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Sentenza n.114 del 24.2.99

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Trani – Sezione per le controversie in materia di lavoro e previdenza – composto dai Magistrati:

1) Dott. Adriana Doronzo Pres. Rel.

2) Dott. Francesco Zecchillo Giudice

3) Dott. Pietro Mastrorilli Giudice

ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa in materia di lavoro – previdenza – assistenza in grado di appello iscritta sul ruolo generale al n.1621 R.G. 1997.

TRA

UVA Lidia, rappresentata e difesa dall’Avv. Nicolò Palumbo, giusta procura a margine del ricorso in appello, ed elettivamente domiciliata in Trani presso lo studio dell’Avv. Nicola Baldassarre;

-Appellante-

E

Ditta "LA FIORENTE" di Aruanno Giuseppe, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, corrente in Bisceglie, rappresentata e difesa dall’Avv. Antonio Belsito in virtù di procura, elettivamente domiciliata in Trani presso lo studio dell’Avv. G. de Zio;

-Appellata-

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Pretore di Trani, in funzione di giudice del lavoro, depositato in data 2 dicembre 1992, Uva Lidia esponeva che aveva prestato le proprie energie lavorative alle dipendenze di Aruanno Giuseppe dal 1.4.1991 al 16.7.1992 con le mansioni di commessa; che non aveva percepito la giusta retribuzione; non aveva mai ricevuto la tredicesima e la quattordicesima mensilità, il compenso per il lavoro straordinario svolto e il trattamento di fine rapporto, fatta eccezione per £. 1.200.000.

Assumeva dunque di essere creditrice della somma di £. 21.376.470 come da conteggi allegati al ricorso.

Tanto premesso, la ricorrente chiedeva la condanna di Aruanno Giuseppe al pagamento a suo favore della somma su indicata e per le causali analiticamente risultanti dai conteggi, redatti sulla base della contrattazione collettiva di categoria, nonché ai sensi dell’art.36 Costituzione.

In via istruttoria, chiedeva che fossero ammessi l’interrogatorio formale del convenuto e la prova testimoniale "con testi che si riserva(va) espressamente di indicare".

Si costituiva in giudizio la ditta "La Fiorente" di Aruanno Giuseppe, che contestava di aver mai avuto alle sue dipendenze la Uva; eccepiva l’inapplicabilità nei suoi confronti del c.c.n.l., non essendo iscritto ad alcuna organizzazione sindacale firmataria di contratti collettivi; rilevava infine la nullità del ricorso per l’indeterminatezza della domanda ex art.414, n.3 c.p.c..

Concludeva pertanto per il rigetto della domanda, con vittoria di spese e competenze processuali.

Istruita la causa (attraverso l’assunzione dell’interrogatorio formale del convenuto e l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio), l’adito Pretore, con sentenza emessa il 24 maggio 1996, rigettava la domanda, siccome non provata, e compensava le spese processuali.

Riteneva il primo giudice che non vi era prova certa dell’esistenza del rapporto di lavoro, anche per la decadenza in cui era incorsa la ricorrente a causa della mancata indicazione in ricorso delle persone da sentire come testimoni.

Avverso tale sentenza ha proposto appello innanzi a questo Tribunale, con ricorso depositato in data 16 maggio 1997, la Uva chiedendo, per i motivi di seguito indicati, la riforma della sentenza impugnata con vittoria delle spese del doppio grado del giudizio.

Ricostituitosi il contraddittorio, l’appellato ha contestato la fondatezza del gravame, del quale ha chiesto il rigetto, con la condanna dell’appellante alla rifusione delle spese di giudizio.

Con ordinanza del 12 marzo 1998, il Tribunale ammetteva la prova testimoniale richiesta dell’attrice; quindi, all’odierna udienza l’appello è stato discusso dai procuratori delle parti e deciso dal Tribunale come da separato dispositivo, reso pubblico mediante lettura nella stessa udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Vanno respinte le eccezioni di rito sollevate dal convenuto.
  2. Sull’inammissibilità del gravame per la mancata indicazione dei motivi, va rilevato che per soddisfare il precetto dell’art.342 c.p.c. non occorre che i motivi di impugnazione siano minuziosamente indicati, ma è sufficiente che le dedotte censure siano idonee a delimitare l’oggetto della devoluzione al giudice di appello. Inoltre, quando si denuncia l’errata valutazione degli elementi di prova sui quali si fonda la pronuncia, non occorre un’analisi critica della sentenza impugnata (Cass. 4.3.1977, n.880).

