Sentenza Tribunale di Trani n° 266 del 29 gennaio 2001
TRIBUNALE DI TRANI
* Sezione Lavoro *
REPUBBLICA ITALIANA - IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
SENTENZA
nella causa iscritta al numero 16215/1996 ex R.G. Pret. Lav. Trani in data 18/10/1996 e vertente
TRA
LA FORTEZZA FRANCESCO - ricorrente - rappresentato e difeso dall'avv. M. P. Vigilante, nello studio della quale si domiciliava, per procura speciale in calce al ricorso.
E
"COOP. METRONOTTE GENERAL SERVICE S.R.L." in persona del suo liquidatore Spadavecchia Giovanni - resistente - rappresentata e difesa dall'avv. F. Logrieco per mandato in calce alla copia notificata del ricorso in data 3.12.1996, nello studio del quale si domiciliava.
OGGETTO: Pagamento differenze retributive.
CONCLUSIONI DELLE PARTI: All'odierna udienza i procuratori concludevano nel riportarsi ciascuno alle rispettive difese sviluppate negli scritti introduttivi del giudizio.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 18.10.1996 l'odierno resistente deduceva di avere lavorato alle dipendenze della cooperativa resistente svolgendo attività di vigilanza non armata diurna e notturna, inquadrabile nel V livello retributivo del C.C.N.L. di categoria per i dipendenti di istituti di vigilanza privata, lavorando mediamente nove ore al giorno e prestando anche lavoro notturno.
Il ricorrente precisava di aver percepito £ 1.000.000 nel mese di agosto 1995, £ 1.400.000 nel mese di settembre 1995, £ 1.500.000 nel mese di ottobre 1995 e nel successivo mese di novembre e £ 450.000 nel mede di dicembre 1995, importi tutti comprensivi della cifra di £ 160.000 per assegni familiari, mentre nel successivo mese di gennaio del 1996, al contrario, non percepiva retribuzione alcuna, quindi dava le dimissioni ed a nulla valevano gli inviti successivamente rivolti alla cooperativa resistente in data 11.5.1996, 13.6.1996 e 4.7.1996 per definire bonariamente la questione relativa alle pendenze ancora spettanti al ricorrente.
Quest'ultimo, pertanto, adiva l'Autorità giudiziaria affermando di non aver percepito anzitutto la giusta retribuzione ai sensi degli artt.36 della Costituzione e 2099 del Codice Civile in relazione alla quantità e qualità del lavoro da lui effettivamente prestato; di non aver inoltre percepito alcuna indennità per festività domenicali ed indennità soppresse (ai sensi degli articoli 49, 50 e 70 dell'invocato C.C.N.L. di categoria), né l'indennità per lavoro supplementare da lui svolto oltre la quarantesima ora dell'orario di lavoro contrattuale (ai sensi degli articoli 47 e 70 del medesimo C.C.N.L. e 2108 Cod. Civ.) e l'indennità di lavoro straordinario da lui svolto oltre la quarantottesima ora, la maggiorazione per lavoro notturno, i ratei di 13^ e 14^ mensilità, l'indennità relativa al periodo feriale, gli assegni per il nucleo famigliare e, infine, il T.F.R., per cui riteneva di essere ancora creditore della cooperativa resistente - detratto quanto dalla stessa percepito - della ulteriore somma di complessive £ 10.542.178, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali su detto importo fino alla data dell'effettivo soddisfo, e spese di giudizio.
Si costituiva quindi ritualmente la ditta resistente, eccependo preliminarmente contestava i conteggi analitici allegati al ricorso introduttivo del presente giudizio, quindi eccepiva, ancora in via preliminare, la nullità della notificazione del medesimo ricorso introduttivo per la violazione dell'art.145 C.p.c., in quanto la cooperativa resistente aveva la propria sede legale in Molfetta alla via Carlo Alberto civico 46, sicché andava notificato in quella sede e non alla residenza del liquidatore Spadavecchia Giovanni, essendo stata inoltre la notifica ricevuta a mani della moglie dello Spadavecchia, del tutto estranea a questa vicenda ed alle vicende della cooperativa in genere.
Nel merito, quindi, premesso che la cooperativa resistente era una cooperativa di produzione e lavoro e che il LA FORTEZZA era stato socio della stessa sino alla data delle proprie dimissioni (avvenute in data 7.1.1996), non si poteva riconoscere al medesimo la qualifica di lavoratore subordinato, integrando le sue prestazioni l'adempimento delle previsioni del contratto societario; contestava inoltre che il ricorrente avesse lavorato oltre le quattro ore giornaliere, essendo documentalmente provato che il predetto sottoscrisse - in data 7.8.1995 - una lettera di assunzione part time, impegnandosi a lavorare come custode per quattro ore giornaliere, dalle 20,00 alle 24,00, dal lunedì al venerdì.
