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I CONTRATTI A PROGETTO DOPO I CHIARIMENTI DEL MINISTERO DEL LAVORO E DELL’INPS
Di: EUFRANIO MASSI
Dirigente della Direzione provinciale del Lavoro di Modena
Uno degli obiettivi perseguiti dal Legislatore attraverso la legge n. 30/2003 e, successivamente, con le norme attuative contenute negli articoli da 61 a 69 del D. L.vo n. 276/2003 è stato quello di “regolamentare” in una qualche maniera il fenomeno delle prestazioni coordinate e continuative, le quali hanno avuto nel nostro Paese uno sviluppo abnorme: basti pensare che sono circa 2.500.000 i lavoratori c.d. “parasubordinati”, residenti, in prevalenza nel Nord, anche se è notevolmente cospicua la percentuali di coloro che operano nelle altre zone.
La riflessione che segue prende in esame i vari argomenti seguendo, in linea di massima, l’ordine di esposizione riportato nella nota amministrativa che si commenta.
Definizione e campo di applicazione
Con la circolare n. 1 dell’8 gennaio 2004, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha dettato le prime modalità operative relative ai nuovi contratti a progetto che nella previsione dell’art. 61, comma 1, rappresentano una modalità di esplicazione di attività autonoma riconducibile a “ uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa”. In sostanza, la nuova norma non ha abrogato le varie fattispecie di lavoro autonomo ma ha inteso disciplinare, in qualche modo, quella caratterizzata dal coordinamento. Infatti, il Dicastero del Welfare ha precisato che il contratto a progetto non esaurisce la vasta gamma della c.d. “parasubordinazione”: infatti, sia l’art. 61 che altre disposizioni escludono dai contratti a progetto una serie di rapporti:
a) le prestazioni occasionali che sono quelle la cui durata complessiva, presso lo stesso committente è soggetta a due limiti: trenta giorni nell’anno solare e 5.000 euro. Esse sono state ritenute dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di “portata” limitata e tale da non necessitare di un progetto. Questi rapporti si distinguono dalle prestazioni occasionali ed accessorie previste dall’art. 70 (di cui si parlerà successivamente) e dalle attività di lavoro autonomo occasionale vero e proprio, alle quali, da un punto di vista contributivo, trova applicazione da 1° gennaio 2004, l’art. 44, comma 2, della legge n. 326/2003. Sul punto, va chiarito che l’INPS, con la circolare n. 9 del 22 gennaio 2004, ha affermato che (ed in ciò si è in linea con l’orientamento ministeriale) nel caso in cui ci si trovi in presenza di una collaborazione coordinata e continuativa (e, quindi, non occasionale) di durata non superiore a trenta giorni ed a 5.000 euro (c.d. “co.co.co. minime”), scatta l’obbligo dei contributi previdenziali nella misura prevista, in via generale, per tutte le collaborazioni coordinate e continuative “ordinarie”. Per queste ultime, il contributo previdenziale è quello della gestione commercianti La differenza, come si vede, la fa l’occasionalità che ha come conseguenza l’esenzione contributiva per il periodo considerato;
b) gli agenti e rappresentanti di commercio che trovano una specifica regolamentazione del loro rapporto in leggi speciali;
c) le professioni intellettuali per il cui esercizio è richiesta l’iscrizione in Albi professionali: la disposizione legislativa fa riferimento agli Albi esistenti alla data del 24 ottobre 2003;
d) le collaborazioni rese a favore delle società sportive dilettantistiche e loro associazioni affiliate alle federazioni sportive nazionali ed agli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI;
e) i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società;
f) i partecipanti a collegi e commissioni;
g) i collaboratori titolari di pensioni di vecchiaia;
h) i soggetti con contratto d’opera disciplinato dall’art. 2222 e ss. c.c. ;
i) le prestazioni di lavoro sportive rese con rapporto di lavoro autonomo ex art. 3 della legge n. 81/1991;
j) le prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti per un massimo di trenta giorni nell’anno solare e 3.000 euro di compenso;
k) i contratti di collaborazione coordinata e continuativa presso le Pubbliche Amministrazioni;
L’elencazione appena evidenziata merita alcune riflessioni sia sulla base delle interpretazioni ministeriali che della normativa di riferimento.
Cominciamo con le prestazioni occasionali per un periodo non superiore a trenta giorni.
E’ indubbio che il chiarimento amministrativo consenta di riferire l’occasionalità e la limitata portata al solo committente cui va riferito il limite massimo. Ciò significa che è possibile nell’anno solare avere più committenti ma che, in caso di superamento dei 5.000 euro di compenso, il lavoratore dovrà essere assoggettato, a partire dal 1° gennaio 2004, al versamento contributivo alla gestione separata, così come previsto dall’art. 44, comma 2, della legge n. 326/2003.
