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Sentenza Corte di Cassazione - Sez. lav. - 11.3.99/14.1.00 n° 381

Lavoro Subordinato - In Genere (Nozione, Differenze dall'Appalto e dal Rapporto di Lavoro Autonomo, Distinzioni) - Amministratore di società di capitali - Cumulo con la qualità di lavoratore dipendente della medesima società - Ammissibilità - Prova della subordinazione - Contenuto - Valutazione del giudice di merito - Incensurabilità in cassazione.

Pres. Buccarelli - Rel. Mercurio - P.M. Nardi (Conf.) - S.p.A. CALCESTRUZZI (Avv.ti Calderini - Fognier) - I.N.P.S. (Avv.ti Correra - Lironcurti).

La qualità di amministratore di una società di capitali è cumulabile con quella di lavoratore dipendente della medesima società, allorquando sia individuabile - mediante una valutazione delle risultanze istruttorie riservata al giudice di merito e incensurabile in cassazione - la formazione di una volontà imprenditoriale distinta, tale da determinare la soggezione del dipendente - amministratore ad un potere disciplinare e direttivo esterno, sì che la qualifica di amministratore costituisca uno "schermo" per coprire un'attività costituente, in realtà, un normale lavoro subordinato.

FATTO. - Il Pretore di Aosta, su ricorso dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, emetteva in data 9 marzo 1994 decreto ai sensi degli artt. 633 e segg. c.p.c. con il quale ingiungeva alla Calcestruzzi Monte Bianco s.r.l. di pagare all'Istituto ricorrente la complessiva somma di lire 205.424.456 (di cui lire 61.616.940 a titolo di contributi e lire 143.807.516 a titolo di somme aggiuntive) in relazione a lavori di natura subordinata epletati nel periodo dal 1° luglio 1981 al 31 ottobre 1986 da alcuni consiglieri di amministrazione, oltre accessori e spese della procedura (liquidate in lire 2.472.000).

La società ingiunta proponeva opposizione con ricorso 13 aprile 1994 ed il Pretore, nel contraddittorio con l'INPS, pronunciava sentenza in data 20 dicembre 1995 con la quale così statuiva: "disattesa ogni altra istanza ed eccezione, definitivamente pronunziando, conferma per quanto di ragione l'opposto decreto ingiuntivo e per l'effetto condanna Calcestruzzi Monte Bianco s.r.l. al pagamento in favore dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale della somma di lire 61.616.940 oltre alla somma aggiuntiva dovuta a titolo di sanzione civile ai sensi dell'art. 4, 1° comma, lettera a) della l. 29 febbraio 1988 n. 48 e non oltre il limite di due volte l'importo dei contributi omessi nonché alla rifusione delle spese relative alla fase monitoria riliquidate in lire 1.200.000 e delle spese di causa liquidate in lire 2.200.000".

Il Tribunale di Aosta, con sentenza in data 31 agosto 1996, ha rigettato l'appello della società Calcestruzzi Monte Bianco s.r.l., escludendo, in particolare, la nullità del decreto ingiuntivo e respingendo, così, la relativa eccezione di nullità sollevata dalla società (pur se erroneamente da questa riferita ad una "ordinanza - ingiunzione" ex l. n. 689/1981 e non invece al decreto ex artt. 633 e segg. c.p.c.) e ritenendo nel merito che era in effetti intercorso un rapporto di lavoro subordinato tra la stessa ed i soci amministratori Pizzi, Liporace e Schena.

Avverso tale sentenza la Calcestruzzi s.p.a. (incorporante la Calcestruzzi Monte Bianco s.r.l.) ha proposto ricorso per cassazione, formulando due motivi di censura, ciascuno articolato in più profili.

L'INPS ha depositato procura.

DIRITTO. - 1. Con il primo motivo di ricorso la società Calcestruzzi deduce la nullità del decreto ingiuntivo sotto vari profili. Denunzia in primo luogo violazione e falsa applicazione degli artt. 633 e 635 c.p.c. e dell'art. 24 Cost. per l'insufficienza dell'attestazione del dirigente dell'INPS nell'indicazione dei lavoratori cui è riferita l'omissione contributiva e delle circostanze connesse; in secondo luogo lamenta violazione dell'art. 3 della legge n. 241 del 1990 sul rilievo che il ricorso per ingiunzione e il pedissequo decreto erano privi di adeguata motivazione; denunzia inoltre vizio di motivazione circa la ritenuta disparità di trattamento nelle ipotesi di ordinanza - ingiunzione e di decreto ingiuntivo; ed infine violazione dell'art. 125 c.p.c. per essere il ricorso per ingiunzione mancante degli elementi essenziali degli atti processuali.

Il motivo è infondato.

