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Sentenza Corte di cassazione n° 413 del 16 gennaio 1999

Sezione lavoro

ordinanza per il pagamento di somme - parasubordinazione - istanza - onere probatorio lavoratore autonomo - contenuto


Chi chiede il compenso di prestazioni eseguite nell'ambito di un rapporto di cosiddetta parasubordinazione (
art. 409 n.3 cod. proc. civ.) non può limitarsi a provare l'esistenza di questo, ma deve provare le singole prestazioni che del diritto al corrispettivo rappresentano i fatti costitutivi, senza che tuttavia sia indispensabile qualificare esattamente il rapporto dedotto in giudizio, essendo sufficiente accertare l'espletamento di una serie di incarichi (integranti o meno gli estremi del mandato "ad negotia") riconducibili allo schema generale del lavoro autonomo, ancorché rientranti in una pluralità di figure contrattuali tipiche le cui modalità di esplicazione possono essere caratterizzate dall'impiego prevalente di attività personale non subordinata, ricadente nell'ambito di una collaborazione continuativa e coordinata.

(Nella specie la S.C. ha ritenuto che, essendo state contestate le prestazioni di un consigliere di amministrazione di una S.r.l. con riferimento alle quali si chiedeva il compenso pattuito, per l'accoglimento della domanda non fosse sufficiente - come ritenuto nella sentenza impugnata - escludere specifici obblighi di presenza dell'attore essendo invece necessario che egli fornisse la prova delle prestazioni stesse).


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott.

Giacomo

DE TOMMASO

Presidente

Dott.

Marino Donato

SANTOJANNI

Rel. Consigliere

Dott.

Pietro

CUOCO

Consigliere

Dott.

Guglielmo

SIMONESCHI

Consigliere

Dott.

Paolo

STILE

Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

SOCIETÀ 1 S.r.l., elettivamente domiciliata in ROMA VIA C. MIRABELLO 7, presso lo studio dell'avvocato M.P., che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

Ricorrente

contro

F.L.;

Intimato

avverso la sentenza n. 363/95 del Tribunale di BOLOGNA, depositata il 19/09/95 R.G.N. 3338/95;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/10/98 dal Consigliere Dott. Marino Donato SANTOJANNI;

udito l'Avvocato P.;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Massimo FEDELI che ha concluso per l'accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Pretore di Bologna in funzione di giudice del lavoro, depositato il 6 aprile 1993, L.F., premesso che:

era stato consigliere di amministrazione della SOCIETÀ 1 S.r.l., dal gennaio 1992 al 31 agosto 1992; era previsto un compenso di lire cinque milioni mensili; non gli era stato corrisposto il compenso per i mesi di luglio ed agosto, né per parte del mese di giugno; sui compensi era stata operata un'indebita trattenuta per lire 500.000 mensili;

chiedeva che si condannasse la società convenuta a corrispondergli la complessiva somma di lire 14.620.000 per i titoli sopra precisati.

La società convenuta, costituitasi in giudizio, contestava la fondatezza della domanda, di cui chiedeva il rigetto; proponeva altresì domanda riconvenzionale per la condanna del F. a restituire la somma di lire dieci milioni mutatagli e a risarcire i danni arrecati alla società con il suo improvviso allontanamento nei mesi di luglio ed agosto 1992.

Il Pretore, con sentenza depositata l'11 gennaio 1995, accoglieva sia la domanda del F. relativa ai mancati compensi sia la riconvenzionale della società, relativa al pagamento della somma di dieci milioni, rigettava ogni altra domanda.

