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Sentenza n.740 del 14.7.98

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Trani – Sezione per le controversie in materia di lavoro e previdenza – composto dai Magistrati:

1) Dott. Sebastiano L. Gentile Presidente

2) Dott. Adriana Doronzo Giudice rel.

3) Dott. Luciano Guaglione Giudice

ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa in materia di lavoro – previdenza – assistenza in grado di appello iscritta sul ruolo generale al n.1535 R.G. 1997.

TRA

CURTATONE Luigi, rappresentato e difeso dall’Avv. Luigi Di Rella, giusta procura a margine del ricorso in appello, ed elettivamente domiciliato in Trani alla Via A. Moro, n.13;

-Appellante-

E

Ditta DE BARI Vincenzo, in persona dell’omonimo titolare, con sede in Molfetta, rappresentata e difesa dall’Avv. Pasquale de Palma, in virtù di procura a margine della memoria di costituzione e risposta, ed elettivamente domiciliata in Trani presso lo studio dell’Avv. Nicola Valenzano;

-Appellata-

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 10 dicembre 1992, Curtatone Luigi adiva il Pretore di Trani, sezione distaccata di Molfetta, in funzione di giudice del lavoro, e dopo aver premesso che: aveva lavorato alle dipendenze di De Bari Vincenzo dal 1°.9.1991, quale addetto alla vendita a posto fisso di dolciumi nei mercati settimanali di Minervino, Palo del Colle, Margherita di Savoia, Genzano e Corato, nonché quale autista dell’autoveicolo di proprietà del De Bari; che aveva percepito la retribuzione mensile di £.1.200.000, come pattuito nel contratto di lavoro individuale, fatta eccezione per alcune mensilità, per le quali aveva richiesto ingiunzione di pagamento allo stesso pretore; che l’orario di lavoro osservato era dalle 5,30 o dalle 6,00 alle ore 15,15 in alcuni giorni, ovvero dalle 7,00 alle 14,00 in altri; che in data 30.7.1992 il De Bari lo aveva licenziato, senza addurre alcuna causa o giustificazione; che il 7.8.1992 egli aveva impugnato il licenziamento, il quale peraltro era stato confermato con la nota del 11 agosto successivo; che il licenziamento doveva ritenersi illegittimo in quanto intimato in violazione dell’art.2119 c.c. e dell’art.7 l.300/1970, nell’ipotesi in cui si fosse dato valore alle giustificazioni addotte dal datore di lavoro nella nota del 11.8.1992.

Pertanto, chiedeva che l’adito pretore volesse dichiarare la illegittimità del licenziamento e volesse conseguentemente condannare il convenuto al risarcimento dei danni subiti, secondo quanto disposto dall’art.2, c.3, l.n.108/1990, oltre agli interessi legali, alla rivalutazione ed alla rifusione delle spese processuali.Il convenuto si costituiva e chiedeva il rigetto della domanda, contestando l’assunto del ricorrente in ordine all’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato, nonché, in via gradata, circa l’assenza della giusta causa e asserendo, per contro, che il Curtatone si era reso inadempiente degli obblighi nascenti dal contratto di lavoro, e in particolare dell’obbligo della fedeltà, essendo stato sorpreso ad impossessarsi di £.20.000 provenienti dalla vendita di alcuni prodotti.

Assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti, all’udienza del 4.4.1997 il pretore pronunciava sentenza con la quale dichiarava inammissibile la domanda del Curtatone e compensava tra le parti le spese processuali.Riteneva invero il pretore che l’attore non avesse dimostrato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e che, al contrario, vi erano elementi per configurare un rapporto di "collaborazione tecnica" di carattere saltuario.

Avverso la decisione, con ricorso depositato in data 9 maggio 1997, il Curtatone proponeva appello per i motivi di seguito indicati, chiedendo che - in totale riforma della sentenza - la sua domanda fosse integralmente accolta con vittoria di spese processuali.