Così come è scritta, la disposizione rischia di rendere difficoltoso l’operato degli organi di vigilanza, attesa la difficoltà di distinguere una vera e propria collaborazione occasionale da un’altra che è solo di facciata (spesso il confine, in taluni settori produttivi ad alto rischio è estremamente labile), anche per il fatto che per le prestazioni occasionali fino a trenta giorni non è prevista alcuna forma comunicativa ai servizi per l’impiego, né alcuna forma di contribuzione. E’ chiaro che in queste ipotesi, soprattutto quando ci si trova di fronte a prestazioni fortemente connotate da manualità, l’eventuale controllo ispettivo dovrà essere particolarmente penetrante, atteso che dovrà essere accertata con una certa sicurezza la presenza degli elementi qualificanti la collaborazione occasionale, la eventuale caratterizzazione di continuità (da cui scaturisce la contribuzione alla gestione separata), nonché, evidentemente i possibili estremi per la configurazione “tout – court” di un rapporto di lavoro subordinato, allorquando siano riscontrabili gli elementi tipici di questo rapporto.
La nuova disposizione riportata all’art. 44, comma 2, della legge n. 326/2003 risolve i problemi della contribuzione oltre i trenta giorni, ponendo a carico del committente (come per le collaborazioni coordinate e continuative) l’obbligo del versamento alla gestione separata (due terzi a carico dello stesso ed un terzo a carico del prestatore). Sull’argomento, anche per una serie di riflessi operativi, dovrà essere chiarito il significato da attribuire alla soglia dei 5.000 euro oltre la quale scatta l’adempimento contributivo: ad avviso di chi scrive, l’adempimento contributivo dovrebbe scattare, al superamento della soglia, soltanto sulla somma ulteriore. Se sarà così , ci sarà, comunque, da risolvere il problema relativo ai precedenti rapporti occasionali per il quali il committente dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) ricevere dal prestatore occasionale una autocertificazione sui precedenti rapporti intercorsi nell’ultimo anno, al fine di valutare se viene superata la soglia per effetto di detta attività.
Vale , poi, la pena di ricordare, per completezza di informazione, la distinzione tra anno solare, da intendersi come periodo compreso tra un qualsiasi giorno dell’anno ed il corrispondente giorno dell’anno successivo ed anno civile (1° gennaio – 31 dicembre).
Per quel che concerne gli agenti e rappresentanti di commercio è fatta salva tutta la disciplina speciale già prevista, tra le quali occorre, innanzitutto, evidenziare la legge n. 12/1973, il D.M. 20 febbraio 1974, il D. L.vo n. 65/1999, il D.L.vo n. 124/1993, oltre che gli specifici accordi di settore che hanno, ad esempio, disciplinato il Fondo Indennità Risoluzione Rapporto (FIRR) e l’art. 413, comma 4, cpc per quel che concerne la individuazione, in caso di controversia di lavoro, del foro competente in quello del domicilio dell’agente all’atto dello svolgimento del rapporto.
Anche per le professioni intellettuali che richiedono, ai fini dell’esercizio, la preventiva iscrizione ad Albi professionali (avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro, ecc.) viene meno l’obbligo del “contratto a progetto”: tuttavia la circolare n. 1/2004 (ma non poteva, sul punto fare altrimenti) ripete quanto già detto dalla disposizione di riferimento, ossia che si deve trattare di un Albo esistente alla data del 24 ottobre 2003. Ciò potrebbe portare in futuro alla non esclusione dalla tipologia del “contratto a progetto” di professionisti che saranno iscritti ad Albi oggi non ancora istituiti.
Un problema che da un punto di vista operativo potrebbe presentarsi è rappresentato dal fatto se l’esclusione dal contratto a progetto dei professionisti iscritti agli Albi sia di carattere generale o soltanto per le attività rientranti in quella professionale. Nulla dice la circolare sull’argomento, anche se il tenore letterale della norma sembra riferire l’esclusione alle sole attività professionali.
La esclusione dalla tipologia dei “contratti a progetto” concernente i collaboratori dei settori sportivi dilettantistici trova, ad avviso di chi scrive, un “pendant” anche nel regime fiscale ove i redditi sono classificati tra i “diversi”. La disposizione introdotta si pone in linea con il “favor” concesso alle società dilettantistiche dall’art. 90 della legge n. 289/2002 (legge finanziaria per l’anno 2003). La stessa Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 21/E/2003 ha chiarito che tali prestazioni sono connotate da continuità nel tempo, da “non professionalità” e da assenza di vincoli di subordinazione.
