Sentenza Corte di Cassazione n° 5361 29 maggio 1998
Sezione lavoro: libri obbligatori - libri paga e libri matricola - efficacia probatoria - limiti
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO
dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. |
Alfredo |
ROCCHI |
Presidente |
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Alberto |
EULA |
Consigliere |
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Marino Donato |
SANTOJANNI |
Rel. " |
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Rosario |
DE JULIO |
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Luciano |
VIGOLO |
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ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.S., elettivamente domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR N. 10, presso lo studio dell'avvocato M.A., che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati S.F., F.P.M., giusta delega in atti;
Ricorrente
contro
INPS ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA FREZZA 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati A.B., L.L., giusta procura speciale atto notarile F.L. di Roma del 28/09/95 Rep. 26093;
Resistente con sola procura
avverso la sentenza n. 46/94 del Tribunale di IVREA, depositata il 24/05/94 R.G.N. 62/94;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/01/98 dal Consigliere relatore Dott. Marino Donato SANTOJANNI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Domenico NARDI che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato nella Cancelleria del Tribunale di Ivrea il 26 gennaio 1994, P.S. proponeva appello contro la sentenza in data 13 - 14 dicembre 1993 del Pretore della stessa città, che aveva respinto la sua domanda di ripristino del trattamento pensionistico in suo favore, previo accertamento del rapporto di lavoro subordinato, intercorso tra lui e la SOCIETÀ 1 S.r.l., nel periodo 15 luglio 1984 - 31 dicembre 1987.
L'appellato Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, costituitosi, resisteva all'impugnazione, di cui chiedeva il rigetto.
Il Tribunale, con sentenza depositata il 24 maggio 1994, rigettava l'appello, così argomentando:
la decisione del Pretore andava condivisa sulla base dei seguenti fatti pacifici:
P.S. aveva lavorato alle dipendenze della Società 2 sino al 15 luglio 1984, data in cui aveva dato le dimissioni a seguito di accordi intercorsi con la stessa società, in base ai quali veniva garantita alla Società 1, di cui era titolare la moglie del P., B.N., una commessa sino alla data in cui costei avrebbe maturato l'anzianità contributiva per ottenere la pensione;
il giorno successivo alle predette dimissioni, il P. venne assunto dalla Società 1 con la qualifica di impiegato;
la Società 1 era impresa artigiana e il P. (marito della titolare) risultava nel libro matricola in qualità di coadiuvante già nel 1980;
a seguito dell'espansione di tale impresa, la Camera di Commercio non le riconobbe più la qualifica di artigiana, cosicché P. e sua moglie costituirono la SOCIETÀ 1 S.a.s. di B.N., alla quale vennero trasferiti parte dei dipendenti e delle lavorazioni;
il 31 dicembre 1987 il medesimo diede le dimissioni da tale società provvedendo poi al versamento di due contributi volontari per perfezionare i requisiti di contribuzione; il 14 gennaio 1988 la SOCIETÀ 1 S.a.s. fu trasformata in società a responsabilità limitata; il P. fu nominato suo amministratore e la moglie B. fu assunta come impiegata;
successivamente, un ispettore dell'INPS ritenne che il rapporto di lavoro del P. con la Società 1, per il periodo dal 16 luglio 1984 al 31 dicembre 1987, fosse inesistente, e che le somme già corrisposte a titolo di pensione dovessero essere recuperate.
Le considerazioni svolte in proposito dal Pretore vanno qui integralmente richiamate e condivise: il rapporto di lavoro subordinato era solo una maschera, una parvenza fittizia strumentale al conseguimento della pensione; ma in realtà il P. era socio di fatto della moglie nella Società 1, così com'era anche formalmente socio nella SOCIETÀ 1 S.a.s. poi trasformata in S.r.l..
Nessuna prova il P. ha dato della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato dedotto in giudizio, ancorché gravasse su di lui il relativo onere;
inconferenti erano le risultanze dell'espletata (in primo grado) prova testimoniale.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione P.S., deducendo un unico, articolato motivo.
L'INPS, nonostante rituale notifica del ricorso, si è costituito mediante deposito di semplice procura.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente, denunziando la violazione degli artt. 2697, 2710, 134 r.d. 28 agosto 1924 n. 1422 e successive modifiche, 20 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, 2094 cod. civ.; nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ.), deduce che: è noto come la legislazione previdenziale preveda delle forme di documentazione dei rapporti di lavoro assoggettati agli obblighi contributivi; forme l'adempimento delle quali rappresenta preciso atto ricognitivo del "nomen juris" attribuito ai rapporti medesimi per volontà delle parti, e che costituisce la base per la costituzione ex lege del rapporto previdenziale obbligatorio; dal contenuto di tale atti deriva, ovviamente, una presunzione di verità "juris et de jure" o, quanto meno, "juris tantum" di quanto in essi dichiarato e la consequenziale efficacia probatoria nei confronti sia delle parti e sia degli enti pubblici gestori del rapporto previdenziale; nella specie erano stati prodotti dal ricorrente le copie del libro matricola, tenuto dalla datrice di lavoro Società 1, dal quale risultava l'assunzione del P., quale lavoratore dipendente, secondo le norme di legge, e la durata del rapporto di lavoro, cosicché l'efficacia delle dichiarazioni contenute in tale libro, nei confronti delle parti del rapporto e degli altri interessati, è del tutto evidente; da ciò consegue la violazione dell'art. 2697 cod. civ. attribuita alla sentenza impugnata, nonché degli artt. 2710 cod. civ., 134 del r.d. 1422 dl 1924 e 20 d.p.r. 1124 del 1965, quando ha omesso di fare riferimento all'efficacia obbligatoria delle risultanze delle scritturazioni obbligatorie, a documentazione dei rapporti di lavoro instaurati tra l'imprenditore ed i dipendenti, soggetti alle assicurazioni sociali, e di tenerne conto.