    Nella specie, la lavoratrice, nella parte espositiva del ricorso in appello, ha indicato esattamente i motivi di doglianza che muove alla sentenza del pretore: ha infatti censurato la decisione nella parte in cui ha ritenuto non provata la domanda, e ciò nonostante la sua richiesta di ammissione della prova testimoniale articolata nel ricorso, sulla quale il giudice avrebbe omesso di provvedere, e le risultanze dell’interrogatorio resi dal convenuto.

    Pure infondata è l’eccezione di nullità del ricorso introduttivo per l’indeterminatezza dell’oggetto della domanda: non vi è dubbio, infatti, che: a) la "causa petendi" è chiaramente delineata, avendo dedotto la ricorrente di aver prestato lavoro quale commessa alle dipendenze dell’Aruanno e di aver diritto agli emolumenti indicati nei conteggi (differenze retributive, ferie non godute, lavoro festivo, t.f.r.; a) anche il petitum è certo, sia nella forma del petitum immediato (la condanna del datore di lavoro al pagamento di determinate somme), sia in quella del petitum mediato (la somma di £. 21.376.470).

    E’ dunque certa l’individuazione dei beni della vita domandati.

  3. L’esame del merito conduce a risultati favorevoli alla ricorrente.

E’ principio affermato dalla Corte di Cassazione che la mancata indicazione, nel ricorso introduttivo della controversia di lavoro, dei testi da escutere sui capitoli di prova testimoniale ritualmente formulati, non comporta la nullità del ricorso medesimo ovvero l’inammissibilità della prova medesima, potendo in tal caso il giudice, in applicazione dell’ultimo comma dell’art.244 c.p.c. (nel testo vigente prima della novella del 1990, n.353, applicabile alla controversia de qua, perché introdotta prima del 30.4.1995), assegnare alla parte un termine perentorio per formulare o integrare tale indicazione (Cass. 3.11.1992, n.11908). Nell’istruttoria svolta in primo grado, il giudice ha del tutto omesso di provvedere sulla richiesta di prova testimoniale, avanzata dalla lavoratrice nel ricorso e reiterata all’udienza del 14.1.1994, unitamente alla richiesta di assegnazione di un termine per l’indicazione dei testi.

Tale omissione –cui peraltro è seguita l’ordinanza con cui è stata disposta la c.t.u. contabile- costituisce ragione sufficiente perché sia il tribunale ad ammettere il mezzo di prova, ritenendo lo stesso indispensabile ai fini di una più compiuta cognizione dei fatti di causa (e, precisamente, del fatto costitutivo della pretesa) e non essendo la parte appellante –che ha puntualmente riproposto l’istanza di ammissione della prova con il ricorso in appello- incorsa in alcuna decadenza (cfr. Cass. 22.3.1994, n.2716; Cass.12.7.1995, n.7611; Cass. 22.3.1995, n.12059).

La prova espletata ha consentito di accertare la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato.

Vengono in primo luogo in rilievo le dichiarazioni rese dai testi Uva Giuseppe, Pietro Spadavecchia e Coppolecchia Giuseppe, i quali hanno concordemente dichiarato che dal marzo-aprile 1991 al luglio del 1992 la Uva ha lavorato come commessa nel negozio "la Fiorente" dell’Aruanno. In particolare, il teste Uva, fratello della ricorrente, ha riferito di essere stato contattato personalmente dal convenuto, il quale, avendo necessità di una commessa per il suo negozio, gli chiese se la sorella, già commessa alle dipendenze della Benetton, fosse disponibile. Il teste ha pure precisato le ragioni per cui si interessava alle vicende di lavoro della sorella, così offrendo elementi di valutazione sulla sua attendibilità.

Altrettanto attendibili sono parsi il teste Coppolecchia Sergio, coniuge della Uva e, all’epoca, suo fidanzato, e Spadavecchia Pietro, commercialista con uno studio posto nei pressi del negozio "la Fiorente" e frequentatore del negozio stesso nel periodo in questione: entrambi hanno confermato la durata del rapporto, gli orari di lavoro rispettati, la paga percepita, le mansioni svolte della lavoratrice.