Proposto appello da parte della SOCIETÀ 1, al quale aveva resistito l'appellato, il Tribunale di Bologna, Sez. Lavoro, con sentenza depositata in 19 settembre 1995, rigettava l'impugnazione, osservando che:

risulta dagli atti che L.F. venne nominato consigliere di amministrazione il 27 novembre 1991; nell'assemblea ordinaria del 28 novembre 1991 venne deliberato un compenso di lire cinque milioni mensili e si stabilì una "quota d'indennità di fine rapporto di collaborazione coordinata e continuativa";

il generico richiamo all'indennità di fine rapporto per collaborazione coordinata e continuativa costituisce l'unico accenno alle modalità di espletamento dell'attività societaria da parte del consigliere di amministrazione contenuto negli atti prodotti;

non è stato provato, invece, che il consigliere di amministrazione avesse specifici obblighi di presenza, né può ritenersi sufficiente in tal senso il semplice uso dell'espressione, di per sè del tutto generica: "collaborazione coordinata e continuativa"; la carica di consigliere di amministrazione non implica di per sè obblighi di presenza, non essendo assimilabile ad un rapporto di lavoro subordinato;

sono pertanto superflue le prove orali tendenti ad accertare la mancata presenza nell'attività societaria, né assumono alcun rilievo le prove documentali richiamate dall'appellante in ordine alle assenze del F..

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la SOCIETÀ 1, società internazionale forniture ospedaliere S.r.l., deducendo due motivi.

L'intimato F., nonostante rituale notifica del ricorso, non si è costituito.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente, denunciando omessa ed insufficiente motivazione, nonché violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 115 cod. proc. civ., e 2697 cod. civ. (art. 360, n. 3 e 5 c.p.c.), deduce che:

il F., nel ricorso introduttivo del primo grado del giudizio, sostenne che egli aveva collaborato con la società in modo costante, curandone la parte commerciale intrattenendo rapporti e contatti con clienti, fornitori ed agenti, recandosi talvolta anche all'estero, particolarmente in Germania;

la società negò, invece, che tale attività era stata svolta fino al 31 agosto 1992; e avrebbe provato tale eccezione se fosse stata ammessa la prova testimoniale dedotta;

mai era stato eccepito dalla società che il F. aveva obblighi di presenza: i rilievi circa le ripetute e pronunciate assenze del medesimo, fino alla totale irreperibilità, erano stati formulati in relazione all'intervenuta discontinuità delle prestazioni di collaborazione, effettuate costantemente fino al maggio 1992, ed in riferimento alla totale impossibilità di prendere contatti con il medesimo, dal luglio 1992.

2. Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando omessa ed insufficiente motivazione, nonché violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 115, 112 cod. proc. civ., sostiene che:

il Tribunale ha osservato che i compensi restavano dovuti fino alla revoca della carica, senza nulla spiegare ed omettendo di motivare in ordine alla richiesta di prove orali ed anche in riferimento alle prove documentali dedotte dalla società; dette prove erano finalizzate anche alla dimostrazione delle negligenze del F. nello svolgimento dell'incarico di consigliere, fino all'abbandono della società, così come del resto confermato nel verbale di dichiarazioni rese da M.C. in altro procedimento e prodotte in giudizio;

conseguentemente, essendo stato affermato apoditticamente il diritto dell'ex consigliere al compenso, la relativa motivazione risulta quanto meno carente; inoltre, il Tribunale non ha tenuto conto della norma giuridica che impone al consigliere di adempiere i propri doveri con la diligenza del mandatario, partecipando, pertanto, alle assemblee e rendendosi reperibile in caso di richiesta della società.

I due motivi, che possono essere congiuntamente trattati in quanto intimamente connessi tra loro, sono fondati nei sensi e nei limiti di cui alle considerazioni che seguono.

In primo luogo, deve ritenersi infondata la censura relativa all'omessa motivazione in ordine alla richiesta di prove orali ed anche in riferimento alle prove documentali dedotte dalla società. Ciò perché, secondo costante giurisprudenza, il ricorrente che, in sede di legittimità, denuncia il difetto di motivazione su un'istanza di ammissione di un mezzo di prova o sulla valutazione di un documento, ha l'onere d'indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato dal giudice di merito, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse che, per il principio di autosufficienza del ricorso in cassazione, la Corte di legittimità deve essere in grado di compiere solo sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cfr. fra le tante, Cass., 17 giugno 1995, n. 6863; 22 marzo 1993, n. 3356; 13 gennaio 1998, n. 265). La ricorrente non ha minimamente adempiuto il suindicato onere, cosicché la doglianza risulta essere "non decisiva".