La circolare n. 1/2004 fornisce un chiarimento estensivo alla disposizione che esclude dai contratti a progetto i componenti degli organi di amministrazione e di controllo delle società (amministratori, sindaci, ecc.), dando una lettura che comprende anche quegli organismi aventi natura tecnica.
Poco da dire sulla esclusione dal contratto a progetto dei partecipanti a collegi e commissioni: si tratta, in questo caso, di organismi il cui compito è strettamente legato al tempo ed alla esecuzione di un compito (talora, anche eventuale) già previsto da una disposizione legislativa, regolamentare o negoziale.
L’esclusione dall’obbligo di redazione di un progetto in caso di prestazione autonoma, coordinata e legata al risultato riguarda anche i pensionati di vecchiaia. Qui la norma si riferisce soltanto ad essi ed esclude altri soggetti in godimento di trattamenti pensionistici come quelli di anzianità o di invalidità o inabilità. Sul punto la circolare n. 1 chiarisce che per costoro, al compimento del 65° anno di età con la trasformazione del trattamento goduto in pensione di vecchiaia, potrà valere lo stesso principio di esclusione.
La nota del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali fa, poi, una riflessione sul contratto d’opera, interessante soprattutto per le considerazioni interpretative concernenti l’art. 69 ove, nella rubrica, si parla di divieto di contratti di collaborazione atipici e di conversione dei rapporti. Ebbene, la circolare ricorda che “nel caso di un prestatore d’opera che superi, nei rapporti con lo stesso committente, uno dei due limiti previsti dall’art. 61, comma 2, del D. L.vo n. 276/2003 (trenta giorni nell’anno solare e 5.000 euro), non necessariamente lo stesso dovrà veder qualificato il proprio rapporto come collaborazione a progetto o a programma, ben potendosi verificare il caso che quel prestatore abbia reso una o più prestazioni d’opera ai sensi dell’art. 2222 e ss. del codice civile”. Per completezza di informazione, va ricordato come tale tipologia contrattuale abbia una propria autonoma configurazione (opera o servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione) anche per quel che concerne l’esecuzione dell’opera, il corrispettivo (se non convenuto dalle parti, va determinato secondo le tariffe professionali o gli usi), la difformità ed i vizi dell’opera, il recesso unilaterale dal contratto e l’impossibilità sopravvenuta nell’esecuzione dell’opera. Una caratteristica che distingue il contratto d’opera, che può avere anche un contenuto intellettuale, dal contratto a progetto è rappresentata dal fatto che le disposizioni contenute nel codice civile non prevedono, necessariamente, una scadenza, sicchè lo stesso può anche configurarsi come un’attività che si protrae nel tempo senza un termine “determinato o determinabile”.
Una ulteriore riflessione la circolare n. 1/2004 la riserva alle ipotesi in cui la prestazione sportiva sia resa da un atleta nella forma del contratto di lavoro autonomo. Qui il riferimento normativo è alla legge n. 91/1981 che, dettando norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti, delinea, in via generale, un rapporto di lavoro subordinato un po’ “sui generis”, con l’esclusione specifica di norme tipiche della subordinazione rinvenibili sia nella legge n. 300/1970 (si pensi, ad esempio, alla non applicazione degli articoli 4, 5, 18) che nelle disposizioni sui contratti a termine. Ebbene, accanto a questa ipotesi generale, la norma prevede un rapporto di natura sportiva (art. 3, comma 2) caratterizzato da autonomia, allorché ricorra almeno uno dei seguenti requisiti:
a) l’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo (es. meetings di atletica leggera);
b) l’atleta non sia vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento;
c) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi le otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese, ovvero trenta giorni ogni anno.
Alla luce di tali indicazioni legislative, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ritiene che, trattandosi di ipotesi tipiche predeterminate, non ci sia “la necessità dell’indicazione di un progetto”.