Il Tribunale ha invero correttamente motivato in ordine ai requisiti di ammissibilità del decreto ingiuntivo (non essendo stata emessa nella specie un'ordinanza ingiunzione ex l. n.689/1981), ritenendo idonea la prova scritta necessaria per l'emissione dell'ingiunzione nella forma speciale prevista dal secondo comma dell'art. 635 c.p.c. per i crediti da omissioni contributive, costituita, nel caso di specie, dalla attestazione del dirigente della sede di Aosta dell'I.N.P.S.

Tale attestazione è stata esattamente ritenuta dal giudice d'appello atta a soddisfare l'onere della prova quale prevista, nella particolare forma di cui al citato art. 635 secondo comma, per il sommario

procedimento d'ingiunzione avente ad oggetto contribuzioni richieste dall'Istituto di previdenza, trattandosi - per quanto riportato nello stesso ricorso - di atto contenente la indicazione delle somme pretese, dei lavori ("strada per Entrèves, Courmayeur") cui erano riferiti i contributi omessi e le connesse sanzioni, del relativo complessivo periodo (dal luglio 1981 all'ottobre 1986), e la specificazione dei titoli.

Al riguardo deve peraltro, e comunque, ribadirsi quanto già affermato da questa Corte in relazione alla privilegiata forma scritta della prova richiesta per la procedura monitoria, riguardante crediti da omesso versamento contributivo e nella quale sia stata proposta opposizione dall'ingiunto, e cioè che: "l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo, ai sensi dell'art. 645 c.p.c., ad un procedimento di cognizione nel quale opposto ed opponente, nelle rispettive posizioni sostanziali di attore e convenuto, hanno la possibilità di precisare e modificare nei limiti consentiti dagli artt. 183 e 184 c.p.c. le domande, le eccezioni e le conclusioni formulate in precedenza, nonché produrre nuove prove, con la conseguenza che il giudice non può limitarsi ad esaminare la domanda così come letteralmente proposta e prospettata nel ricorso per ingiunzione, quasi che la pretesa si sia cristallizzata in tale atto, ma deve interpretarla tenendo conto del suo contenuto sostanziale, quale si desume anche dalle tesi svolte nel corso del giudizio di opposizione e dalle deduzioni e richieste, anche istruttorie, della parti" (Cass. 5 novembre 1992 n. 12000).

Ed ancora va ricordato, alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte ed in relazione anche all'accenno all'art. 24 della Costituzione contenuto in ricorso, che il procedimento monitorio dà luogo ad un accertamento che, benchè sommario ed eventuale (appunto perché soggetto a verifica in caso di opposizione), deve riguardare anzitutto l'esistenza e la validità del rapporto giuridico presupposto dalla pronuncia finale; e che "la questione di costituzionalità delle norme relative, in riferimento agli artt. 3 e 24 Costituz., è manifestamente infondata in quanto al debitore, dopo l'emanazione di un provvedimento immediato a seguito di una sommaria cognizione, è consentita la difesa più completa mediante l'atto di opposizione, che instaura il normale giudizio di cognizione" (Cass. 20 aprile 1996 n. 3757).

Giova altresì riaffermare quanto pure deciso da questa Corte proprio in relazione alla nullità del decreto ingiuntivo, dedotta dalla ricorrente a titolazione del motivo, ricordando che "in tema di procedimenti monitori, con l'opposizione al decreto ingiuntivo il giudice è investito del potere - dovere di statuire sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione e sulle eccezioni contro di essa proposte, anche se il decreto risulti emesso fuori dei casi stabiliti dalla legge, secondo le normali regole di ripartizione dell'onere della prova, sì che la nullità del decreto medesimo può essere legittimamente dichiarata solo nel caso in cui, per ragioni pregiudiziali, manchi del tutto la possibilità di emettere una pronuncia nel merito" (Cass. settembre 1998 n. 8853), situazione, quest'ultima, non verificatasi nel caso di specie.

Ove poi si consideri che, allorquando l'opposizione al decreto ingiuntivo abbia dato luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, l'interesse ad una pronunzia sulla legittimità dell'emissione dell'ingiunzione può configurarsi soltanto in relazione (oltre che all'esecuzione provvisoria) alla incidenza delle spese della fase monitoria (cfr. Cass. 14 settembre 1993 n. 9512), deve rilevarsi che, nel caso in esame, la pronuncia sulle spese del procedimento sommario contenuta nel decreto opposto è stata modificata nella sentenza pronunziata nel giudizio di opposizione dal Pretore: il quale infatti, dichiarando di confermare "per quanto di ragione" il decreto opposto, sostanzialmente lo ha revocato, dal momento che ha integralmente sostituito la statuizione contenuta nel decreto stesso con quella enunciata nel dispositivo della sentenza ed ha riliquidato - come già indicato nella parte narrativa della presente sentenza - le spese relative alla fase monitoria poste a carico della società (già liquidate nel decreto in complessive lire 2.472.000) nella inferiore misura di lire 1.200.000.