Non sembra che l’attendibilità di quest’ultimo teste possa essere inficiata da fatto che, in qualità di consigliere comunale del Comune di Molfetta, abbia celebrato le nozze tra la ricorrente e il teste Coppolecchia e che abbia, inoltre, redatto i conteggi utilizzati nel ricorso introduttivo del giudizio.

Si tratta di attività professionale, svolta su incarico del legale della lavoratrice, che non incide sulla conoscenza dei fatti di causa, siccome riferiti dal teste né lo espone a particolari obblighi di natura deontologica.

Le dichiarazioni dei testi hanno trovato una sia pur indiretta conferma nella deposizione del teste De Pinto Felicita, titolare di un esercizio commerciale posto nelle vicinanze del negozio dell’Aruanno, la quale, non senza esitazioni, ha dovuto ammettere che la Uva frequentava il negozio "la Fiorente"; che, all’ora di pranzo di quasi tutti i giorni, nel 1992, si tratteneva nel suo negozio per attenderne la chiusura e recarsi a casa in compagnia della stessa De Pinto. Alla domanda precisa in ordine alle ragioni della presenza della Uva nel negozio dell’Aruanno, la teste ha finito con l’ammettere che la stessa vi lavorava come commessa.

A ciò deve aggiungersi che l’Ispettorato provinciale del lavoro ha contestato all’Aruanno le violazioni di cui agli artt.14 e 35 l. 24.11.1981, n.689, per l’omesso versamento all’I.N.P.S. dei contributi previdenziali e di assistenza dovuti per la Uva in qualità di commessa dal 2.4.1991 al 16.7.1992.

Orbene, a fronte di queste univoche risultanze probatorie, appare assai inverosimile l’assunto del convenuto, secondo il quale la Uva s’intratteneva nel negozio per ragioni di amicizia, senza che mai si sia costituito tra di loro un rapporto di lavoro subordinato: hanno invece il valore di vere e proprie ammissioni le dichiarazioni rese dall’Aruanno in sede di interrogatorio formale, laddove ha riconosciuto che la Uva frequentava in maniera saltuaria il suo negozio per ragioni di amicizia e che saltuariamente la ricompensava con qualche regalo.

Alla luce dei risultati dell’istruttoria espletata, ritiene il collegio che siano in concreto riscontrabili gli elementi tipici del rapporto di lavoro subordinato.

Deve rammentarsi che, per costante giurisprudenza, l’elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato da ogni altro rapporto di collaborazione (lavoro autonomo o para-subordinazione) è costituito dal vincolo di subordinazione inteso come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, mentre nel caso in cui vi sia una attenuazione di tale vincolo ovvero il suo concreto atteggiarsi non sia agevolmente apprezzabile, possono soccorrere altri criteri consistenti nell’oggetto della prestazione, nell’esistenza o meno, di una organizzazione di impresa, anche in termini minimi, da parte del lavoratore e dell’incidenza del rischio. (Pret. Roma, 6.5.1995; Cass: 17.11.1994, n.9718; Cass. 1.4.1995, n.3853; Cass. 7.2.1994, n.1219; Cass. 17.12.1994, n.10829)

E’ risultato dall’espletamento dell’istruttoria, come sopra si è detto, che la Uva svolgeva le mansioni di commessa: in particolare è emerso che la lavoratrice serviva i clienti, sistemava la merce e le vetrine.

Il rapporto di lavoro aveva carattere continuativo (v. teste De Pinto, Coppolecchia e Spadavecchia); la ricorrente percepiva un compenso fisso, stabilito in £. 700.000 mensili.

Questi elementi, che appaiono di per sé dotati di un certo grado di univocità e concordanza, depongono nel senso dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato: la lavoratrice, infatti, era stabilmente inserita nell’organizzazione dell’attività di impresa; doveva attenersi alle scelte dell’imprenditore in ordine alle modalità di esecuzione della prestazione; riceveva da lui un compenso mensile, rispettava un certo orario di lavoro.

A fronte di queste risultanze, l’assunto del convenuto è rimasto sfornito di prova.