La circolare n. 1/2004 ricorda come il contratto a progetto non trovi applicazione in alcune prestazioni di carattere accessorio rese da alcuni soggetti predeterminati. Con le disposizioni inserite negli articoli da 70 a 73 del D.L.vo n. 276/2003 il Legislatore delegato ha disciplinato, in via sperimentale, una tipologia contrattuale, di natura non subordinata, in favore di alcuni soggetti a rischio di esclusione sociale o che non sono ancora entrati sul mercato del lavoro o stanno per uscirne. Si tratta di lavori particolari (piccoli lavori domestici, giardinaggio, insegnamento privato complementare, pulizia e manutenzione di monumenti, partecipazione a manifestazioni culturali, sportive, sociali o caritatevoli, lavori di emergenza, ecc.) resi per un massimo di trenta giorni nell’anno solare e per un compenso complessivo, non soggetto ad imposizione fiscale, non superiore a 3.000 euro. La disposizione, che contemplerà, a regime, un sistema di pagamento delle prestazioni e di contribuzione alla gestione separata dell’INPS, attraverso dei buoni acquistati dal datore (valore 7,5 euro) e scambiati presso soggetti autorizzati, si rivolge a casalinghe, studenti, disoccupati da oltre un anno, pensionati, disabili, soggetti in recupero, lavoratori extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia, nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro. La “esiguità” delle prestazioni, la “marginalità” delle stesse, la “predeterminazione” dei possibili fruitori della norma e l’assenza di qualunque prelievo fiscale hanno indotto il Legislatore a tenerle al di fuori di qualunque forma progettuale.
C’è, poi, da fare qualche considerazione sulle collaborazioni coordinate e continuative del settore pubblico: esse continuano, in quanto la nuova normativa non si applica a tale settore e la circolare ricorda come l’art. 86, comma 8, del D. L.vo n. 276/2003 rinvii una futura armonizzazione degli istituti tipici del pubblico impiego ad un momento successivo all’analisi congiunta tra organizzazioni sindacali di settore e Ministro per la Funzione Pubblica. Sul caso in esame è opportuno ricordare come quest’ultimo Dicastero, con una circolare datata 18 novembre 2003, abbia ricordato a tutti gli Enti del settore Pubblico allargato (Amministrazioni dello Stato centrali e periferiche, Comuni, Regioni, Province, ecc.) che le collaborazioni coordinate e continuative, per espressa disposizione di legge (l’art. 7, comma 6, del D. L.vo n. 151/2001 e l’art. 110 del D. L.vo n. 267/2000) possano essere istituite soltanto per prestazioni “ad alto contenuto professionale” o per posizioni nono rinvenibili nella dotazione organica. Anche il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5144 del 15 settembre 2003, si è posto su questa linea interpretativa osservando, tra l’altro, che tra i requisiti essenziali vanno sottolineati l’autonomia delle prestazioni, la carenza di un effettivo vincolo gerarchico, la mancanza di uno stabile inserimento e la natura professionale che deve essere congruente con l’attività intellettuale richiesta.
Requisiti della fattispecie “contratto a progetto”
La nota del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali sottolinea come le collaborazioni coordinate e continuative che si realizzano attraverso il contratto a progetto, oltre al requisito principale (il progetto, il programma o una fase di esso) che rappresenta un modo organizzativo della prestazione debbono essere caratterizzate da autonomia rispetto al committente, dalla coordinazione con lo stesso (anche in termini temporali, nel senso che l’esecuzione deve intervenire all’interno di quanto pattuito) e dalla irrilevanza del tempo impiegato rispetto alla esecuzione della prestazione. Sono questi gli elementi che distinguono tale tipologia rispetto al rapporto di lavoro subordinato ed al contratto d’opera.
Anche il fattore termine apposto al contratto assume, secondo la circolare del Welfare, un connotato diverso tra il rapporto di lavoro di natura dipendente e tale fattispecie. Lì, il termine sta a significare soltanto l’arco temporale nel quale il lavoratore è a disposizione del datore, qui la durata del contratto è, in linea di massima, funzionale alla realizzazione del progetto, programma o fase di esso, in regime di autonomia. Tale concetto è chiaramente esplicitato all’art. 67, comma 1, laddove si afferma che la realizzazione risolve il contratto.
Progetto, programma o fase di esso
L’art. 62, allorché parla del contratto in forma scritta “ad probationem” afferma che esso deve contenere il progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuato nel suo contenuto caratterizzante. La disposizione prefigura uno spettro “ampio”, comunque correlabile alla organizzazione dell’attività imprenditoriale ed in funzione del mercato. La nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali si pone su questa linea, già fatta propria da alcuni commentatori, intendendo che esso è riferibile sia all’attività principale che a quella accessoria dell’impresa e che sia la individuazione del progetto che le valutazioni sottese (che sono quelle tecniche, organizzative e produttive) restano di esclusiva competenza del datore di lavoro committente e, come tali (concetto più volte ripetuto nel D. L.vo n. 276/2003), insindacabili.