Il Tribunale, infine, è incorso nell'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, quando, nel respingere la domanda proposta dal P., ha preso in esame solo elementi sussidiari e di per sé inidonei a qualificare il rapporto, omettendo di valutare la dichiarazione di volontà delle parti ed altri elementi obiettivi di significativo rilievo; peraltro, il ricorrente, attesa l'anzianità contributiva raggiunta (32 anni), non aveva interesse diretto a creare, artificiosamente, un rapporto di lavoro subordinato.
Il ricorso è infondato.
Invero, premesso che gli artt. 134 r.d. 28 agosto 1924 n. 1422 e 20 d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124 si limitano a sancire l'obbligo per i datori di lavoro di tenere il libro di matricola e quello di paga, con le relative prescritte indicazioni, senza fornire alcun argomento a sostegno della tesi prospettata dal ricorrente, va ricordato, con riferimento agli artt. 2709 e 2710 cod. civ., che le risultanze di tali libri, come più volte è stato deciso, relativamente alle materie per cui la loro tenuta è prescritta e disciplinata, hanno valore probatorio contro i datori di lavoro dai quali provengono, inquadrandosi le relative registrazioni nella categoria delle confessioni stragiudiziali, non ritraibili se non nel caso di comprovato errore o violenza (cfr. Cass. 20 luglio 1985, n. 4305, 12 febbraio 1954, n. 351).
È altresì vero che, secondo l'esplicita statuizione dell'art. 2710 cod. civ., "i libri bollati e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti, possono fare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa" ma è del tutto evidente che il ricorrente non può invocare tale disposto a suo favore, contro l'INPS, che non ha la veste di imprenditore quanto al preteso rapporto previdenziale, ed è terzo estraneo al dedotto rapporto di lavoro subordinato, che sarebbe intercorso tra il P. e la Società 1, di cui era titolare la moglie dello stesso ricorrente.
Non sussiste, pertanto, l'indicata violazione dell'art. 2697 cod. civ..
Del pari infondata è la censura con cui, denunciandosi il difetto di motivazione così come riassuntivamente riportato, si assume che il Tribunale ha preso in esame solo elementi sussidiari e di per sé inidonei a qualificare il rapporto, omettendo di valutare la dichiarazione di volontà delle parti ed altri elementi di significativo rilievo, non meglio precisati.
È agevole osservare che i libri in questione, in quanto predisposti dal datore di lavoro, non contengono dichiarazioni di volontà "delle parti", ma, esclusivamente, dello stesso datore: se così non fosse, non si spiegherebbe il disposto dell'art. 2709 già citato, secondo cui "i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l'imprenditore".
Peraltro, il Tribunale, con motivazione giuridicamente corretta ed adeguata, sulla base di fatti assolutamente pacifici, ha ritenuto, condividendo all'uopo il giudizio del Pretore, che "quella del rapporto di lavoro subordinato era solo una maschera, una parvenza fittizia strumentale al conseguimento della pensione; ma in realtà il P. era socio di fatto della moglie nella Società 1, così come era anche formalmente socio nella SOCIETÀ 1 S.a.s., poi trasformata in società a responsabilità limitata", e, in particolare, valutando altresì le risultanze di una prova testimoniale, senza incorrere in vizi logici, ha conclusivamente affermato che il P. non aveva dato la prova della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, ancorché il relativo onere gravasse su di lui; tanto più - può aggiungersi sotto il profilo strettamente giuridico - che, essendo la pretesa datrice di lavoro sua moglie, egli avrebbe dovuto vincere la nota presunzione (relativa) di "gratuità" delle prestazioni lavorative.
Quanto, infine, alla pretesa omessa valutazione della mancanza di interesse diretto a creare, artificiosamente, un rapporto di lavoro dipendente, dato che il P. aveva già raggiunto 32 anni di anzianità contributiva, la censura così introdotta è irrilevante, tenuto conto delle puntuali considerazioni svolte dal Tribunale, ivi compreso il rilievo che il P., dopo aver dato le dimissioni dalla Società 1 il 31.12.1987 (pag. 5 della sentenza), provvide al versamento di due contributi volontari per perfezionare i requisiti di contribuzione (sintomo rivelatore dell'interesse a perfezionare un presunto rapporto previdenziale).
Per le ragioni esposte il ricorso va rigettato.
In applicazione dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ., il ricorrente non può essere condannato al rimborso delle spese sostenute dall'INPS, che peraltro si è costituito mediante deposito di semplice procura, non potendosi ritenere il ricorso manifestamente infondato e temerario.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
nessun provvedimento va adottato in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 27 gennaio 1998.
IN CANCELLERIA, 29 MAG. 1998