Anche in questa fase si costituiva il De Bari, il quale instava per il rigetto dell’appello e, in via incidentale, chiedeva che la sentenza del pretore fosse riformata nella parte in cui aveva compensato tra le parti le spese del processo.Instauratosi il contraddittorio, all’udienza fissata per la discussione i procuratori delle parti discutevano la causa che veniva decisa con sentenza resa pubblica mediante la lettura del dispositivo nella medesima udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico complesso motivo di gravame il Curtatone si duole della decisione pretorile nella parte in cui ha ritenuto insussistente tra le parti un rapporto di lavoro subordinato, così disattendendo le prove documentali e orali acquisite al processo e violando il giudicato costituito dalla sentenza resa dallo stesso pretore di Molfetta in data 6.12.1996 tra le medesime parti, in forza della quale il De Bari era stato condannato a corrispondere al Curtatone, in dipendenza del medesimo rapporto dedotto in lite, la somma di £.4.472.737 a titolo di trattamento di fine rapporto, ratei ferie e tredicesima mensilità.

L’appello è fondato.

Giova ricordare che, ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato non deve prescindersi dalla volontà dei contraenti. Sotto questo profilo, va tenuto presente il nomen iuris utilizzato dalle parti, il quale però non ha un rilievo assorbente, poiché deve tenersi conto, sul piano della interpretazione della volontà delle parti, del comportamento complessivo delle medesime, anche posteriore alla conclusione del contratto (art. 1362, comma 2, c.c.), e, in caso di contrasto tra dati formali e dati fattuali relativi alle caratteristiche e modalità delle prestazioni, è necessario dare prevalente rilievo ai secondi, dato che le tutele relative al lavoro subordinato, per il loro rilievo pubblicistico e costituzionale, non possono essere eluse per mezzo di una configurazione formale non rispondente alle concrete modalità di esecuzione del rapporto (Cass., sez. lav., 20 giugno 1997, n. 5520).

E’ stato altresì affermato che, la pur preliminare indagine sull’effettiva volontà negoziale - diretta ad accertare, anche attraverso il nomen iuris attribuito al rapporto, se le parti abbiano inteso conferire alla prestazione il carattere della subordinazione - non può essere disgiunta da una verifica dei relativi risultati con riguardo alle caratteristiche e modalità concretamente assume dalla prestazione stessa nel corso del suo svolgimento, sì da doversi riconoscere l’acquisizione di quel carattere quante volte tale svolgimento non si appalesi coerente con la sua originaria denominazione (Cass., sez. lav., 17 giugno 1996, n. 5532; v.- pure Pret.30.12.1995).

Ora, costituisce ius receptum, nella giurisprudenza della Suprema Corte, il principio secondo cui spetta al lavoratore l’onere di fornire la prova rigorosa della sussistenza e delle modalità in cui si è svolto il rapporto di lavoro (cfr. Cass.24.6.1972, n.2147).

Con riguardo alla natura del rapporto, il carattere distintivo essenziale del rapporto di lavoro subordinato è costituito dalla sussistenza di un vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro: vincolo che deve estrinsecarsi nell’emanazione di ordini specifici, oltre che nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle prestazioni lavorative, e deve essere concretamente apprezzato con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione (Cass.17 novembre 1994, n. 9718, in Informazione Prev., 1995, 108; Cass. 20.01.95, n. 649), considerando che, mentre la subordinazione implica inserimento del lavoratore nella organizzazione imprenditoriale del datore di lavoro mediante la messa a disposizione in suo favore delle proprie energie lavorative ("operae") ed il contestuale assoggettamento al potere direttivo di costui, con conseguente vincolo di natura personale, limitativo della libertà, nel lavoro autonomo l’oggetto della prestazione è costituito dal risultato dell’attività lavorativa ("opus"); nelle ipotesi in cui, per le caratteristiche del rapporto sia poco agevole l’apprezzamento dell’esistenza della subordinazione e dell’autonomia, possono essere peraltro utilizzati altri criteri distintivi di carattere sussidiario, quali la valutazione dell’esistenza, in capo al lavoratore, di un’organizzazione imprenditoriale anche in termini minimi che nel lavoro autonomo non può mancare, ovvero l’incidenza del rischio economico attinente all’esercizio dell’attività lavorativa, che nel lavoro autonomo grava sullo stesso lavoratore (Cass.17.12.94, n. 10829).

