Sentenza Corte di Cassazione Sezione Lavoro
n. 8569 del 05 maggio 2004
LAVORO - La prestazione di lavoro elementare, ripetitiva e predeterminata non presuppone l’assoggettamento al potere direttivo e disciplinare del datore
La differenza sostanziale esistente tra il rapporto di lavoro subordinato e quello autonomo e’ che, secondo tutti i più recenti orientamenti, il primo, rispetto al secondo, e’ costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore, con assoggettamento del prestatore di lavoro al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, ed al conseguente inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti all'attività’ di impresa (ex multis Cassazione Civile del 3 aprile 2000 n. 4036; Cassazione Civile del 9 gennaio 2001 n. 224; Cassazione Civile del 29 novembre 2002 n. 16697; Cassazione Civile del 1° marzo 2001 n. 2970).
Al fine di qualificare un rapporto di lavoro subordinato la giurisprudenza in passato, ma specialmente di recente, ha individuato alcuni criteri essenziali; innanzitutto l'esistenza del vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito; secondo luogo, ci si deve servire di “criteri distintivi sussidiari”, quali la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale ovvero l'incidenza del rischio economico, l'osservanza di un orario, la forma di retribuzione, la continuità delle prestazioni e via di seguito (v. per tutte, Cassazione Civile del 27 marzo 2000 n. 3674; Cassazione Civile n. 4036/2000 cit.). L’attenuazione o la mancanza del potere direttivo e disciplinare, di solito riscontrata nella giurisprudenza di legittimità in relazione a prestazioni lavorative dotate di maggiore elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo (quali, ad esempio, quelle del giornalista), può, però, verificarsi anche in relazione a mansioni estremamente elementari e ripetitive, “le quali, proprio per la loro natura, non richiedono in linea di massima l'esercizio di quel potere gerarchico che si estrinseca - secondo quanto asserito in numerosissime pronunce di questa Corte - nelle direttive volta a volta preordinate ad adattare la prestazione alle mutevoli esigenze di tempo e di luogo dell'organizzazione imprenditoriale e nei controlli sulle modalità esecutive della prestazione lavorativa”.
In poche parole, il potere disciplinare e direttivo del datore potrebbe non sussistere anche nel caso in cui la prestazione si presenti assolutamente semplice e routinaria. Pertanto, si ritiene che possa sussistere una forma di subordinazione anche in assenza del vincolo di soggezione al potere direttivo del datore di lavoro ed in presenza, viceversa, dell'assunzione per contratto, da parte del prestatore, dell'obbligo di porre a disposizione del datore le proprie energie lavorative e di impiegarle con continuità (in particolare Cassazione Civile del 6 luglio 2001 n. 9167 e Cassazione Civile del 26 febbraio 2002 n. 2842).
La Cassazione ritiene opportuno, per le considerazioni su esposte, indicare un nuovo principio di diritto che contenga, in modo ben preciso, l’indicazione di tutti i criteri sussidiari idonei ad identificare il vincolo di subordinazione e soggezione al datore. Testualmente afferma: << Nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione ed al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare contesto, significativo, per la qualificazione del rapporto di lavoro occorre far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di auto-organizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro>>.
CASSAZIONE CIVILE, Sezione Lavoro, Sentenza n. 8569 del 05/05/2004
La Corte Suprema di Cassazione
Sezione Lavoro
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Sergio MATTONE - Presidente
Dott. Giovanni PRESTIPINO - Consigliere
Dott. Pietro CUOCO - Consigliere
Dott. Corrado GUGLIELMUCCI - Consigliere
Dott. Alessandro DE RENZIS - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
Sentenza
sul ricorso proposto da:
- IMPAROLATO GENNARO - IMPAROLATO ANTONIO - IMPAROLATO ASSUNTA - IMPAROLATO MARIA ROSARIA quali eredi di PASTORE LUCIA, elettivamente domiciliati in Roma, Via Pietro Sterbini 4, presso lo studio dell'Avv. Lucia Ricci rappresentati e difesi dall'Avv. Achille Vellucci del foro di Caserta come da procura in calce al ricorso;
- ricorrenti -
contro
CONSORZIO AURUNCO DI BONIFICA, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Dott. Giulio Gramegna;
- intimato -
nonche’ sul ricorso n. 4111/02 proposto da:
CONSORZIO AURUNCO DI BONIFICA, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Dott. Giulio Gramegna, elettivamente domiciliato in Roma, Via Cassiodoro 19, presso lo studio dell'Avv. Claudio Benucci, rappresentato e difeso dall'Avv. Achille Cipullo del foro di S. Maria Capua Vetere per procura a margine del controricorso;
- controricorrente ricorrente incidentale -
contro
- IMPAROLATO GENNARO - IMPAROLATO ANTONIO - IMPAROLATO ASSUNTA - IMPAROLATO MARIA ROSARIA quali eredi di PASTORE LUCIA, elettivamente domiciliati in Roma, Via Pietro Sterbini 4, presso lo studio dell'Avv. Lucia Ricci, rappresentati e difesi dall'Avv. Achille Vellucci del foro di Caserta come da procura in calce al ricorso;
- controricorrenti in relazione a ricorso incidentale -
per la cassazione della sentenza del Tribunale del Lavoro di S. Maria Capua Vetere n. 2855/01 del 19.10.2001/13.11.2001, R.G. n. 477/96.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 gennaio 2004 dal Cons. Dott. A. De Renzis;
udito l'Avv. Achille Vellucci per i ricorrenti principali e l'Avv. Claudio Benucci per il controricorrente Consorzio Aurunco di Bonifica;
sentito il p.m., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. FRAZZINI Orazio, che ha concluso chiedendo che, previa riunione dei ricorsi, venga rigettato il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Svolgimento del processo
Con ricorso, depositato il 20 aprile 1993, Lucia Pastore esponeva:
- di avere lavorato alle dipendenze del Consorzio Aurunco di Bonifica in base ad un fittizio contratto di appalto stipulato il febbraio 1974 per la durata di due anni, successivamente prorogato, svolgendo mansioni di addetta alla pulizia dello stabile, sede dell'ente;
- di non avere percepito le spettanze, dovute in base al C.C.N.L. ed in relazione all'art. 36 Cost., e il trattamento di fine rapporto.
Cio’ premesso, conveniva in giudizio l'anzidetto Consorzio proponendo in via principale domanda per conseguire le dovute spettanze retributive e i contributi assistenziali e previdenziali, ed in via subordinata spiegando domanda di arricchimento ai sensi dell'art. 2041 c.c.
L'adito Pretore di Sessa Aurunca respingeva il ricorso con sentenza del 17 aprile 1996, confermata, a seguito di appello proposto dalla Pastore, dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere con sent. n. 2855 del 2001.
Il Tribunale riteneva che dalle risultanze istruttorie (in particolare deposizioni testimoniali) non emergesse l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con l'Ente, ma piuttosto un rapporto di natura autonoma.
Gli eredi di Lucia Pastore propongono ricorso per cassazione con quattro motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c. Il Consorzio Aurunco di Bonifica resiste con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato articolato su due motivi, contrastato dagli eredi di Lucia Pastore con proprio controricorso.
Motivi della decisione
1. In via preliminare va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni relative alla medesima sentenza.
2. Va esaminato per primo il ricorso incidentale condizionato proposto dal Consorzio Aurunco di Bonifica, avendo priorita’ logica rispetto a quello principale.
Con il primo motivo del ricorso incidentale viene denunciata l'omessa motivazione sul punto decisivo della controversia, relativo all'eccezione, assorbente del merito, di nullita’ del ricorso originario in relazione alla mancata quantificazione del "petitum".
Tale motivo e’ infondato, atteso che il giudice di appello, il quale ha ampiamente riportato il contenuto della domanda introduttiva di primo grado (dando atto che la Pastore aveva descritto puntualmente le sue mansioni, aveva precisato l'entita’ del compenso ricevuto nel corso del periodo di lavoro alle dipendenze del Consorzio ed aveva chiesto, altresi’, la condanna del medesimo al pagamento delle "dovute spettanze retributive" e dei "contributi assistenziali e previdenziali"), nell'esaminare il merito ha evidentemente disatteso per implicito l'eccezione di nullita’ anzidetta.
Con cio’ risulta superata ed assorbita la censura svolta dagli eredi Imparato nel controricorso circa l'intempestivita’ del gravame incidentale del Consorzio in sede di appello proposto oltre il termine annuale in relazione a sentenza non notificata, gravame incidentale in ogni caso da ritenersi ammissibile ex art. 334 c.p.c. secondo prevalente giurisprudenza, che ha considerato ammissibili impugnazioni incidentali tardive contro capi autonomi della sentenza non gravati da appello principale (in questo senso ex multis Cass. sent. n. 1066 del 6 febbraio 1999; Cass. S.U. sent. n. 652 del 23 gennaio 1998; Cass. sent. n. 9787 del 16 settembre 1995; Cass. S.U. sent. n. 2331 del 5 marzo 1991).
