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Sentenza Corte di cassazione 22 agosto 1997 n° 7885

Sezione lavoro

autonomo e subordinato - volontà delle parti - accertamento giudiziale - autonomia - rilevanza - comportamenti concreti

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO

dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott.

Pasquale PONTRANDOLFI

Presidente

Dott.

Alberto EULA

Consigliere

Dott.

Giovanni MAZZARELLA

Consigliere

Dott.

Federico ROSELLI

Rel. Consigliere

Dott.

Guido VIDIRI

Rel. Consigliere

ha proposto la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da:

SOCIETÀ 1 S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA CORSO VITTORIO EMANUELE II 326 presso l'avvocato R.S., che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

Ricorrente

contro

B.M. e D.P., elettivamente domiciliati in ROMA VIA MARIA CRISTINA 8 presso l'avvocato G.G. che li rappresenta e difende, unitamente all'avvocato D.D., giusta delega in atti;

Controricorrente

avverso la sentenza n. 1037/94 del Tribunale di PERUGIA, depositata il 04/08/94 R.G. N. 3370/93; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/04/97 dal Relatore Consigliere Dott. Federico ROSELLI; udito l'Avvocato D.; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio LEO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 13 marzo 1991 al Pretore di Perugia, M.B. esponeva di aver prestato il lavoro di insegnante di lingua francese per la SOCIETÀ 1 S.r.l. per interpreti e traduttori, abilitata al rilascio di diplomi aventi valore legale secondo la denominazione e l'ordinamento didattico corrispondenti a quelli rilasciati in ambito universitario e di avere sottoscritto un modulo a stampa in cui si parlava di "collaborazione intellettuale e coordinata ma mai subordinata".

Assumendo invece l'effettivo svolgimento di lavoro subordinato, la ricorrente chiedeva che la società fosse condannata a pagare le differenze di retribuzione nonché i contributi previdenziali.

Analoga domanda proponeva con ricorso del 18 aprile 1991 P.D., insegnante di lingua inglese.

Costituitasi la convenuta e riuniti i ricorsi, il Pretore accoglieva le domande con sentenza dell'11 marzo 1993, confermata con sentenza del 4 agosto 1994 dal Tribunale, il quale, sulla base delle testimonianze acquisite, ravvisava il rapporto di lavoro subordinato per l'inserzione continuata delle prestazioni nell'organizzazione imprenditoriale della datrice; inserzione dimostrata dalla soggezione ad un orario, dalla retribuzione fissa o prestabilita e dall'assenza, in capo al prestatore, di un'organizzazione imprenditoriale propria.

In particolare, gli orari delle lezioni dovevano essere concordati con la direzione della scuola né potevano essere variati solo attraverso un accordo con gli allievi; gli insegnanti dovevano tenere un diario didattico e partecipare alle riunioni; l'organizzazione logistica e la distribuzione dei materiali veniva curata dalla scuola.

Di fronte a questi elementi di fatto non valeva ad escludere la subordinazione la contraria volontà, espressa dalle parti del rapporto in un modulo a stampa.

Non sussistevano poi gli estremi di cui alla legge 18 aprile 1962 n. 230 per ravvisare un rapporto di lavoro a tempo determinato, e del resto le prestazioni continuative, salve le interruzioni normali delle vacanze estive, si erano protratte oltre il termine annuale (art. 2, secondo comma, cit,).

Quanto all'ammontare della retribuzione, il Tribunale disapplicava il contratto collettivo, a cui nella fattispecie si erano riferite le parti, giacché il consulente tecnico aveva accertato che i compensi ivi previsti erano "macroscopicamente inferiori" a quelli spettanti agli insegnanti pubblici, e determinava il detto ammontare parificandoli a questi ultimi, anche in considerazione dell'equiparazione dei diplomi rilasciati dalla scuola privata a quelli universitari.

Ai lavoratori spettava inoltre l'indennità di mancato preavviso del licenziamento.

Contro questa sentenza ricorre per cassazione la SOCIETÀ 1 S.r.l. Resistono con controricorso la B. ed il D.. Memorie di tutte le parti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2094, 2229 e segg., 1322, 1372, 2697 cod. civ., carenza e contraddittorietà della motivazione su un punto essenziale della controversia. Essa sostiene avere errato il Tribunale nel qualificare come subordinato invece che come autonomo il rapporto di lavoro in questione, senza tener conto delle dichiarazioni di volontà, scambiate dalle parti e quindi idonee ad ingenerare un reciproco affidamento, le quali esprimevano la chiara intenzione di dar vita ad un contratto d'opera. I singoli elementi di fatto considerati dai giudici di merito, quali l'osservanza di un orario scolastico da parte dei docenti, attuali controricorrenti, o la tenuta di un diario didattico, o la partecipazione a riunioni con i colleghi non erano sufficienti a dimostrare la subordinazione, ossia a prevalere sulla volontà negoziale da loro chiaramente manifestata.

