Il Giudice del lavoro, dott.ssa Manuela Saracino, all’udienza del giorno 20.1.2004, tenuta in Bari, ha emesso la seguente
nella controversia in materia di lavoro
NS - ricorrente- rappresentato e difeso dall’ Avv. ***
E
Con ricorso depositato il 29.10.1999 il ricorrente in epigrafe indicato conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Bari, in funzione di Giudice del lavoro, il resistente e, premesso di aver lavorato alle dipendenze di quest’ultimo dal maggio 1990 al 31.12.1994 con mansioni inquadrabili in quelle di operaio di IV categoria di cui al CCNL; che aveva svolto il seguente orario di lavoro: dalle ore 8 alle 13 e dalle 14 alle 18 dal lunedì al sabato; che aveva ricevuto una retribuzione inferiore a quella prevista dal CCNL e comunque insufficiente ex art. 36 Cost.; di non aver percepito nulla per il lavoro straordinario svolto; di non aver ricevuto la 13a mensilità, né l’indennità per ferie non godute, né il TFR; che, tenuto conto di quanto già percepito, rimaneva creditore della somma di £ 86835.536, oltre accessori; che vano era risultato il tentativo di conciliazione esperito presso la Commissione Provinciale del Lavoro di Bari; tutto ciò premesso, chiedeva di condannare il resistente al pagamento, in suo favore, della somma di cui sopra, oltre interessi e rivalutazione dalla data di maturazione del credito sino al soddisfo, nonché di condannare la resistente alla regolarizzazione contributiva; il tutto, con vittoria delle spese di lite.
La resistente si costituiva e chiedeva il rigetto della domanda.
Evidenziava che nessun rapporto di lavoro subordinato era intercorso con il N, il quale aveva svolto delle prestazioni autonome ed occasionali per suo conto per uno o due giorni al mese, senza osservare orari di lavoro o disposizioni datoriali.
Veniva espletata la prova testimoniale e all’odierna udienza, la causa è stata decisa come da separato dispositivo.
La domanda è infondata e va pertanto rigettata.
Ed invero, a fronte della difesa avversa, con la quale la ditta resistente ha negato in radice di aver avuto alle proprie dipendenze il ricorrente, affermando che quest’ultimo ha svolto solo incarichi saltuari per suo conto e che, pertanto, detto rapporto ha rivestito i caratteri di quello autonomo, il ricorrente, non ha dimostrato (come era suo onere, ex art. 2697 c.c.) di aver svolto in favore della ditta E mansioni riconducibili nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato.
Occorre premettere che l'elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato rispetto a quello di lavoro autonomo è costituito dall'inserimento del prestatore nell'organizzazione del datore di lavoro con conseguente assoggettamento del primo al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del secondo, fermo restando che in ogni caso assume valore decisivo non già il nomen iuris adottato dalle parti, ma il modo concreto di atteggiarsi del rapporto nella sua concreta esplicazione.
E’ stato
affermato, da ultimo, dalla Suprema corte (cfr. sent. n. 6673 del 29.4.2003)
che “Ai fini della distinzione del rapporto di
lavoro subordinato da quello autonomo, elementi rilevanti sono
l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e
disciplinare del datore di lavoro, che deve estrinsecarsi nella emanazione di
ordini specifici, oltre che nell'esercizio di un'assidua attività di vigilanza
e controllo nella esecuzione delle prestazioni lavorative, e il suo inserimento
nell'organizzazione aziendale, da valutarsi con riferimento alla specificità
dell'incarico conferitogli e alle modalità della sua attuazione. Altri
elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione,
l'osservanza di un orario, la localizzazione della prestazione, assumono natura
meramente sussidiaria e non decisiva”; che, ancora, “Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, poiché
l’iniziale contratto è causa d’un rapporto che si protrae nel tempo, la volontà
che esprime e lo stesso nomen juris che utilizza, pur necessari elementi di
valutazione, non costituiscono fattori assorbenti; ed il comportamento
posteriore alla conclusione del contratto diventa elemento necessario non solo
(per l’articolo 1362, secondo comma, c.c) all’interpretazione dello stesso
iniziale contratto, bensì all’accertamento di una nuova diversa volontà
eventualmente intervenuta nel corso della relativa attuazione e diretta a
modificare singole clausole e talora la stessa natura del rapporto di lavoro
inizialmente prevista”.