Per di più in questo contratto le parti concordarono che l'inquadramento normativo-previdenziale dovesse essere analogo a quello del IV livello del C.C.N.L. per il commercio e terziario in genere, sicché il contratto collettivo richiamato nell'atto di ricorso non poteva ritenersi vincolante per la cooperativa resistente, non essendo la stessa mai stata iscritta ad alcuna della associazioni stipulanti ed essendo stato previsto dalle parti quale dovesse essere la disciplina della contrattazione collettiva da applicare al caso di specie, per cui i conteggi del ricorrente erano evidentemente errati, essendo stato arbitrariamente il C.C.N.L. per i dipendenti di istituti di vigilanza privata e commettendo altresì anche evidenti errori di calcolo di quanto dovuto al LA FORTEZZA, al quale non potevano spettare né indennità per lavoro straordinario e supplementare, né 13^ e 14^ mensilità mutuate da una contrattazione collettiva non voluta dalle parti e non applicabile al caso di specie, avendo inoltre il ricorrente regolarmente fruito di un periodo di ferie proporzionato al suo lavoro.
Spiegava infine domanda riconvenzionale contro il ricorrente in quanto, essendosi lo stesso dimesso in data 7.1.1996 senza dare preavviso alcuno, nel caso si fosse ritenuta esistente una ipotesi di natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso fra le parti in causa, il ricorrente doveva essere condannato al pagamento dell'indennità di mancato preavviso.
Espletata l'istruttoria, con l'ascolto dei testi ammessi, all'udienza odierna, essendo ormai matura la causa per la decisione, la stessa veniva discussa e quindi decisa con dispositivo del quale si dava lettura.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il presente ricorso è fondato e può pertanto essere accolto, mentre non merita accoglimento la domanda riconvenzionale presentata nei confronti dell'odierno attore, per le ragioni che qui si espongono.
Preliminarmente si deve osservare, come l'eccezione del convenuto relativa alla nullità della notificazione ex art.145 C.p.c. non meriti accoglimento.
Infatti, a prescindere dal fatto che - per consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito - nei casi in cui non sia possibile eseguire una notifica presso la sede legale di una società, la stessa ben può essere validamente eseguita anche nella residenza, domicilio o dimora della persona fisica del suo legale rappresentante pro tempore ed è parimenti valida anche se eseguita nella mani di un famigliare o addirittura di un addetto alla casa del legale rappresentante in oggetto (cfr. sul punto Cass. 13.6.1975, n. 2387), anche quando nella notifica non sia specificato se detta persona sia o meno convivente con il destinatario (Cass. Civ. Sez. Lav. 22.1.1998, n. 599) ed addirittura è stata prevista dal Supremo Collegio la possibilità di una valida notifica a persone giuridiche anche con il rito della irreperibilità, di cui all'art.140 C.p.c., quando non sia possibile eseguire la notifica nella sede legale e non sia indicata la persona fisica del legale rappresentante (Cass. Civ. 17.6.1999. n. 6065).
Particolarmente calzante al caso di specie, comunque, è la massima della Suprema Corte n. 1448/1959, nella quale si afferma che: "È nulla la notifica eseguita, fuori dai casi previsti nell'ultimo capoverso dell'art. 145 C.p.c., nella residenza o nel domicilio del rappresentante di una società; fa eccezione il caso di una società in liquidazione alla quale l'atto potrà essere notificato nella residenza o nel domicilio dell'ultimo liquidatore".
Si deve del pari rigettare l'ulteriore eccezione coltivata dalla difesa della convenuta cooperativa attinente alla insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato del ricorrente, essendo lo stesso socio della cooperativa resistente, qualità questa ritenuta incompatibile con la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato intercorrente tra le medesime parti ed avente ad oggetto le medesime prestazioni.
Se questo fosse vero, non si capirebbe anzitutto per quale motivo, così come sostenuto dalla stessa difesa della cooperativa convenuta, quest'ultima avesse stipulato in data 7 agosto 1995 con il ricorrente, suo socio, una lettera di assunzione - con stipula del relativo contratto di lavoro - dello stesso a tempo parziale per svolgere attività lavorativa di custode per quattro ore al giorno e, del resto, la Suprema Corte ha stabilito che le parti, nella loro autonomia contrattuale, ben possono stabilire che le prestazioni comunque dovute da chi è socio possano essere espletate nello svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato piuttosto che in adempimento di un contratto sociale (vedasi sul punto Cass. n. 1170 del 1989).