Il motivo non e fondato.

L'insistito richiamo alla preminenza della volontà contrattuale dichiarata rispetto ai fatti con cui essa si è tradotta in concreto induce anzitutto a osservare che il codice civile (libro quinto, titolo secondo) tutela il "rapporto" e non il "contratto" di lavoro, con ciò mostrando di affidare la tutela degli interessi del lavoratore, più che allo strumento contrattuale, a fonti eteronome e sovrastanti la volontà delle parti, quali la legge e la contrattazione collettiva; questa scelta del codice, accentuata dalle successive leggi speciali, sottrae ai soggetti del rapporto il potere di regolare a loro criterio il contenuto del rapporto stesso, ed in particolare il trattamento economico del prestatore, che non deve scendere sotto a determinati livelli minimi, corrispondenti a quantità e qualità delle prestazioni ed ai modi, oggettivamente rilevabili, in cui esse sono rese.

È vero che questa Corte e sembrata talvolta attribuire importanza decisiva, nella qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato oppure come autonomo, al nomen iuris adoperato dai contraenti (Cass. 15 dicembre 1990 n. 11925, 7 aprile 1992 n. 4220, 8 marzo 1995 n. 2690, 29 maggio 1996 n. 494) ma a tal proposito è necessario distinguere due ipotesi.

La prima è che essi vogliano attuare un rapporto di subordinazione, ossia di soggezione del prestatore al potere di direzione del datore ed eventualmente di inserzione del primo nell'organizzazione di impresa del secondo, ma, per aggirare o nascondere la subordinazione, e con essa gli obblighi ed oneri che la sua disciplina comporta, dichiarino espressamente di volere un rapporto di lavoro autonomo oppure si esprimano in modo non chiaro. Nel primo caso il contratto dissimulato prevale su quello simulato ai sensi dell'art. 1414 secondo comma, cod. civ., e nel secondo caso le difficoltà di interpretare le dichiarazioni di volontà verranno superate ai sensi dell'art. 1362 cod. civ., che prescrive all'interprete di non limitarsi al senso letterale delle parole ma di valutare anche il comportamento delle parti in sede esecutiva.

La seconda ipotesi è che i contraenti, voluto effettivamente un rapporto di lavoro autonomo, non traducono poi in atto la dichiarazione, ma durante lo svolgimento del rapporto stesso manifestino attraverso fatti concludenti eventuali modifiche o mutamenti della volontà negoziale già espressa, con conseguente mutamento del regime normativo; specialmente nel rapporto di lavoro anzi, gli atteggiamenti delle parti assumono rilevanza giuridica non tanto in sede di conclusione del contratto individuale quanto nella fase in cui le prestazioni vengono scambiate, onde e dal contenuto di esse che e dato di risalire al tipo negoziale in cui la vicenda concreta dev'essere inquadrata: plus valet quod agitur quam quod concipitur.

Nell'una e nell'altra ipotesi spetta dunque al giudice di merito il rilievo, e la conseguente qualificazione giuridica, del comportamento tenuto dalle parti durante l'attuazione del rapporto di lavoro.

Ciò è stato fatto con diligenza dai giudici d'appello, i quali hanno, nel caso di specie, verificato l'inserimento dei due attuali controricorrenti nell'impresa della società datrice di lavoro e la sottoposizione al potere direttivo dell'imprenditore, con la necessaria osservanza di un orario delle lezioni e l'obbligo di tenere un diario didattico nonché di partecipare alle riunioni con i colleghi; elementi a cui si aggiungevano la percezione di una retribuzione fissa e continuativa e la fornitura di materiale didattico da parte dell'impresa. Da tutti questi elementi, complessivamente considerati, i giudici hanno inferito la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, facendo esatta applicazione delle norme del codice civile inutilmente invocate dalla ricorrente.