Peraltro, la valutazione degli elementi di fatto, idonei nel caso concreto a ricondurre il rapporto nell’ambito dell’uno o dell’altro schema contrattuale, è riservata al giudice del merito, rimanendo censurabile in sede di legittimità solo la violazione dei generali ed astratti criteri distintivi.

Alla stregua di questi principi, deve dirsi raggiunta la prova dell’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro di natura subordinata.

Viene in primo luogo in rilievo la scrittura privata, priva di data, sottoscritta dal De Bari e dal Curtatone, nella quale si legge: "Il sig. Curtatone a partire dal mese di settembre 1991 presterà la propria opera alle dipendenze del sig. De Bari Vincenzo, il quale accettando corrisponderà uno stipendio mensile di £.1.200.000 più i contributi volontari che il Curtatone pagherà all’I.N.P.S. di Andria". Le espressioni letterali usate sono assai significative e tipiche di un rapporto di lavoro subordinato. A nulla rileva che la scrittura contenga altre pattuizioni legale alla vendita della merce di proprietà del Curtatone ed esistente nel suo deposito: il fatto che questi abbia alienato i beni strumentali con i quali svolgeva in proprio l’attività di vendita al dettaglio di prodotti alimentari non esclude che, accanto alla vendita, si sia stipulato un contratto di lavoro subordinato.

I dubbi sono poi fugati dalle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale dal De Bari, nonché dalle dichiarazioni rese dai testi escussi: il primo ha ammesso che corrispondeva al Curtatone, mensilmente, la somma di £.1.200.000; che questo lo aiutava nei mercati, sistemando la merce, vendendola (sia pure aggiungendo "all’occorrenza") e riscuotendone il prezzo; che rispettava gli orari di lavoro indicati in ricorso, con un leggero ritardo rispetto all’orario di inizio per terminare sempre alle ore 14,00.I testimoni escussi hanno poi confermato di aver visto il Curtatone guidare il camion che il De Bari utilizzava per raggiungere i mercati; vendere la merce e riscuoterne il prezzo, sistemare sui banchi la merce (v. teste Tarricone, Torelli Domenico, D’Elia Francesco).

Per contro, non paiono attendibili le dichiarazioni rese da Squeo Francesco, il quale ha dichiarato di aver iniziato a lavorare alle dipendenze del De Bari il 24 o il 25 luglio del 1992, ovvero dopo il fatto di appropriazione indebita contestato al Curtatone, sicché egli non può essere informato, se non per averle apprese dal suo datore di lavoro, delle concrete modalità di svolgimento del rapporto.Anche la moglie del De Bari, sentita come testimone, ha riconosciuto che il Curtatone, quando vi erano molti clienti, aiutava a servirli, vendendo la merce e riscuotendo il prezzo.

A tanto deve aggiungersi che nella querela presentata ai Carabinieri di Molfetta il 16.10.1992, il De Bari ha espressamente qualificato il Curtatone quale suo dipendente.Orbene, a fronte di queste univoche emergenze, appare assai inverosimile l’assunto del convenuto, condiviso dal pretore, secondo il quale il Curtatone prestava solo una mera assistenza al De Bari affinché si avviasse all’attività di vendita ambulante di dolciumi, senza che mai si sia costituito tra di loro un rapporto di lavoro subordinato: hanno invece il valore di una confessione le dichiarazioni rese dal De Bari in sede di interrogatorio formale, laddove ha riconosciuto che il Curtatone frequentava in maniera assidua (quindici giorni al mese) il suo banco di vendita e che lo ricompensava nella misura su indicata.