Con il secondo motivo del ricorso incidentale viene dedotta l'omessa motivazione circa il punto decisivo della controversia relativo all'eccezione di prescrizione della pretesa azionata.
Tale motivo va dichiarato inammissibile, in quanto il suo esame spettera’ eventualmente al giudice di rinvio.
3. Con il primo motivo del ricorso principale i ricorrenti denunciano vizio di motivazione su un punto essenziale della controversia.
La censura riguarda le valutazioni svolte dal giudice di appello circa i criteri distintivi tra rapporto di lavoro e subordinato, assumendosi la loro erronea applicazione al caso di specie soprattutto alla luce delle deposizioni testimoniali.
Con il secondo motivo i ricorrenti principali deducono contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, (art. 360 c.p.c., n. 5).
La doglianza verte ancora sulla natura del rapporto di lavoro, qualificato in termini di autonomia dal giudice di appello, ed in particolare viene rilevata contraddittorieta’ tra il ragionamento svolto in ordine alla sporadica sottoposizione gerarchica della Pastore alle direttive del dirigente del Consorzio e le conclusioni tratte, contraddittorieta’ che si coglie, ad avviso dei ricorrenti, anche quando il Tribunale motiva l'assenza di potere gerarchico con la mancanza di provvedimenti espulsivi della lavoratrice, tanto piu’ che il contratto di appalto prevedeva la possibilita’ di un allontanamento dal lavoro della lavoratrice.
Con il terzo motivo i ricorrenti principali denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 2041c.c., in relazione all'art. 1655 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).
Al riguardo viene osservato che il Tribunale non ha considerato che era stata denunciata la nullita’ del contratto di appalto, e cio’ in relazione al fatto che era stata pretermessa la procedura cui era tenuto il Consorzio come ente pubblico e al fatto che erano carenti gli elementi essenziali di tale contratto, dal che derivava un illecito arricchimento dello stesso Consorzio ai danni della Pastore, la quale aveva lavorato per oltre venti anni percependo molto meno di un pensionato ai minimi dell'assistenza sociale, anche in assenza di contributi.
Con il quarto motivo i ricorrenti principali lamentano omessa pronuncia circa la richiesta di applicazione dell'art. 36 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 5).
4. I primi due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro intima connessione, sono fondati nei limiti che seguono.
Va premesso che, nonostante i motivi facciano riferimento alla disposizione dell'art. 360 c.p.c., n.5, i ricorrenti denunciano in realta’ un vizio di violazione di legge, nel senso che censurano l'erronea applicazione dei criteri distintivi posti dal giudice di appello nel ritenere che il rapporto in questione fosse di natura autonoma.
In conformita’ a quanto e’ stato affermato dalla sentenza impugnata nella parte iniziale della motivazione, va in primo luogo ricordato che questa Corte, premesso che ogni attivita’ umana economicamente rilevante puo’ essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo, ha, in effetti, ripetutamente affermato che l'elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto e’ costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilita’ del prestatore nei confronti del datore, con assoggettamento del prestatore di lavoro al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, ed al conseguente inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti all'attivita’ di impresa (ex multis Cass. 3 aprile 2000 n. 4036; Cass. 9 gennaio 2001 n. 224; Cass. 29 novembre 2002 n. 16697; Cass. 1° marzo 2001 n. 2970).
In numerose altre pronunzie si e’ opportunamente sottolineato, peraltro, che l'esistenza del vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificita’ dell'incarico conferito; e, proprio in relazione alle difficolta’ che non di rado si incontrano nella distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato alla luce dei principi fondamentali ora indicati, si e’ precisato che in tale ipotesi e’ legittimo ricorrere a criteri distintivi sussidiari, quali la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale ovvero l'incidenza del rischio economico, l'osservanza di un orario, la forma di retribuzione, la continuita’ delle prestazioni e via di seguito (v. per tutte, Cass. 27 marzo 2000 n. 3674; Cass. n. 4036/2000 cit.).