Ciò stabilito, non assumono alcun rilievo i motivi soggettivi che indussero i prestatori di lavoro a dichiarare in origine la loro volontà nel senso dell'autonomia del rapporto, né il fatto che la dichiarazione sia stata emessa, come afferma la ricorrente, in stato di assoluta libertà.

Col secondo motivo viene denunziata la violazione degli artt. 1 e 2 l. 18 aprile 1962 n. 230, osservandosi che erroneamente la sentenza qui impugnata considerò come a tempo indeterminato singoli rapporti della durata annuale. Ma il motivo è privo di fondamento poiché ai sensi dell'art. 1 l. cit. il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato, salve le eccezioni ivi stesso indicate, nessuna delle quali l'attuale ricorrente ha provato nel caso di specie. In particolare, il fatto che i contratti avessero previsto un termine annuale non era sufficiente ad integrare una di quelle eccezioni, posto che, come incensurabilmente accertato in fatto dai giudici di merito, il rapporto era proseguito senza soluzione di continuità oltre la scadenza prevista, ciò che lo rendeva a tempo indeterminato fin dalla data della prima assunzione dei lavoratori, ai sensi dell'art. 2, secondo comma, 1. cit..

Col terzo motivo la ricorrente afferma essere stati violati gli artt. 36, primo comma, 39 Cost. e 2099 cod. civ. nonché essere incorso il Tribunale nei vizi di omessa e contraddittoria motivazione in ordine alla insufficienza della retribuzione spettante agli attuali controricorrenti, in relazione alla quantità e qualità del lavoro svolto, ossia agli elementi indicati nell'art. 36 cit. La ricorrente osserva come detta retribuzione fosse stabilita nel contratto collettivo, vale a dire secondo la "competenza naturale", e che la valutazione di insufficienza non avrebbe potuto essere formulata dai giudici di merito con riferimento agli stipendi degli insegnanti statali, assoggettati a maggiori obblighi e vincoli.

Neppure questo motivo e fondato. La stessa ricorrente ammette che "la contrattazione collettiva deve osservare il disposto della norma costituzionale (l'art. 36 cit.) ed in caso contrario il lavoratore ha diritto alla sua stregua ad una congrua integrazione del trattamento retributivo perché sia reso sufficiente e proporzionato alla quantità e qualità del lavoro effettuato". Ciò stante, non e incensurabile la sentenza di merito che, constatata sulla base di una consulenza tecnica la "macroscopica inferiorità" della retribuzione spettante ai lavoratori parti in causa rispetto a quella degli insegnanti statali investiti delle medesime funzioni, abbia adeguato la prima alla seconda.

Questa Corte ha più volte affermato che il detto adeguamento non deve risolversi in una meccanica trasposizione delle clausole della contrattazione collettiva dall'una all'altra categoria di lavoratori, non trattandosi di realizzare un principio di parità di trattamento, onde nessuna operazione integrativa dev'essere compiuta dal giudice se la retribuzione in concreto corrisposta risulti prossima a quella stabilita nel contratto collettivo per la categoria equiparabile (Cass. 20 gennaio 1975 n. 234, 4 marzo 1981 n. 1283, 30 luglio 1986 n. 4896). Ma non può essere sindacato in questa sede il discrezionale giudizio di adeguamento di una retribuzione troppo inferiore a quella della categoria pienamente equiparabile (insegnanti di lingue a livello universitario, pubblici e privati), sol perché siano invocate imprecisate differenze di status.

Col quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 2118 cod. civ. e ancora insufficiente e contraddittoria motivazione, affermando non spettare, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, l'indennità ai lavoratori, che non erano stati licenziati ma avevano volontariamente receduto dal rapporto, avendo rifiutato di sottoscrivere un nuovo contratto alla scadenza annuale del primo. Ma l'impossibilita di accogliere questa censura deriva da quanto già detto a proposito del secondo motivo di ricorso circa la necessità di considerare i rapporti di lavoro in questione come rapporti a tempo indeterminato: l'assenza di un termine di scadenza escludeva la necessità di concludere un nuovo contratto di lavoro, onde il rifiuto dei lavoratori di sottoscriverlo è stato esattamente interpretato dal Tribunale come volontà di proseguire il rapporto originario e non come intenzione di recedere. Fu dunque il licenziamento, intimato senza preavviso, a determinare lo scioglimento del rapporto stesso.

In conclusione il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in lire 87.500, oltre a lire tremilionicinquecentomila per onorario.

Così deciso in Roma il 15 apr. 1997

IN CANCELLERIA, 22 AGO. 1997