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La prestazione creativa può essere subordinata

(Cassazione Sezioni Unite Civili 865/99)

Un rapporto di lavoro deve essere valutato non tanto in base alla sua qualificazione formale, quanto alle sue effettive caratteristiche, con la conseguenza che anche l’eventuale stipulazione di un contratto di collaborazione non impedisce di richiedere in seguito un trattamento analogo a quello previsto per un lavoratore dipendente quando, di fatto, la prestazione venga resa secondo le modalità tipiche del lavoro dipendente.

Questo principio, più volte ribadito dalla Corte di Cassazione, è ora stato ribadito ed "ufficializzato" dalle Sezioni Unite, che lo ritiene applicabile anche alla pubblica amministrazione, che deve essere considerata come un normale datore di lavoro quando utilizzi prestazioni lavorative tipiche del lavoro dipendente.

In particolare, la Cassazione ha sottolineato che, nel valutare le caratteristiche del rapporto, si deve tenere conto del tipo di mansioni affidate al lavoratore, poiché il vincolo di subordinazione assume una configurazione particolare nel caso in cui la prestazione abbia "carattere creativo e non meramente esecutivo" (come nel caso della prestazione di un professionista). In tali ipotesi s’instaura un rapporto di natura subordinata quando il lavoratore si tenga stabilmente a disposizione del datore di lavoro per eseguirne le istruzioni: in tal caso, oggetto della prestazione diventa non più il conseguimento di uno specifico risultato o l’esecuzione di un compito determinato – come dovrebbe avvenire in un rapporto di collaborazione – ma la costante messa a disposizione delle proprie energie e capacità professionali.

Pertanto, per la Suprema Corte "sussiste un rapporto di lavoro subordinato quando il professionista si tenga stabilmente a disposizione del datore di lavoro per seguirne le istruzioni, mentre sussiste un rapporto di lavoro autonomo quando le prestazioni siano singolarmente convenute in base ad una successione di incarichi fiduciari". L’inserimento di fatto del lavoratore nella struttura organizzativa del datore di lavoro determina allora la necessità di un inquadramento dello stesso quale dipendente. (3 marzo 2000)

Sentenza delle Sezioni Unite Civili n.865/99

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

RIJE DIEGO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38, presso lo studio NAPOLITANO, rappresentato e difeso dall'avvocato RICCARDO MARONE, giusta delega a margine del ricorso;-ricorrente-

contro

CUOMO ALBERTO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA. ADDA 105, presso lo studio dell'avvocato CHIAROMONTE-incidentale-

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. Franco MOROZZO DELLA ROCCA che ha concluso per il rigetto del ricorso principale ed incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 29 settembre 1989 il dott. D. R. conveniva in giudizio dinanzi al Pretore di Napoli, quale giudice del lavoro, l'Università degli Studi di Napoli, Federico II, in persona del suo legale rappresentante pro tempore. Esponeva di essere laureato in architettura e di avere collaborato sin dall'anno 1980 presso la cattedra di Progettazione architettonica della società convenuta svolgendo le seguenti attività didattiche e paradidattiche: assistenza alle lezioni settimanali del docente; partecipazione agli incontri interni di programmazione didattica; svolgimento di corsi di esercitazioni; correzione degli elaborati grafici degli studenti; predisposizione e cura di attività seminariali di intesa con il docente; collaborazione con gli studenti nelle ricerche attinenti al corso; partecipazione alle Commissioni di esame di profitto; svolgimento, di concerto con il professore titolare della cattedra, di tutta una serie di attività complementari alla didattica come attività di carattere organizzativo interno, stesura dei programmi, allestimento di mostre didattiche e così via. Esponeva, inoltre, di avere ottenuto nel 1984 dal Consiglio di Facoltà la nomina a cultore della materia e di avere prestato la sua attività per circa 11 ore settimanali per dieci mesi all'anno senza ricevere alcun compenso.

Chiedeva quindi che, in base all'art. 2233 del codice civile [1], fosse accertato il compenso a lui dovuto per l'attività svolta e che l'Università fosse condannata a corrispondergli la somma di lire 134.833.700 per il periodo dal 1 gennaio 1981 al 31 dicembre 1988, somma ottenuta utilizzando come parametro di determinazione equitativa l'accordo contrattuale per i ricercatori universitari, ovvero al pagamento di altra somma stabilita in via equitativa dal giudice.

