivo suo svolgimento.

A tal fine, sussiste rapporto di lavoro subordinato se il lavoratore viene inserito nell'organizzazione dell'azienda datoriale e viene assoggettato al potere gerarchico e disciplinare del datore di lavoro, costituendo criteri sussidiari indiziari ai fini della prova della subordinazione, quello della retribuzione prestabilita pagata a scadenze stabilite, quello dell'inserimento della prestazione lavorativa offerta nell'ambito della organizzazione imprenditoriale, quello dell'assenza di una sia pur minima struttura imprenditoriale in capo al lavoratore, tutti elementi, questi, che possono esser decisivi solo se valutati globalmente e non singolarmente".

PER QUESTI MOTIVI

La Corte accoglie il ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, al tribunale di Reggio Emilia.