Ora, se l'attenuazione del potere direttivo e disciplinare, tale da non escludere pregiudizialmente la sussistenza della subordinazione e da consentire il ricorso ai menzionati criteri sussidiari, e’ stata di solito riscontrata nella giurisprudenza di legittimita’ in relazione a prestazioni lavorative dotate di maggiore elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo (quali, ad esempio, quelle del giornalista), va rilevato, tuttavia, che un analogo strumento discretivo puo’ validamente adottarsi, all'opposto, con riferimento a mansioni estremamente elementari e ripetitive, le quali, proprio per la loro natura, non richiedono in linea di massima l'esercizio di quel potere gerarchico che si estrinseca - secondo quanto asserito in numerosissime pronunce di questa Corte - nelle direttive volta a volta preordinate ad adattare la prestazione alle mutevoli esigenze di tempo e di luogo dell'organizzazione imprenditoriale e nei controlli sulle modalita’ esecutive della prestazione lavorativa. Si vuoi dire con cio’ che ove la prestazione lavorativa sia assolutamente semplice e routinario e con tali caratteristiche si protragga per tutta la durata del rapporto, l'esercizio del potere direttivo del datore di lavoro, nei termini teste’ precisati, potrebbe non avere occasione di manifestarsi (come del resto e’ stato affermato da Cass. n. 3674 del 2000, cit., secondo cui l'esistenza del potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro " e’ sicuro indice di subordinazione, mentre la relativa assenza non e’ sicuro indice di autonomia"). Conclusione, questa, che tanto piu’ appare valida laddove nel momento genetico del rapporto di lavoro siano state dalle parti puntualmente predeterminate le modalita’ di una prestazione destinata a ripetersi nel tempo, essendo evidente che in casi del genere - a fronte, cioe’, di mansioni elementari e, per cosi’ dire, rigide - il potere direttivo del datore di lavoro potra’ anche non assumere una concreta rilevanza esterna (laddove il potere disciplinare in tanto potra’ avere modo di estrinsecarsi in quanto il prestatore sia incorso in una inosservanza dei propri doveri, che non puo’ essere astrattamente presupposta).
Del resto, che la subordinazione possa ritenersi sussistente anche in assenza del vincolo di soggezione al potere direttivo del datore di lavoro (inteso, ancora una volta, nei termini sopra indicati), ed in presenza, viceversa, dell'assunzione per contratto, da parte del prestatore, dell'obbligo di porre a disposizione del datore le proprie energie lavorative e di impiegarle con continuita’ "secondo le direttive di ordine generale impartite dal datore di lavoro ed in funzione dei programmi cui e’ destinata la prestazione per il perseguimento dei fini propri dell'impresa", e’ stato gia’ affermato da questa Corte, sia pure con riferimento all'evolversi dei sistemi di organizzazione del lavoro in direzione di una sempre piu’ diffusa esteriorizzazione di interi settori del ciclo produttivo o di professionalita’ specifiche (in particolare Cass. 6 luglio 2001 n. 9167 e 26 febbraio 2002 n. 2842): tanto a riprova della possibilita’ - ed anzi della necessita’ - con riferimento all'estrema variabilita’ che la subordinazione puo’ assumere nei diversi contesti, di prescindere dal potere direttivo dell'imprenditore nei casi in cui esso non possa validamente assumere il ruolo discretivo che normalmente gli e’ proprio.
Nella fattispecie, la sentenza impugnata, richiamati - come detto - i principi enunciati in via generale da questa Corte al fine di stabilire se un rapporto abbia natura autonoma o subordinata, ha affermato che nel contratto di "appalto", stipulato dalle parti il 1 maggio 1976 c. successivamente prorogato fino al febbraio 1993, era stato stabilito che la Pastore avrebbe quotidianamente svolto le pulizie nell'immobile del Consorzio; che costei avrebbe ricevuto un compenso annuo, frazionabile anche in scadenze piu’ brevi (compenso che di fatto - secondo quanto risulta dalla pronunzia della Corte territoriale - era di fatto erogato mensilmente); che era vietato il subappalto del servizio; e che gli strumenti di lavoro sarebbero stati forniti "a carico del Consorzio". Alla luce degli elementi probatori acquisiti nei giudizi di merito ha osservato inoltre: a) che la ricorrente non era tenuta ad osservare un preciso orario di lavoro, ancorche’ l'attivita’ di pulizia si svolgesse allorquando gli uffici erano chiusi ovvero di pomeriggio; b) che la stessa aveva precisato in sede di interrogatorio libero di non avere vincoli iniziali per l'orario di lavoro e di prestare servizio, tuttavia, per circa quattro ore giornaliere; c) che nessuno impartiva direttive di lavoro alla ricorrente durante il concreto svolgimento del servizio di pulizia e che costei, anzi, "poteva organizzare liberamente il lavoro da svolgere", d) che non era stata dimostrata, in definitiva, l'esistenza di circostanze significative in ordine all'assoggettamento della Pastore ad un diretto controllo da parte del datore di lavoro, "stante l'assenza di direttive che inerissero di volta in volta all'intrinseco svolgimento delle prestazioni", non rilevando al riguardo che fosse stata concordata "una dettagliata predeterminazione delle modalita’ di espletamento del servizio di pulizie e della fornitura degli strumenti di lavoro", e che il carattere (autonomo) del rapporto non era scalfito dalla "ingerenza sporadica e assolutamente limitata praticata dal Consorzio attraverso la persona del direttore in occasione delle riunioni del consiglio dei delegati che avvenivano con la frequenza di tre o quattro volte durante l'anno"; e) che nemmeno era emersa la prova di un controllo di tipo gerarchico sull'operato della ricorrente nella fase esecutiva, essendo risultato che "residuava un controllo assolutamente estrinseco dell'attivita’ attinente al risultato della stessa"; f) e che ancor meno era stato provato che la ricorrente "fosse assoggettata al o potere gerarchico del Consorzio che si sarebbe dovuto manifestare a seconda delle infrazioni commesse nel potere di pervenire sia pure nei casi estremi ad un provvedimento espulsivo del lavoratore stesso". Ed in termini conclusivi ha rilevato che faceva pertanto difetto, nella specie, il requisito della subordinazione - inteso come assoggettamento del prestatore di lavoro al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore- per cui il rapporto, in conformita’ al nomen iuris adoperato dalle parti, doveva ritenersi di carattere autonomo.