È fondata, invece, la censura con la quale si sottolinea la violazione dell'art. 2697 cod. civ..

Si è deciso, infatti, in fattispecie analoga che colui il quale chieda il compenso di prestazioni eseguite nell'ambito di un rapporto di cosiddetta parasubordinazione (art. 409 n. 3 cod. proc. civ.), non può limitarsi a provare l'esistenza di questo, ma deve provare le singole prestazioni che del diritto al corrispettivo rappresentano i fatti costitutivi, senza che tuttavia sia indispensabile qualificare esattamente il rapporto dedotto in giudizio, essendo sufficiente accertare l'espletamento di una serie di incarichi (integranti o meno gli estremi del mandato ad negotia) riconducibili allo schema generale del lavoro autonomo... (Cass. 10 luglio 1990, n. 7185; vedasi nello stesso senso Cass. 27 luglio 1984, n. 4478, in fattispecie in cui si discuteva di corresponsione al collaboratore di un compenso sull'ammontare totale delle vendite effettuate e con la garanzia di un compenso minimo mensile).

Siffatte statuizioni configurano concrete applicazioni del noto principio secondo cui "chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento" (art. 2697, comma primo, cod. civ.), tenuto conto, in particolare, delle allegazioni ed eccezioni del convenuto.

All'evidenza, il creditore che agisce per il pagamento del suo credito, quando non si discute sull'an e sul quantum dello stesso, ma esclusivamente sulla fondatezza dell'eccezione estintiva di avvenuto pagamento, è tenuto unicamente a fornire la prova del rapporto o del titolo dal quale deriva il suo diritto (fra le tante, Cass. 7 settembre 1977, n. 3902; 8 gennaio 1976, n. 1629). Quando, invece, come nel caso in esame, il convenuto nega che le prestazioni lavorative, relative a determinati periodi, siano state eseguite (la società eccepì che il F. non aveva svolto attività per essa medesima, per otto giorni in giugno, e nei mesi di luglio ed agosto, come risulta dalla parte espositiva della sentenza impugnata, sul punto non contestata in questa sede), l'attore ha l'onere di provare che tali prestazioni abbiano avuto regolare esecuzione, ossia, il puntuale adempimento dell'obbligazione dedotta in giudizio a fondamento della sua domanda di condanna al pagamento del compenso pattuito.

Il Tribunale di Bologna non ha applicato tale fondamentale principio, ma ha erroneamente ritenuto che per accogliere la domanda fosse sufficiente escludere "specifici obblighi di presenza" del consigliere di amministrazione della società, mentre avrebbe dovuto tener presente che, essendo efficacemente contestate le prestazioni, con riferimento alla quale si chiedeva il compenso pattuito, incombeva al F., in veste di attore, l'onere di provare le stesse.

Per le ragioni esposte, il ricorso va accolto nei sensi e nei limiti di cui alla motivazione che precede; per l'effetto dev'essere cassata la sentenza impugnata, con rinvio della causa per nuovo esame di merito, ad altro giudice d'appello che si designa nel Tribunale di Modena, il quale si uniformerà, con riferimento all'art. 2697 cod. civ., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di questa Corte n. 7185 del 10 luglio 1990, già citata, e provvederà altresì al regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione (art. 384, comma primo, prima ipotesi e 385, comma terzo, cod. proc. civ.).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione;

cassa per l'effetto la sentenza impugnata e rinvia la causa per nuovo esame del merito al Tribunale di Modena, Sez. Lavoro, che provvederà altresì al regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma il 7 ottobre 1998.

IN CANCELLERIA, 16 GEN. 1999