La circolare offre una chiara distinzione tra progetto da una parte e programma o fasi di esso dall’altra. Mentre il primo è riconducibile ad un risultato finale, gli altri si caratterizzano con risultati parziali destinati ad essere integrati, da altre lavorazioni o risultati parziali. Da ciò ne consegue, al di là della terminologia adoperata, che la fase ed il programma si possono ben riferire a momenti ben individuati all’interno del normale ciclo produttivo.
Ma, detto questo, sorge necessariamente una riflessione correlata al contenuto del progetto: può lo stesso indicare genericamente il risultato finale, attenendosi, sostanzialmente, alla individuazione di un obiettivo generale? Ad avviso di chi scrive, la risposta è negativa, nel senso che l’obiettivo deve essere specifico e nella descrizione del programma vanno connotate sia le caratteristiche dell’attività del collaboratore che i limiti.
L’autonoma gestione del progetto o del programma
Un elemento caratterizzante del contratto a progetto è rappresentato dalla gestione dello stesso che deve essere svolta in maniera completamente autonoma nel senso che, afferma la circolare n. 1/2004, “la definizione dei tempi di lavoro e delle relative modalità è rimessa al collaboratore”. Essa è la conseguenza del fatto che il committente ha il proprio interesse strettamente correlato al conseguimento del risultato e non alla disponibilità del lavoratore per un periodo di tempo determinato come avviene nel rapporto subordinato. Ed, in tale ottica, viene, altresì, spiegato il concetto di periodo determinabile, correlato alla persistenza dell’interesse del committente alla esecuzione del progetto, essendo lo stesso funzionale ad un avvenimento futuro, certo nell’ ”an” ma non nel “quando”.
Dalle specificazioni ministeriali emergono due considerazioni: la prima è che sono difficilmente compatibili con l’istituto prestazioni temporali variabili con le esigenze del datore di lavoro committente, la seconda è che, attenendosi il programma o la fase anche ad una attività intermedia (si è parlato nella circolare di connessione anche a lavori accessori rispetto a quello principale), il contratto a progetto può riferirsi anche a professionalità non necessariamente elevate, svolte durante l’ordinario ciclo produttivo.
Coordinamento
Il collaboratore a progetto può operare sia all’interno (come afferma la nota che si commenta) che all’esterno del ciclo produttivo: ciò che, comunque, rileva ai fini della individuazione delle caratteristiche essenziali della tipologia contrattuale è il coordinamento tra la propria prestazione e quella del datore di lavoro committente. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali chiarisce che il coordinamento può essere riferito sia alla temporalità del progetto che alle modalità di esecuzione dell’attività programmatica, fermo restando che non può essere pregiudicata l’autonomia nell’esecuzione dell’obbligazione e non possono essere avanzate richieste tendenti a prestazioni che esulano da quanto convenuto.
La forma, la possibilità di rinnovo ed il corrispettivo
Il contratto a progetto, così come previsto per altre tipologie individuate nel D. L.vo n. 276/2003 è stipulato in forma scritta “ad probationem” e deve contenere alcuni elementi essenziali che la circolare n. 1/2004 riporta dal dettato normativo:
a) indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro. Da ciò ne consegue che la prestazione è strettamente correlata ad una scadenza (es. compimento del progetto) che deve risultare dall’atto o, comunque, essere determinabile in relazione ad un fatto futuro connesso alla realizzazione del progetto o del programma. La dizione adoperata permette la possibilità di rinnovi o di adibizioni in futuri e diversi progetti che dovranno, in ogni caso, rispondere a tutti i requisiti richiesti dalla normativa e non essere elusivi della nuova disciplina;
b) indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuato nel suo contenuto caratterizzante che viene dedotto in contratto. Su questo punto non si può che rimandare a quanto già affermato in precedenza allorché si è trattato di fornire una definizione agli stessi;