Pertanto, in caso di contrasto fra iniziali dati formali e successivi dati fattuali
(emergenti dallo svolgimento del rapporto), questi assumono necessariamente un
rilievo prevalente; ciò, non solo nell’ambito della tutela del lavoratore
subordinato, bensì (con ulteriore fondamento) ai fini della necessaria tutela
del terzo (quale l’istituto previdenziale), il quale diventi parte d’un
rapporto avente causa dall’attuazione d’un contratto intervenuto fra altri
soggetti che lo hanno precostituito nel proprio esclusivo interesse e,
eventualmente, anche in suo danno.
L’elemento distintivo del rapporto di lavoro
subordinato è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e
disciplinare del datore, con la conseguente limitazione della sua autonomia ed
il suo conseguente inserimento nell’organizzazione aziendale. Altri elementi,
quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza d’un
orario e la forma della retribuzione, assumono natura meramente sussidiaria e
non decisiva.
(Cass. Sez. lav., n. 4682 del 2.4.2002; conf. id., 6.7.2002 n. 9853; id.,
20.1.2000 n. 608; id., 23.11.1998; id., n. 2370 del 4.3.1998; id., 22.6.1997 n.
5520; id., n. 6919/94).
La giurisprudenza ha anche fatto riferimento, ai fini della qualificazione del rapporto, anche ad ulteriori elementi, di carattere sussidiario, caratterizzanti il rapporto di lavoro subordinato.
Si è infatti sostenuto che “La subordinazione implica la messa a disposizione, da parte del lavoratore, delle proprie energie psicofisiche a favore del datore di lavoro, con conseguente assoggettamento al potere direttivo e disciplinare di costui - potere disciplinare il cui esercizio è sicuro indice di subordinazione, laddove il mancato esercizio dello stesso non dimostra l'insussistenza di tale requisito - e conseguente vincolo di natura personale; ove non sia agevole, alla luce dei suddetti criteri, l'apprezzamento della subordinazione o dell'autonomia, possono soccorrere, ai fini della qualificazione del rapporto, quali elementi indiziari rilevanti nell'ambito di una valutazione globale della vicenda, criteri distintivi sussidiari, come l'esistenza in capo al lavoratore di un'organizzazione imprenditoriale, sia pure in termini minimi, che nel lavoro autonomo non può mancare, ovvero l'incidenza del rischio economico attinente all'esercizio dell'attività lavorativa, che nel lavoro autonomo grava sullo stesso lavoratore. (in tal senso, Cass. Sez. lav. n. 11329 del 18.12.1996; conf. id., n. 3674 del 27.3.2000).
In tale ottica valore determinante assume l'individuazione della comune intenzione delle parti, onde accertare se esse hanno voluto l'inserimento del prestatore di lavoro nell'organizzazione del datore di lavoro con conseguente assoggettamento del primo al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del secondo.
Ed allora, un ruolo preminente ai fini della qualificazione del rapporto deve riconoscersi alla volontà espressa dalle parti al momento della conclusione del contratto: qualora l'intendimento dei soggetti interessati di attribuire una certa natura giuridica all'accordo emerga in modo non equivoco, la prova circa la sussistenza degli elementi integranti un tipo diverso deve essere, infatti, particolarmente rigorosa. In merito alla verifica di una situazione difforme sul piano delle modalità di svolgimento del rapporto, i criteri discretivi che vengono in rilievo sono, in primo luogo, l'inserzione del prestatore nell'organizzazione aziendale e l'assoggettamento all'altrui potere direttivo e disciplinare, e, quali indici ulteriori, la continuità della prestazione, la proprietà degli strumenti di lavoro, l'incidenza soggettiva del rischio economico e gestionale dell'attività svolta, l'esistenza di vincoli d'orario.
Tanto premesso in diritto, in punto di fatto va evidenziato che nel ricorso il N ha sostenuto di aver lavorato alle dipendenze del resistente dal maggio 1990 al 31.12.1994 con mansioni di operaio, inquadrabili nella IV categoria di cui al CCNL, e di aver svolto il seguente orario di lavoro: dalle ore 8 alle 13 e dalle 14 alle 18 dal lunedì al sabato.
Nella memoria di costituzione il resistente ha negato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, avendo affermato che solo saltuariamente il ricorrente ha svolto incarichi per suo conto, mediamente per una o due metà giornate al mese, in tutta autonomia e sempre in base alla sua disponibilità; è ciò anche in virtù del fatto che il N nutriva una aspettativa in merito ad una assunzione presso il Policlinico.