Alla luce dei risultati dell’istruttoria espletata, ritiene il collegio che siano in concreto riscontrabili gli elementi tipici del rapporto di lavoro subordinato: è invero emerso che il Curtatone svolgeva le mansioni di aiuto commesso, serviva i clienti, riscuoteva il prezzo di vendita, sistemava la merce sul banco, conduceva il camion che lo trasportava, insieme al titolare, sui mercati.

Il rapporto di lavoro aveva carattere continuativo, caratteristica questa che non è esclusa dal fatto che le prestazioni fossero rese solo quindici giorni al mese; il ricorrente percepiva un compenso fisso, stabilito in £.1.200.000; era sottoposto al potere di vigilanza del De Bari, come si evince dalla stessa denuncia-querela e dalla condanna del Curtatone per il reato di appropriazione indebita aggravata.

Il lavoratore era, quindi, stabilmente inserito nell’organizzazione dell’attività d’impresa; doveva attenersi alle scelte dell’imprenditore in ordine alle modalità d’esecuzione della prestazione; riceveva da lui un compenso mensile fisso, rispettava un certo orario di lavoro.

Ad abundatiam, sovviene il giudicato formatosi tra le parti per effetto della sentenza resa dal pretore di Molfetta in data 6.12.1996, nella quale il pretore ha riconosciuto l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e, conseguentemente, ha condannato il De Bari al pagamento in favore del Curtatone della somma di £.4.472.737 a titolo di t.f.r., ratei ferie e tredicesima. Non vi è dubbio che il titolo su cui é fondata la sentenza di condanna è il medesimo del quale si discute in questo giudizio, traendo origine dalla scrittura privata di cessione di azienda e dalla prestazione resa dal Curtatone in favore del De Bari dal 1.9.1991 fino alla data del contestato licenziamento.

L’eccezione di giudicato esterno costituisce non già eccezione in senso stretto o proprio, bensì eccezione in senso lato: essa pertanto è rilevabile d’ufficio, senza soggiacere nel rito del lavoro alle preclusioni di cui agli artt.416 e 437 c.p.c. (Cass.23.10.1995, n.11018).

Posto dunque che tra le parti vi era un rapporto di lavoro subordinato, occorre verificare gli effetti sul rapporto medesimo della lettera di licenziamento inviata dal De Bari al ricorrente in data 23 luglio 1992.La missiva non contiene l’enunciazione del motivo di recesso. Ad essa fece seguito la impugnativa del licenziamento da parte del Curtatone, nella quale si sottolineava l’assenza di qualsivoglia giustificazione, cui seguì la lettera del 11.8.1992, con la quale il De Bari motivò il recesso con riferimento all’"andamento generale dell’attività della ditta, negativamente condizionata da una serie di avvenimenti", incidenti sul volume di affari, nonché alla condotta del dipendente, consistente nel ritardo nell’inizio dell’attività giornaliera, nel rifiuto di collaborazione in alcuni giorni, nel disinteresse verso la clientela), e a "situazioni incresciose tali da determinare una completa mancanza di fiducia".

Non vi è alcun cenno al fatto specifico, costituito dall’appropriazione indebita della somma di £.20.000.Ora, a norma dell’art.2 della legge n.604 del 1966, il datore di lavoro deve comunicare al lavoratore i motivi del recesso, nei sette giorni seguenti alla richiesta. L’inosservanza della disposizione determina l’inefficacia del licenziamento.