c) il corrispettivo ed i criteri per la sua determinazione, i tempi, le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese. Ovviamente, qui le parti dovranno stabilire un compenso, come afferma l’art. 63, proporzionato alla quantità ed alla qualità del lavoro eseguito avendo quali parametri di riferimento i compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo ove il progetto si svolge, essendo escluso qualsiasi riferimento alle retribuzioni stabilite nella contrattazione collettiva dei lavoratori subordinati. La circolare ricorda che la quantificazione deve essere rapportata alla durata ed alla natura della prestazione e che le parti possono stabilire una riduzione del compenso qualora la prestazione non sia qualitativamente utile, oppure quando il risultato non sia stato pienamente conseguito. Per quel che concerne la disciplina delle spese, appare evidente come le parti possano ritenerle rimborsabili a presentazione di note giustificative e, qualora nella prestazione siano usati mezzi propri del collaboratore finalizzati all’espletamento dell’incarico ricevuto, possano stabilire il riconoscimento di rimborsi chilometrici sulla base delle usuali tariffe (es. ACI) utilizzate in casi analoghi. Correlati al compenso (chiaramente, non inseribili nel contratto, ma trattati in questa sede per motivi di sistematicità) vanno presi in considerazione gli aspetti contributivi e fiscali: Per i primi occorre tener presente le novità introdotte dal D.L. n. 269/2003, convertito, con modificazioni nella legge n. 326/2003 in base alle quali dal 1° gennaio 2004 la contribuzione alla gestione separata dell’INPS (art. 2, comma 26, della legge n. 335/1995) passa al 17,39% ed al 18,39%, a seconda dello scaglione di riferimento per raggiungere progressivamente il 19% attraverso aumenti annuali. Per i secondi, trova applicazione l’art. 47, lettera c –bis) del Tuir;
d) le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l’autonomia nell’esecuzione della prestazione lavorativa. Su questo punto, si rimanda a quanto affermato allorquando si è affrontato il problema del coordinamento;
e) le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto. Su questo punto, la circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ricorda come la “ratio” del D. L.vo n. 626/1994 (pensata e scritta principalmente per i lavoratori subordinati) risulti difficilmente applicabile ai collaboratori, la cui prestazione risulta caratterizzata da una forte componente di autonomia nello svolgimento della prestazione che è realizzata in funzione di un risultato. Alla luce di tali precisazioni, si ritiene, comunque, applicabile la specifica tutela prevista per i lavoratori autonomi dall’art. 7 del D. L.vo n. 626/1994 quando agli stessi è affidato un lavoro all’interno della struttura produttiva. In questo caso gravano sul committente due obblighi: il primo concerne la verifica della idoneità tecnico – professionale del collaboratore, il secondo riguarda l’informazione sugli eventuali rischi specifici e sulle misure di prevenzione adottate. Sul punto, tuttavia, il Dicastero del Welfare assume l’impegno, in occasione dell’attuazione della delega prevista dall’art. 3 della legge n. 229/2003 finalizzata alla revisione ed al riassetto normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di ipotizzare un adattamento della tutela di prevenzione alle peculiarità della prestazione a progetto.
Un’ultima riflessione la nota ministeriale la riserva alla forma scritta, osservando che essa assume un valore decisivo rispetto al progetto e che l’assenza potrebbe portare a serie difficoltà in caso di contenzioso. Ovviamente, sotto l’aspetto processuale i limiti sono ben stretti (si pensi all’art. 2725 c.c.).
Obbligo di riservatezza
Il prestatore che opera attraverso contratti a progetto può, in teoria, impegnarsi con più committenti: è questo un principio di carattere generale che può essere derogato con accordo tra le parti. Infatti, il committente, soprattutto se ci si trova di fronte ad un prestatore chiamato a svolgere la propria attività in maniera altamente qualificata, può avere la convenienza all’esclusiva: ciò, potrebbe portare ad una “monetizzazione” della unicità a favore del collaboratore.
L’art. 64 ricorda principi già presenti nel nostro ordinamento (art. 2105 c.c.): si tratta dei divieti relativi ad attività lesive o di pregiudizio per l’impresa, alla concorrenza, alla diffusione di notizie e programmi che sono propri dei lavoratori subordinati.
Il divieto di concorrenza è correlato al periodo in cui il collaboratore opera per il committente: tuttavia, potrebbe verificarsi il caso per il quale, in relazione alla natura ed alla specificità della prestazione, sia necessario ampliare l’arco temporale della “non concorrenza”. Sul punto, si ritiene applicabile l’art. 2125 c.c. che, con atto scritto, consente la limitazione anche per un periodo successivo, previo corrispettivo per il prestatore ed eventuale limitazione dell’oggetto, del tempo e del luogo. Per completezza di informazione, si ricorda che il limite massimo fissato da detta norma (che si riferisce ai lavoratori subordinati) è di cinque anni per i dirigenti e di tre anni per gli altri.
Invenzioni del collaboratore a progetto
L’art. 65 afferma che trovano piena applicazione il Titolo IX del Codice Civile e la legge n. 633/1941 che disciplina la protezione del diritto d’autore e degli altri diritti connessi all’esercizio.