Peraltro il ricorrente, a dispetto della sua formale qualifica di socio, di fatto non ha mai assunto detta qualità, non avendo mai partecipato, nel breve periodo in cui è stato "socio" della cooperativa resistente, ad una assemblea della stessa, ovvero esercitando il suo diritto di voto e rimanendo quindi completamente estraneo alla vita della cooperativa stessa e questa qualità di lavoratore subordinato del ricorrente è sostanzialmente avallata dalla stessa esistenza della domanda riconvenzionale formulata a suo carico, dove, sia pure in subordine, si afferma che, ove si dovesse riconoscere al LA FORTEZZA la qualifica di lavoratore subordinato (oltre che di socio) della cooperativa di produzione e lavoro resistente, allo stesso va chiesto il pagamento dell'indennità di mancato preavviso, che è un'obbligazione risarcitoria pacificamente esistente solo ed unicamente in rapporti di lavoro subordinato e non certo in rapporti aventi la loro radice in contratti societari.
Non appare accoglibile, poi, neppure la ulteriore eccezione difensiva della cooperativa resistente relativa alla inapplicabilità nel caso di specie del contenuto del C.C.N.L. di categoria disciplinante l'attività degli istituti di vigilanza privata, così come invocato dal ricorrente, e questo per un duplice ordine di ragioni:
da un lato, per non avere l'attore od il convenuto mai fatto parte delle opposte associazioni sindacali che hanno sottoscritto tale contratto di categoria, non avendolo sottoscritto neppure personalmente; dall'altro, per avere le stese stipulato un negozio giuridico in data 7.8.1995 dal quale emerge chiaramente che l'unico contratto di categoria eventualmente invocabile nella fattispecie era quello attinente al quarto livello del C.C.N.L. afferente al commercio ed al settore terziario.
Sotto il primo profilo, invero, posto che, comunque, il ricorrente non ha avanzato solo delle richieste di differenza retributiva, che, come si ricorderà da quanto detto in precedenza, costituiscono solo una delle voci (e certo non la più consistente) costituenti la somma richiesta al convenuto.
Invero, si ricorda a se stessi, l'art.36 della Costituzione, comunque, stabilisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione sufficiente e proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato.
Come è noto, detta norma ha un contenuto programmatico vincolante nei confronti del potere legislativo; in tal modo l'attuazione del principio della retribuzione minima sufficiente è demandata all'intervento del legislatore chiamato a stabilire in via diretta od indiretta la retribuzione minima comune a tutti i lavoratori o differenziata per le diverse categorie professionali.
Nel nostro ordinamento, però, in assenza di una legislazione determinatrice dei minimi salariali, è stato merito della giurisprudenza individuare la funzione precettiva della succitata norma, al fine di renderla direttamente vincolante nei confronti dell'autonomia privata.
Pertanto, è stata considerata conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza la retribuzione equivalente a quella prevista dai contratti collettivi applicabili alla categoria od al settore produttivo cui appartiene comunque il lavoratore (cfr. Cass. 2/5/1990 n° 3617).
Attraverso questa operazione interpretativa è stata realizzata una forma, sia pure parziale ed indiretta, di estensione "erga omnes" degli effetti del contratto collettivo.
La giurisprudenza, in pratica, ha trovato una soluzione - sia pure empirica, ma non per questo meno efficace - al problema del riconoscimento della efficacia generale dei contratti collettivi, limitatamente alla loro parte economica.
In tal modo, mentre la parte normativa del contratto collettivo, sarà vincolante per i soli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti, le clausole retributive, invece, saranno efficaci anche nei confronti di tutti i non iscritti (ovviamente se più favorevoli a questi ultimi).
Il prestatore di lavoro, dunque, non iscritto ad alcuna organizzazione sindacale (o dipendente di un datore di lavoro non iscritto) può comunque domandare al Giudice la condanna del proprio datore di lavoro al pagamento della retribuzione tra il salario da lui effettivamente percepito e quello corrispondente ai minimi sanciti nel vigente C.C.N.L. di categoria.