Per quanto sin qui detto il motivo ora esaminato dev'essere disatteso.

2.- Con il secondo motivo, pur esso articolato in quattro profili e concernente la dedotta insussistenza del vincolo di subordinazione, la società ricorrente in primo luogo denunzia violazione ed errata applicazione degli artt. 2487 e 2094 cod. civ. nonché vizi di motivazione sul punto relativo all'assoggettamento degli amministratori della società, ritenuti lavoratori subordinati, ad un potere disciplinare e di controllo da parte di altri organi; lamenta al riguardo anche contraddittorietà delle argomentazioni svolte dal Tribunale nell'escludere un rapporto gerarchico e ritenere poi sussistente la subordinazione; deduce che tale subordinazione non poteva ritenersi provata in quanto gli amministratori svolgevano la propria attività nell'esclusivo esercizio della carica sociale. In secondo luogo, denunziando violazione ed errata applicazione degli artt. 2487, 2389 e 2392, 2486 e 2364 cod. civ. e contraddittorietà di motivazione, la società rileva che le somme percepite per alcuni mesi all'anno dagli amministratori costituivano il compenso di tale loro attività sociale; lamenta quindi violazione dell'art. 2094 c.c. e vizio di motivazione per non avere il Tribunale correttamente applicato il concetto giuridico di subordinazione della quale era comunque mancata una prova rigorosa; e da ultimo deduce un inadeguato esame delle emergenze istruttorie e vizio di motivazione sulla loro valutazione.

Anche questo motivo è infondato e deve essere respinto.

Va anzitutto evidenziato che correttamente il Tribunale ha posto, e trattato in astratto, sulla base di esatti criteri giuridici, la questione della possibile cumulabilità in uno stesso soggetto della qualità di amministratore di società e di lavoratore subordinato, affermando che sussiste una tale possibilità allorquando "sia individuabile la formazione di una volontà imprenditoriale distinta, tale da determinare la soggezione del dipendente - amministratore ad un potere disciplinare e direttivo "esterno". (pag. 8 sent. Trib.).

Del tutto congrua e adeguata appare poi la motivazione in relazione al caso di specie, là dove il giudice d'appello ha specificato che i soci Schena, Pizzi e Liporace erano assoggettati al potere decisionale d'impresa demandato al Consiglio d'amministrazione ed esercitato dal presidente dello stesso, Rolla Felice, il quale soltanto prendeva le decisioni senza mai interpellare gli altri c.d. "amministratori". Il Tribunale ha pure richiamato "per relationem" la decisione pretorile che aveva evidenziato come l'attività lavorativa dei predetti fosse svolta in osservanza di un orario di lavoro e secondo le modalità applicate anche agli altri dipendenti; ed ha precisato che il lavoro espletato dagli stessi, alla pari degli altri dipendenti addetti, non richiedeva l'assoggettamento a particolari direttive tecniche, trattandosi nella specie di impianto molto semplice di produzione di calcestruzzo e di operazioni sottoposte soltanto a direttive di natura amministrativa e commerciale che pacificamente erano impartite dal Rolla, nei confronti del quale i predetti si trovavano dunque soggetti ad un vincolo di subordinazione nell'unica forma configurabile, attesa la natura e l'organizzazione dell'attività espletata.

Il giudice d'appello ha aggiunto varie ulteriori considerazioni per dimostrare che la qualifica di soci amministratori degli anzidetti Pizzi, Liporace e Schena costituiva uno "schermo" che copriva una attività costituente, nella realtà, un normale lavoro subordinato; ed ha richiamato, in proposito, la circostanza del pagamento, ad essi effettuato, di un assegno mensile emesso a nome della società e costituente un corrispettivo non soggetto a rischio d'impresa, nonché il fatto che agli stessi mai erano stati corrisposti utili né compensi per mansioni collegate alla carica.

Non hanno quindi fondamento, per quanto sin qui riferito, le censure della ricorrente per presunte carenze o contraddittorietà nella motivazione della sentenza impugnata, invero non ravvisabili: mentre i rilievi e le deduzioni, svolte, nel motivo di ricorso si risolvono, in vera sostanza, in critiche ed obbiezioni alla valutazione di fatto e all'apprezzamento delle risultanze istruttorie quali operati dal giudice d'appello nell'esercizio del potere, a lui conferito dall'art. 116 c.p.c., di libera valutazione della prova secondo il suo prudente apprezzamento (cfr. in argomento, tra le molte, Cass. 6 settembre 1995 n. 9384) - ed involgono pertanto, effettivamente, un sindacato nel merito della causa che non è consentito nel presente giudizio di legittimità.

3.- Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato.

La ricorrente, soccombente, è tenuta al rimborso delle spese in favore della controparte, che ha svolto attività difensiva in udienza.

(Omissis)