Va ricordata, sull’argomento, una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass:, n.11305 del 19 luglio 2003) che distingue, sulla base dell’art. 23 del R.D. n. 1127/1939 tra invenzione di servizio ed invenzione di azienda. La prima è quella che si realizza nell’ambito di un contratto il cui oggetto è rappresentato dall’attività inventiva e per il quale è previsto un compenso (se, come nel nostro caso, ci si trova di fronte ad un lavoratore autonomo) o una retribuzione, qualora il contratto sia di natura subordinata. La seconda, invece, è quella che non rientra nell’attività specifica del prestatore ma che deve esser comunque correlata all’attività svolta (di qui la necessità di un nesso causale): ovviamente, la stessa non deve essere del tutto casuale od estranea all’oggetto del contratto. Il comma 2 dell’art. 23 del R.D. n. 1127/1939 chiarisce che, in questo caso, all’inventore spetta un equo premio per la cui determinazione occorre valutare l’importanza dell’invenzione.
Le tutele
La circolare ministeriale ricorda come uno degli obiettivi principali del Legislatore fosse quello di incrementare le tutele per i collaboratori. Di ciò si è fatto interprete il provvedimento delegato che, all’art. 66, ha approntato un sistema minimo di tutela con particolare riferimento alla gravidanza, alla malattia ed all’infortunio durante i quali il rapporto non si estingue ma rimane sospeso senza alcuna erogazione di corrispettivo. La nota del Ministero del Welfare pone a carico dei collaboratori in malattia od infortunio l’invio di una idonea certificazione scritta ma, da tale onere, non discende, ad avviso di chi scrive, alcun diritto del committente di verificare, ad esempio, lo “status” di malattia attraverso le strutture sanitarie previste dall’art. 5 della legge n. 300/1970.
La malattia o l’infortunio non comportano alcuna proroga del contratto, fatta salva l’ipotesi che le parti non abbiano stabilito in maniera diversa nel contratto individuale. Di fronte alla “prolungata” mancanza della prestazione la disposizione riconosce al committente un diritto di recesso che è esercitatile nel caso in cui la sospensione del progetto si protragga per un periodo superiore ad un sesto della durata complessiva, quando essa sia determinata, o superiore a trenta giorni per il contratto a durata determinabile.
La gravidanza, invece, comporta una proroga “de iure” nel senso che, fermo restando per la nota ministeriale, anche in questo caso, l’invio della idonea certificazione (es. certificato medico di gravidanza non necessariamente, ad avviso di chi scrive, di una struttura pubblica), la durata del rapporto è prorogata di 180 giorni, a meno che le parti non abbiano concordato una clausola più favorevole.
Nelle disposizioni appena richiamate si rinvengono elementi riconducibili al lavoro subordinato ove un aspetto preminente della prestazione è legato al tempo e non al risultato che, invece, è la caratteristica principale della prestazione autonoma.
La circolare riprende, poi, dall’art. 66 una serie di disposizioni che trovano applicazione anche ai contratti a progetto. Esse sono:
a) le disposizioni di cui alla legge n. 533/1973 sul processo del lavoro: ciò significa che trova applicazione l’art. 409, n. 3, cpc con il tentativo obbligatorio di conciliazione (in sede amministrativa presso la commissione provinciale di conciliazione istituita in ogni Direzione provinciale del Lavoro) propedeutico al ricorso giudiziale che, peraltro, è esperibile direttamente, a prescindere dal tentativo, se sono trascorsi sessanta giorni dall’invio dell’istanza;
b) l’art. 64 del D. L.vo n. 151/2001 che disciplina la tutela della maternità per le lavoratrici con rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. In esso si afferma che alle lavoratrici non iscritte ad altre forme obbligatorie si applica l’art. 59, comma 16, della legge n. 449/1997 e che, ai sensi dell’art. 80, comma 12, della legge n. 388/200, la tutela della maternità avviene nelle forme e nelle modalità previste per le lavoratrici dipendenti;
c) il D. L.vo n. 626/1994 e successive modificazioni ed integrazioni (ovviamente, quando la prestazione lavorativa si svolge nei locali del committente, nonché le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, l’art. 51, comma 1, della legge n. 488/1999 ed il D.M. del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali 12 gennaio 2001.
Risoluzione del rapporto
La circolare n. 1/2004 rinvia alle disposizioni contenute nell’art. 67: il rapporto si risolve con la realizzazione del progetto, del programma o della fase che ne costituisce l’oggetto. La risoluzione anticipata del contratto può avvenire per giusta causa (quella che, mutuata dal lavoro subordinato, non consente la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto), oppure secondo le diverse causali o modalità riportate nel contratto individuale che può disciplinare anche l’eventuale periodo di preavviso.