Nonostante l'oggetto del rapporto di lavoro fosse costituito da una prestazione di carattere estremamente elementare, ripetitiva e puntualmente predeterminata nelle sue modalita’ esecutive e sebbene, per altro verso, non fosse risultato - a quanto consta - che la Pastore si fosse resa mai inadempiente ai suoi doveri nello svolgimento delle mansioni di pulizia dell'immobile e si versasse quindi in una di quelle ipotesi in cui l'appartenenza di un rapporto all'area dell'autonomia ovvero della subordinazione non poteva ragionevolmente essere apprezzata con esclusivo riferimento all'esercizio del potere direttivo e disciplinare da parte del datore di lavoro, i giudici di appello hanno nondimeno preteso di attribuire ad esso un ruolo decisivo ai fini della qualificazione del rapporto predetto, laddove in tale situazione avrebbero dovuto far ricorso ai criteri distintivi sussidiari elaborati dalla giurisprudenza.
In via esemplificativa, occorreva invero chiedersi se potessero o meno assumere valore significativo la continuita’ e la durata del rapporto (protrattosi per quasi venti anni, le modalita’ del pagamento del corrispettivo; la circostanza che gli strumenti di lavoro utilizzati nel servizio di pulizia erano a carico del datore di lavoro; la disciplina dell'orario di lavoro (che si assume stabilito discrezionalmente e che doveva coincidere, tuttavia, con la chiusura degli uffici); ed in correlazione a tale ultimo elemento il reale contenuto della "libera" organizzazione del suo lavoro da parte della Pastore (ella - afferma la sentenza impugnata - "poteva organizzare liberamente il lavoro da svolgere"), a tal fine accertando, si, cioe’, se costei intrattenesse nel contempo altri rapporti di lavoro (non importa se autonomo o subordinato, se di pulizia o di altra natura) in favore di altri "committenti" e per renderli compatibili individuasse a suo piacimento le ore da impiegare nella pulizia dell'immobile ovvero se la sua "liberta’" si manifestasse nella mera facolta’ di svolgere il suo lavoro in fasce oscillanti (iniziando, ad esempio, talvolta alle 15, talaltra alle 16 e cosi’ via), ma sempre nei limiti prefissati dall'altro contraente e con l'obbligo, ad ogni modo, di espletare pur sempre quotidianamente l'incarico assegnatole nell'arco - a quanto consta - di circa quattro ore giornaliere.
5. La sentenza impugnata, dunque, non si e attenuta ai criteri sopra indicati, per cui, assorbiti nelle considerazioni che precedono il terzo e il quarto motivo del ricorso, essa va cassata e rinviata ad altro giudice equiordinato, che si indica nel dispositivo e che dovra’ attenersi al seguente principio di diritto: "Nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalita’ di esecuzione ed al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore ali 'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare contesto, significativo, per la qualificazione del rapporto di lavoro occorre far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuita’ e la durata del rapporto, le modalita’ di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro.
Il giudice di rinvio provvedere anche sulle spese del presente giudizio ai sensi dell'art. 385 c.p.c.
P. Q. M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il primo motivo del ricorso incidentale condizionato e dichiara inammissibile il secondo, accoglie il ricorso principale per quanto di ragione, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Napoli.
Cosi’ deciso in Roma, il 9 gennaio 2004.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2004.