Il Giudice, pertanto, qualora il lavoratore richieda delle differenze retributive, al fine di esprimere il corretto giudizio sulla adeguatezza della retribuzione, deve, comunque, necessariamente fare riferimento al C.C.N.L. di categoria, come espressione parametrica delle condizioni di mercato e degli equi corrispettivi di lavoro, al fine di determinare la giusta e sufficiente retribuzione
(cfr. Cass. 21.1.1985, n° 237), anche se, come nella fattispecie, appunto, la sua applicazione viene contestata per mancata appartenenza di ambedue le parti alle rispettive associazioni di categoria firmatarie dell'accordo nazionale.Sotto il secondo profilo, va detto come l'oggetto della cooperativa in questione, così come descritto nel certificato del 2.7.1996 della C.C.I.A.A. di Bari versato negli atti del fascicolo di parte del ricorrente, risulta chiaramente quella di: "Istituire e gestire in proprio od in appalto istituti di vigilanza privata e vigilanza armata sia di giorno che di notte, sia all'interno che all'esterno di stabilimenti industriali e commerciale, istituti bancari, magazzini negozi, autoveicoli, natanti, ecc., per conto di privati e di enti, previa le necessarie autorizzazioni di legge ..." e, non vi è chi non veda come si tratti palesemente di attività di guardiania privata e come il richiamo fatto nel contratto di lavoro al IV livello del C.C.N.L. del settore commercio e terziario appaia del tutto illegittimo e vessatorio nei confronti del lavoratore, con conseguente applicabilità allo stesso, così come correttamente sostenuto nell'atto di ricorso, del C.C.N.L. invocato, che effettivamente si attaglia - anche per quelle che sono state le risultanze istruttorie (che esamineremo fra breve) - alla qualità e quantità del lavoro svolto dalla ricorrente per la cooperativa resistente.
Tanto premesso, quindi, passando all'esame delle risultanze istruttorie emerge come non bisogni dare eccessiva rilevanza al tenore della lettera di assunzione part time del ricorrente, datata 7.8.1995, rilevato che lo stesso liquidatore della società, sentito all'udienza del 21.11.1997 ha rilevato come il ricorrente sia stato retribuito per otto ore lavorative giornaliere già dal settembre 1995 (e tanto a prescindere dalla circostanza che dette ore lavorative venissero svolte congiuntamente con altra guardia); all'udienza del 3.4.1998. il teste Vista Mauro Giovanni, premesso di avere lavorato anch'egli alle dipendenze della cooperativa resistente, confermava che in alcuni luoghi la vigilanza effettuata si protraeva per nove ore ed in altri per quattro ore, arrivando sino quindici ore presso un cantiere, e confermava che detta vigilanza, all'inizio svolta da una sola guardia, era poi effettuata da due guardie congiuntamente ed anche lui aveva lavorato talora in coppia con il ricorrente, effettuando lavori per 4, 8 e 15 ore giornaliere.
Alla medesima udienza il teste De Ceglia Ignazio affermava che l'orario di lavoro presso la cooperativa resistente era di 12-15 ore al giorno e che lui svolgeva mansioni di guardia giurata per la cooperativa resistente e che dette dodici ore erano svolte continuativamente, per esempio dalle 7 alle 19 o dalle 22,00 alle 6,00 del mattino da una sola guardia o da due in coppia e che non esisteva il riposo settimanale.
All'udienza del 9.6.1998 il teste Sciancalepore Antonio affermava di avere lavorato anch'egli per la cooperativa resistente e confermava che il ricorrente aveva lavorato per detta cooperativa per quattro o cinque mesi nel 1996 con mansioni di guardia non armata, precisando che l'orario di lavoro si protraeva dalle ore 16,00 alle ore 23,00 dal lunedì al sabato, anche se spesso lavoravano 14 o 15 ore giornaliere continuative, anche di domenica.
Le risultanze testimoniali, quindi, confortano unanimemente ed in pieno tutti gli assunti attorei, vuoi in merito alla sussistenza delle pretese dello stesso al pagamento delle indennità per ferie, riposo domenicale, lavoro supplementare e straordinario, ratei di 13^ e 14^ mensilità, ecc., vuoi - vista la peculiare attività di vigilanza svolta effettivamente dal ricorrente in costanza del proprio rapporto di lavoro subordinato - la sicura applicabilità al caso di specie (a prescindere da quanto scritto nel contratto del 7.8.1995, che pure prevedeva una durata del rapporto di lavoro di sole quattro ore giornaliere) del C.C.N.L. inerente gli Istituti di Vigilanza privati.
Tanto premesso sulla sicura valenza delle testimonianze assunte in giudizio, si deve poi sottolineare anche come non possa, per altro verso, assolutamente ritenersi sospetta od addirittura invalida la testimonianza dei tre ricordati testi, per aver entrambi lavorato insieme al ricorrente per conto della cooperativa resistente.