Orbene, occorre premettere innanzitutto che il rapporto di lavoro per cui è causa è caratterizzato dall’assenza di un contratto scritto cui far riferimento, sicchè la valutazione del concreto atteggiarsi del rapporto, alla luce dei principi giurisprudenziali innanzi esposti., assume primaria importanza ai fini della valutazione della fondatezza della domanda.
Detta valutazione impone il rigetto del ricorso, posto che dalle dichiarazioni testimoniali raccolte nel corso dell’istruttoria, è emerso che, contrariamente a quanto asserito nel ricorso, il N non ha dimostrato che il rapporto di lavoro intercorso con la resistente ha rivestito i caratteri della subordinazione.
In particolare, nessuno dei testi, neppure quelli di parte ricorrente, hanno confermato la circostanza relativa alla continuità della prestazione e all’osservanza, da parte del ricorrente, delle direttive impartite dal datore di lavoro.
Il teste R ha dichiarato che fu lo stesso N a rifiutare l’assunzione in quanto doveva mantenere lo status di disoccupato per non essere escluso dalla graduatoria del Policlinico e che solo saltuariamente lo incontrava presso il magazzino della ditta resistente.
Il teste S ha confermato tale circostanza, aggiungendo che fu lo stesso ricorrente a rifiutare di essere regolarmente assunto; ha riferito, poi, che il N personalmente gli riferì che il titolare della ditta non aveva accettato di farlo lavorare “a nero”.
Il teste S, dal canto suo, ha escluso di aver visto lavorare il N nel locale della resistente.
I testi di parte ricorrente, poi, hanno riferito circostanze insufficienti, considerato l’orientamento giurisprudenziale innanzi riportato, a fondare il convincimento di questo giudice sulla sussistenza della subordinazione.
Ed invero, il teste S, ex dipendente della convenuta, pur avendo affermato che il N osservava un orario di lavoro, ha dichiarato che quest’ultimo “veniva a lavorare ogni giorno, tranne alcune volte; non so per quale motivo. Capitava che io un giorno avessi da fare e quindi non mi presentavo. Ciò poteva avvenire per esigenze personali e di salute. Nell’arco di un mese ciò capitava anche per il N con una frequenza media di tre volte…Il R (cioè, il titolare della ditta E; nota dell’estensore) ci seguiva nello svolgimento del lavoro e veniva almeno una volta al giorno”
Il teste R, analogamente, ha dichiarato che erano tenuti a rispettare gli orari di lavoro e che, però, se un giorno non volevano andare a lavorare, potevano farlo senza avvertire; che ciò capitava più o meno tre volte al mese.
Dalla istruttoria svolta è emerso, quindi, con sufficiente chiarezza, l’assenza dell’inserimento del N nell’organizzazione aziendale del resistente, se è vero, come è vero, che egli poteva assentarsi dal lavoro senza neppure avvertite, con la frequenza media di tre volte al mese.
Né è emerso che, relativamente a tale assenze, il resistente abbia mai esercitato alcun potere disciplinare; nessuna prova, in fatti, vi è circa la applicazione di sanzioni o di contestazioni, scritte o orali, per le assenze dal posto di lavoro.
Mancava nella specie, pertanto, alcuna vigilanza e controllo sulla regolare esecuzione della prestazione lavorativa da parte del datore di lavoro; attività che, secondo l’insegnamento della Cassazione, deve estrinsecarsi nella emanazione di ordini specifici, oltre che nell'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e controllo nella esecuzione delle prestazioni lavorative.
E ciò è confermato anche dal fatto che il R non era presente fisicamente sul posto di lavoro, così come indirettamente desumibile dalle dichiarazioni del teste S, allorquando ha dichiarato che il titolare seguiva i suoi operai nello svolgimento del lavoro e che ”veniva almeno una volta al giorno”.
Ed allora, va evidenziato che l’istruttoria svolta, da un lato, non ha confermato la tesi del resistente sulla saltuarietà delle prestazioni rese dal ricorrente, e, dall’altro, non ha però confortato l’assunto difensivo di cui al ricorso, nella misura in cui è assolutamente insufficiente a dimostrare lo svolgimento di attività subordinata – con le caratteristiche innanzi delineate da parte del N.
Per le ragioni svolte, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P . Q . M.
Rigetta la domanda;
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del resistente,che liquida in complessive € 700,00 ( di cui € 400,00 per onorari), oltre accessori.
Bari, 20.1.2004