Costituitasi in giudizio, l'Università eccepiva l’improponibilità della domanda per carenza assoluta di giurisdizione; l'incompetenza per materia del Pretore quale giudice del lavoro; il difetto di legittimazione passiva dell'Università in quanto l'attività svolta dal ricorrente era in ogni caso imputabile esclusivamente al docente quale titolare di cattedra; l'intervenuta prescrizione e comunque l'infondatezza della domanda.

Con sentenza in data 12 luglio 1991 il Pretore accoglieva la domanda.

Avverso la decisione del Pretore l'Università proponeva appello deducendo, in via pregiudiziale, l'inammissibilità assoluta della domanda; in subordine, la carenza di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria; nel merito l'infondatezza della domanda.

Con atto notificato in data 22 gennaio 1996 interveniva volontariamente in giudizio il titolare della Cattedra, il prof. Alberto Cuomo, il quale concludeva per l'accoglimento dell'appello principale con declaratoria di improponibilità assoluta della domanda e, comunque, per il difetto di giurisdizione.

Con sentenza depositata il 29 aprile 1997 il Tribunale di Napoli accoglieva l'appello, dichiarava il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria e la giurisdizione dell'autorità giudiziaria amministrativa trattandosi di controversia relativa a un rapporto di pubblico impiego.

Avverso la decisione del Tribunale l'architetto Diego Rije propone ricorso costituito da un solo motivo.

L'Università resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale costituito anch'esso da un solo motivo.

Il prof. Cuomo resiste con controricorso al ricorso principale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Devono innanzitutto essere riuniti in un solo processo i due ricorsi proposti avverso la stessa decisione ai sensi dell'art.335 del codice di procedura civile.

Il ricorrente principale denunzia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 409 cod. proc. civ. [2]e il vizio di motivazione.

Assume che il rapporto intercorso tra lui e l'Università non è qualificabile come rapporto di impiego pubblico, come affermato dal Tribunale, in quanto è privo del requisito della subordinazione gerarchica e non sussiste la volontà dell'ente di inserire il lavoratore nella propria organizzazione come dipendente; il rapporto deve essere invece considerato come attività di prestazione d'opera professionale a carattere continuativa e coordinato, inquadrabile nell'ambito dei rapporti di para-subordinazione contemplati dall'art. 409 n. 3 cod. proc. civ., così come correttamente ritenuto dal Pretore.

Il motivo è infondato.

Il vincolo di subordinazione assume una particolare configurazione quando la prestazione ha carattere creativo e non meramente esecutivo come ad esempio nel caso del lavoro dell'insegnante, del giornalista o in genere di un professionista.

In questi casi sussiste un rapporto di lavoro subordinato quando il professionista si tenga stabilmente a disposizione del datore di lavoro per eseguirne le istruzioni, mentre sussiste un rapporto di lavoro autonomo quando le prestazioni siano singolarmente convenute in base a una successione di incarichi fiduciari.

Nel caso in esame lo stesso ricorrente afferma di avere svolto "un'attività del tutto assimilabile, sia sotto il profilo della qualità che sotto il profilo della quantità, a quella di un ricercatore universitario": esercitazioni, correzioni di elaborati, collaborazioni nelle ricerche degli studenti, partecipazioni alle commissioni d'esame di profitto e laurea, stesura di programmi, organizzazione di seminari, preparazione di mostre didattiche.

Una serie di compiti che, come ha giustamente osservato il Tribunale, nel loro complesso si palesano pienamente omogenei a quelli del docente titolare ed altresì del ricercatore; il cui oggetto non è il conseguimento di un'opera o di un risultato compiuto, quanto piuttosto la messa a disposizione delle energie e della capacità professionale del prestatore di lavoro che viene così inserito nella organizzazione per i suoi fini istituzionali.