Ora, considerate la qualità e la quantità del lavoro prestato dalla Uva nel periodo in questione, e mansioni svolte, che consentono di inquadrarla nel quarto livello del contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti da aziende commerciali del settore abbigliamento, vanno condivise le conclusioni raggiunte dal c.t.u. dott. Giuseppe Tammaccaro, che ha calcolato in complessive £. 20.873.573, le competenze spettanti alla ricorrente (£. 13.107.348 per differenze paga; £ 1.442.075 per ratei mensilità aggiuntiva; £. 2.417.960 per lavoro straordinario; £. 1.969.175 per t.f.r. e £. 1.937.015 per indennità di ferie non godute): non vanno, infatti, riconosciuti alla ricorrente i ratei relativi alla quattordicesima mensilità, trattandosi di un istituto contrattuale per la cui applicabilità occorreva dimostrare l’appartenenza del datore di lavoro ad una delle associazioni sindacali stipulanti l’accordo collettivo, mentre devono essere riconosciuti l’indennità sostitutiva delle ferie non godute (avendo la ricorrente provato di non aver goduto delle ferie: v. teste Coppolecchia) e il compenso per il lavoro straordinario, in considerazione del lavoro svolto oltre le quaranta ore settimanali (i testi hanno infatti confermato che la Uva lavorava dalle ore 9,00 alle 13-13,30 e dalle ore 16 (d’inverno) o 17 (in estate) fino alle 20,45 (d’inverno) o 21,30 (d’estate) tutti i giorni della settimana, tranne il lunedì mattina, in cui il negozio rispettava il turno di chiusura settimanale).

Circa l’assunto dell’Aruanno dell’inapplicabilità nei suoi confronti della contrattazione collettiva, per non essere iscritto ad alcuna associazione di categoria stipulante, questo collegio condivide il principio secondo cui, nella domanda intesa al riconoscimento delle differenze retributive sulla base di un determinato contratto collettivo, deve ritenersi implicita la richiesta di adeguamento della retribuzione medesima a norma dell’art.36 Cost., sicché non incorre nel vizio di ultra petizione il giudice che, adito con domanda di adeguamento della retribuzione alla stregua della contrattazione collettiva, l’accolga in base al citato precetto costituzionale, utilizzando quale elemento parametrico di raffronto, ai fini della verifica giudiziale, ex art.36 Cost., dell’adeguatezza delle retribuzioni pagate rispetto al c.d. corrispettivo costituzionale, i minimi salariali fissati dalla contrattazione collettiva, presuntivamente corrispondenti ai criteri dettati dall’art.36 Cost.

Sotto tale riguardo, la consulenza tecnica di ufficio è immune da ogni censura sotto il profilo logico giuridico e pertanto le conclusioni ivi formulate meritano di essere integralmente accolte.

Pertanto, il Aruanno deve essere condannato al pagamento in favore della ricorrente della suddetta somma, maggiorata della rivalutazione monetaria e degli interessi legali a far tempo dal giorno della maturazione del credito e fino all’effettivo pagamento.

In virtù del criterio della soccombenza le spese di entrambi i gradi del giudizio vanno poste a carico del convenuto.

P.Q.M.

Il Tribunale di Trani, Sezione Lavoro, definitivamente pronunciando sull’appello proposto, con ricorso depositato in data 16 maggio 1997, da Uva Lidia avverso la sentenza resa dal Pretore del lavoro di Trani – Sezione Distaccata di Bisceglie, il 10 maggio 1996, tra l’appellante e Aruanno Giuseppe, titolare dell’impresa individuale denominata "la Fiorente", così provvede:

accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, condanna l'Aruanno al pagamento, in favore della Uva, della somma di £. 20.873.573, maggiorata della rivalutazione monetaria secondo indici I.S.T.A.T. e degli interessi legali sulle somme rivalutate a far tempo dal dì della maturazione dei diritti fino all’effettivo pagamento;

condanna l’Aruanno a rifondere le spese processuali sostenute dall’attrice in entrambi i gradi del giudizio, che si liquidano –quanto al giudizio di primo grado- in complessive £. 1.700.00, di cui £. 700.000 per esborsi, e – quanto a questo grado del giudizio- in complessive £. 2.100.000, di cui £.100.000 per esborsi, oltre all’i.v.a., al contributo previdenziale e alle spese generali come per legge.

Trani, addì 11.2.1999

Il Presidente est.

(F.to: dott. Adriana Doronzo)

Depositato in cancelleria il 24 febbraio 1999