A prescindere, invero, dal fatto che non risulta - allo stato - che alcuno di essi abbia mai intentato una controversia contro la cooperativa resistente, non è comunque ravvisabile nella semplice circostanza che lo stesso potrebbe avere un interesse di mero fatto da un determinato esito della lite, avendo ripetutamente escluso la giurisprudenza di legittimità che l'incapacità a testimoniare di cui all'art.246 c.p.c. ricorra nel caso del lavoratore - testimone che sia a sua volta parte in una causa connessa nei confronti del comune datore di lavoro (Vedi in particolare Cass. Sez. Lav. n.7800 del 14/7/1993 in Giust. Civ., 1993, I, 2930; Cass. 17/1/1987 n.387), perché in questa ipotesi il teste non ha effettivamente un interesse giuridicamente rilevante che possa legittimare la sua partecipazione al giudizio con un intervento principale (Vedi sul punto Trib. Sez. Lav. Trani n.364 del 22/4/1998; n.510 del 29/4/1998 e n.509 del 06/5/1998).
Il presente ricorso merita quindi integrale accoglimento con contestuale condanna della cooperativa resistente, in persona del suo liquidatore, al pagamento in favore del LA FORTEZZA della somma di £ 10.542.178., relativa a differenze retributive che mai versati al ricorrente e comunque dovutigli, oltre accessori di legge e spese di giudizio liquidate come da dispositivo.
Non merita, invece, accoglimento la spiegata domanda riconvenzionale della cooperativa datrice di lavoro nei confronti del ricorrente, tesa a vederlo condannato, una volta riconosciuta la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato nella fattispecie, in quanto le dimissioni date dal ricorrente il 7.1.1996, che nel suo interrogatorio formale lo Spadavecchia ha ricordato essere avvenute non solo oralmente ma anche de relato (nel senso che non gli sono state riferite direttamente dal ricorrente, ma da altra guardia presente sul posto di lavoro), non sono state seguite da alcuna contestazione e/o intimazione della cooperativa al proprio dipendente, sicché debbono in questa sede ed a tutti gli effetti ritenersi implicitamente e sostanzialmente accettate dalla cooperativa ricorrente.
Sul punto si ricorda come la giurisprudenza di legittimità ha affermato (cfr. Cass. n° 617 del 1999) che: "La particolare disciplina stabilita, in materia di estinzione del rapporto di lavoro subordinato dagli articolo 2118 e 2119 Cod. Civ., che prevedono atti unilaterali di recesso sia in caso di licenziamento intimato dal datore di lavoro, che di dimissioni rassegnate dal lavoratore, non esclude che siano valide ed operative tutte quelle manifestazioni bilaterali dell'autonomia negoziale che danno luogo alla fattispecie della risoluzione consensuale del contratto; è valida pertanto la risoluzione per mutuo consenso, ancorché desumibile da comportamenti concludenti delle parti, a nulla rilevando che la legge od il contratto collettivo prescrivano la forma scritta ad substantiam per il licenziamento o le dimissioni".
Anche la giurisprudenza più recente invocata sul punto dalla difesa della cooperativa resistente (cfr. Cass. 25.2.2000, n. 2170) che prevede la necessità di "ulteriori circostanze di fatto confermative dell'intento del lavoratore di recedere dal rapporto" è inutile a far ritenere accoglibile la domanda riconvenzionale de qua, ove si pensi che tali circostanze di fatto confermative della volontà del LA FORTEZZA di recedere dal proprio rapporto di lavoro, dopo l'abbandono del posto di lavoro stesso, sussistono nella fattispecie e sono ravvisabili, quantomeno, non solo nella mancata ripresa del lavoro entro termini ragionevolmente brevi, ma anche nelle reiterate missive che, nei mesi di giugno e luglio del 1996 il ricorrente ha inviato alla cooperativa resistente per definire bonariamente le pendenze derivanti dal proprio ormai spirato rapporto di lavoro.
Alla soccombenza consegue anche il pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
P. Q. M.
Il Giudice del Tribunale di Trani, Sezione lavoro, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con ricorso del 18/10/1996 da LA FORTEZZA FRANCESCO contro la cooperativa "METRONOTTE GENERAL SERVICE S.r.l.", in persona del suo liquidatore, così provvede:
1) accoglie il ricorso e condanna per l'effetto il liquidatore della citata cooperativa resistente a pagare al LA FORTEZZA la somma di complessive £10.542.178, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali per le causali di cui al ricorso;
2) rigetta la domanda riconvenzionale spiegata nei confronti di parte ricorrente;
3) condanna infine la ditta resistente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in £ 1.050.000, di cui £ 50.000 per esborsi, da distrarsi in favore del procuratore, dichiaratosi anticipatario
Così deciso in Trani il 29/1/2001
Il Giudice del Lavoro
(F.to: Dr.ssa Maria Antonietta Chirone)