La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che la motivazione del licenziamento deve essere specifica e completa, tale da consentire al lavoratore di individuare con certezza la causa del provvedimento ed esercitare pienamente il diritto di difesa: la motivazione, dunque, delimita la materia del contendere del successivo giudizio, comportando l’immutabilità dei motivi e precludendo al datore di lavoro di introdurre in giudizio fatti nuovi o elementi diversi, se non meramente confermativi o di contorno di quelli già esposti (Cass.n.13829/1991; n.4268/1991).Se è pur vero che non occorre che la motivazione sia specificata in tutti i suoi elementi di fatto e di diritto all’atto del licenziamento, è tuttavia necessario che sia indicata la fattispecie del recesso nei suoi tratti e circostanze di fatto essenziali, in modo tale che in sede di impugnazione non possa essere invocata una fattispecie totalmente diversa (Cass.21.6.1985, n.3752; Trib. Bologna, 17.11.1981).Nel caso di specie, la lettera del 11 agosto del 1992 non contiene alcun riferimento all’appropriazione da parte del Curtatone del prezzo ricavato dalla vendita di dolciumi, di cui alla querela del 16.10.1992; vi è un generico richiamo al venir meno del rapporto di collaborazione e di fiducia, ma non vi è la descrizione neppure sommaria di comportamenti specifici addebitati al lavoratore. Sicché, la contestazione del fatto compiuta nel presente giudizio viola il principio dell’immutabilità dei motivi del recesso e determina l’inefficacia del licenziamento.A nulla dunque rileva che il Curtatone sia stato condannato alla pena di venti giorni di reclusione e £.200.000 di multa per il reato di appropriazione indebita aggravata, con sentenza del pretore di Bitonto, confermata dalla Corte di Appello di Bari in data 10.10.1997: la mancata contestazione del motivo del recesso, ovvero il suo mutamento nel corso del giudizio ha inficiato la procedura ab origine, determinando l’illegittimità del licenziamento.L’obbligo della comunicazione dei motivi e la loro immutabilità sussiste in ogni caso di licenziamento, che é atto formale, che richiede la forma scritta ad substantiam.Condividendo l’orientamento che ritiene applicabile la tutela risarcitoria prevista dall’art.8 delle legge n.604 del 1966 nell’ambito della zona di applicazione della detta legge, essendo pacificamente non operante nel caso di specie la tutela reale, al lavoratore va riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni commisurati all’ultima retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore, tra un minimo di 2,5 ad un massimo di 6 mensilità.

Valutati il tipo di rapporto esistente tra le parti, le ragioni del recesso, come emerse nel giudizio, e le peculiarità del caso concreto si stima congruo determinare in quattro mensilità l’importo dei danni da risarcire. Al Curtatone va dunque riconosciuta la somma di £.4.800.000 (£.1.200.000, pari all’ultima retribuzione percepita, per quattro), rivalutata secondo gli indici I.S.T.A.T. e maggiorata degli interessi legali a far tempo dalla cessazione del rapporto.Le stesse ragioni costituiscono a giudizio del collegio giusti motivi per compensare per intero tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio, con la conseguenza che va rigettato l’appello incidentale spiegato sul punto dal De Bari.

P.Q.M.

Il Tribunale di Trani, sezione lavoro, definitivamente pronunciando sull’appello proposto con ricorso depositato in data 9.5.1997, da Curtatone Luigi avverso la sentenza resa dal Pretore del lavoro di Trani - sezione distaccata di Molfetta, tra l’appellante e De Bari Vincenzo, nonché sull’appello incidentale spiegato da quest’ultimo con la memoria depositata il 30.12.1997, così provvede:1) accoglie l’appello principale per quanto di ragione e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara illegittimo il licenziamento intimato il 29.7.1992 dal De Bari al Curtatone;2) condanna l’appellato al pagamento in favore del Curtatone della complessiva somma di £.4.800.000, oltre alla rivalutazione monetaria, secondo gli indici I.S.T.A.T., ed interessi legali sulla somma rivalutata, dalla maturazione al saldo;3 ) rigetta l’appello incidentale;4) compensa per intero tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.Trani, 7 maggio 1998 Il Presidente

(F.to: dott. Sebastiano L. Gentile)

Il giudice est.

(F.to: dott. Adriana Doronzo)

Depositato oggi in Cancelleria,

Trani, 14 luglio 1998