Obietta il ricorrente che egli ha svolto attività didattiche e paradidattiche, concertate con il docente, sulle quali veniva esercitato un controllo non così penetrante e incisivo da lasciar configurare un vero e proprio rapporto di subordinazione; che la predisposizione di programmi di studio veniva effettuata in maniera autonoma e solo di intesa con il docente; che le attività seminariali venivano erogate secondo cadenze e orari predeterminati ma pur sempre concordati con il titolare di cattedra; che le attività di giudizio relative a esami e correzioni, implicando valutazioni tecniche, non erano compatibili con un ampio potere direttivo; che i corsi di esercitazione, anche se il tema veniva stabilito con il docente, si svolgevano secondo un modulo che lasciava ampio spazio di autonomia, per quanto riguardava la metodologia di indagine e di approfondimento; e così via.

Si tratta tuttavia di modalità della prestazione lavorativa che dipendono dalla natura creativa dell'attività di insegnamento, ma non escludono il vincolo di subordinazione. Non escludono cioè che il lavoratore abbia svolto con continuità la sua attività, si sia sentito vincolato a svolgerla e il suo datore di lavoro abbia sentito di avere un diritto a questa attività continuativa; che in tal modo il lavoratore si sia inserito nell'organizzazione universitaria, sia stato preposto a determinati servizi e sia stato soggetto ai poteri di direzione, di controllo e di disciplina del datore di lavoro.

Con il motivo di ricorso incidentale l'Università lamenta che il Tribunale non abbia tenuto presente che la normativa vigente (art. 123, 2 comma del d.p.r, 11 luglio 1980 n. 382 e dodicesimo comma dell'articolo unico della legge 19 febbraio 1979 n. 54 [3]) fa divieto all'Università di instaurare rapporti di lavoro al di fuori delle previsioni e delle modalità disciplinate dalla legislazione universitaria e sancisce la nullità di diritto e l'assoluta improduttività di qualunque effetto nei confronti dell'amministrazione dell'assunzione di personale e dell'affidamento dei compiti istituzionali effettuati in violazione della suddetta legislazione. Di conseguenza il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare la carenza assoluta di giurisdizione in ordine alla domanda trattandosi di pretesa che non trova tutela, nemmeno astratta, nell'ordinamento.

Il motivo è infondato.

E' vero, infatti, che in passato questa Corte ha ritenuto improponibili per difetto assoluto di giurisdizione le domande di contenuto retributivo e previdenziale di precari universitari in quanto il dodicesimo comma dell'articolo unico della legge n. 54 del 1979 escludeva in ogni caso la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato (Cass. S.U. 16 marzo 1981 n. 1484; Cass. S.U. 23 ottobre 1984 n. 5378).

Si tratta di un indirizzo tuttavia che è stato recentemente disatteso da altre decisioni di questa Corte che hanno affermato, sia nelle controversie tra privati che nei confronti della P.A., che non può essere confusa l'infondatezza, o anche la manifesta infondatezza, della domanda con il difetto assoluto di giurisdizione; che le questioni inerenti all'esistenza nell'ordinamento di norme o principi che astrattamente contemplino e tutelino la posizione di diritto soggettivo fatta valere in giudizio, attengono al fondamento nel merito della domanda e non alla giurisdizione (Cass. S.U. 23 dicembre 1988 n. 7022; Cass. S.U. 7 gennaio 1993 n. 66); e ciò anche quando sia evidente la carenza di una posizione soggettiva tutelabile nei confronti della Pubblica amministrazione.

Ne consegue che il giudice amministrativo è competente sulla domanda diretta ad ottenere il compenso per l'attività espletata per l'Università; e la norma che dispone la nullità di diritto e l'assoluta improduttività di qualunque effetto e conseguenza dell'affidamento di compiti istituzionali effettuato in violazione della legislazione universitaria potrà eventualmente comportare l'infondatezza della domanda, ma non la sua improponibilità per carenza assoluta di giurisdizione.

I due ricorsi devono pertanto essere riuniti in un solo processo, devono essere rigettati entrambi e deve essere dichiarata la giurisdizione esclusiva dell'Autorità giudiziaria amministrativa. Si ritiene equo disporre la integrale compensazione delle spese tra tutte le parti in causa.

P.Q.M.

la Corte riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e dichiara la giurisdizione esclusiva dell'autorità giudiziaria amministrativa. Dichiara integralmente compensate le spese tra tutte le parti in causa.

(…)

Depositato in cancelleria il 7 dicembre 1999.