Ma cosa succede se il progetto si conclude prima del termine fissato? Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ritiene che lo stesso si intenda, comunque, risolto e che il corrispettivo determinato nel contratto debba essere corrisposto per intero. Tale interpretazione è conseguente al fatto che l’elemento caratterizzante della collaborazione è la realizzazione del risultato e non il tempo.
Come va interpretato il riferimento alla giusta causa? Ad avviso di chi scrive, esso fa si che il collaboratore che si senta leso dal comportamento del committente possa chiedere, attraverso il ricorso giudiziale, preceduto dal tentativo obbligatorio di conciliazione, la corresponsione di una indennità risarcitoria qualora venga accertato un comportamento illegittimo del datore.
Rinunzie e transazioni
La circolare ministeriale ricorda che i diritti derivanti dalle disposizioni contenute negli articoli precedenti possono essere oggetto di rinunzie o transazioni tra le parti in sede di certificazione del rapporto secondo lo schema dell’art. 2113 c.c. . Su questo punto, occorrerà attendere la piena messa a regime del sistema di certificazione dei contratti di lavoro prevista dagli articoli 75 e seguenti del D. L.vo n. 276/2003.
Sanzioni
L’art. 69 afferma che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati (laddove richiesto) senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto. Tale presunzione, però, non è, secondo la circolare n. 1/2004, assoluta, ma relativa, nel senso che può essere superata qualora il committente fornisca in giudizio prova della esistenza di un rapporto di lavoro effettivamente autonomo.
Questa interpretazione, peraltro coraggiosa ed in linea con una tendenza finalizzata alla verifica del rapporto al di la del “nomen”, non trova, però, sostenitori in chi, in dottrina, parla di una presunzione assoluta avvalorata dal tenore letterale della disposizione che tenderebbe a rendere pienamente operativa la tutela del prestatore, sulla base di una automaticità che prescinderebbe da qualunque accertamento e che troverebbe anche conforto in precedenti pronunce della Corte Costituzionale, come la n. 121/1993 e la n. 115/1994, laddove si è sostenuto che il Legislatore nell’effettuare le qualificazioni giuridiche dei rapporti trova il solo limite delle “norme inderogabili previste dall’ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie ed ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato”. Ovviamente, sull’argomento occorrerà aspettare i primi orientamenti giurisprudenziali.
Restando nell’ottica della presunzione relativa, la circolare ricorda come nel caso in cui il giudice configuri un contratto di lavoro subordinato perché fa difetto il requisito dell’autonomia, esso si trasformerà in rapporto di lavoro subordinato secondo la tipologia negoziale verificatasi di fatto (es. tempo pieno, tempo parziale, tempo determinato, ecc).
L’accertamento giudiziale si deve limitare soltanto alla verifica dell’esistenza del progetto o del programma (comma 3) essendogli preclusa ogni valutazione relativa al merito ed alle altre scelte tecniche, organizzative e produttive che spettano al committente. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali aggiunge che il controllo deve verificare l’esistenza “nei fatti” del progetto e non la sua mera deduzione in contratto.
Regime transitorio
La nota ministeriale riporta, in maniera pressoché letterale, il contenuto dell’art. 86, comma 1, nel quale si prevede che le collaborazioni coordinate e continuative in essere alla data del 24 ottobre 2003 continuano fino alla scadenza e comunque non oltre i dodici mesi successivi. Va ricordata, però, la possibilità che con accordi in sede aziendale, stipulati con rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, si arrivi ad una proroga delle collaborazioni oltre il periodo massimo previsto. In questi casi, il termine può diventare “flessibile”. Ciò, tuttavia, sarà possibile soltanto in quelle imprese ove è istituita la rappresentanza sindacale aziendale: questo significa che, ad esempio, nelle imprese sottodimensionate alle quindici unità non si potrà avere alcuna proroga oltre il 24 ottobre 2004.
Nulla dice la circolare in ordine alla possibilità di proroga fino al 24 ottobre 2004 delle collaborazioni coordinate e continuative in scadenza prima di tale data sulla base di frasi che sovente si trovano nei contratti individuali sottoscritti come “salvo disdetta, l’accordo si intende tacitamente rinnovato”. Ad avviso di chi scrive, nel silenzio della disposizione di riferimento e nell’assenza di una interpretazione positiva esplicita del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, si deve ritenere che ciò non sia possibile anche perché, sul punto, la norma con la frase “continuano fino alla scadenza” appare chiara.
Le collaborazioni coordinate e continuative che, alla scadenza, non possono essere ricondotte ad un progetto, ad un programma o ad una fase di esso potranno essere convertite in rapporto di lavoro subordinato, utilizzando sia le vecchie che le nuove tipologie contrattuali.