Prestazioni lavorative tra parenti
Cassazione Sezione Lavoro 27 luglio 1999, n. 8132
Ove la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative fra persone legate da vincoli di parentela o affinità debba essere esclusa per l’accertato difetto della convivenza degli interessati, non opera "ipso iure" una presunzione di contrario contenuto, indicativo cioè dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato; pertanto, in caso di contestazione, la parte che faccia valere diritti derivanti da tale rapporto ha comunque l’obbligo di dimostrarne, con prova precisa e rigorosa, tutti gli elementi costitutivi e, in particolare, i requisiti indefettibili dell’onerosità e della subordinazione.
(In base al suddetto principio la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva negato il diritto della ricorrente ad ottenere l’indennità di maternità sul rilievo che la stessa si era limitata a fondare la sua domanda sull’iscrizione negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli – dai quali era stata poi, oltretutto, cancellata in esito all’accertamento dell’Ufficio di Vigilanza dell’INPS – senza fornire alcun altro elemento probatorio circa la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato e il suo status di lavoratrice agricola).
Commento
Secondo la Suprema Corte (vedi sentenze n. 7920 del 1991 e n. 729 del 1993) nel caso di prestazioni lavorative fra parenti ed affini, il difetto della convivenza – la quale comporta solo una presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative, superabile dalla prova, da parte del prestatore, della sussistenza della subordinazione – non esime la parte che deduce la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, dell’onere di provare, in caso di contestazione, tutti gli elementi costitutivi di tale rapporto, cioè l’obbligatorietà e continuità della prestazione lavorativa e, con l’inserimento del prestatore d’opera nella struttura organizzativa dell’impresa, il vincolo di subordinazione dello stesso al potere disciplinare, direttivo ed organizzativo del beneficiario della prestazione.