Sentenza Corte di
Cassazione – Sezione terza penale
n. 2583 del 26 gennaio 2004
Somministrazione di lavoro e intermediazione di manodopera tra D.Lgs. n. 276/2003 e vecchia normativa
Pres. Raimondi – Est. Onorato – P.M. (Conf.) Izzo – Ric. M.
Lavoro – Intermediazione nella manodopera – Fatti punibili anche nel D.Lgs. n. 276/2003 - Condizioni
La fattispecie di illecita mediazione nella fornitura di manodopera punita dall'art. 27 legge 29 aprile 1949 n. 264 è solo parzialmente abrogata dalla fattispecie di esercizio abusivo della intermediazione di cui all'art. 18, comma 1, secondo e terzo periodo, D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276, in quanto i fatti di intermediazione commessi da soggetti privati non formalmente autorizzati, che erano punibili secondo la legge precedente, restano punibili anche nella nuova legge, con la conseguenza che si applicherà ad essi il principio della legge più favorevole di cui al comma 3 dell'art. 2 c.p., mentre altri fatti di intermediazione, che sono diventati legittimi con il D.Lgs. n. 276/2003, restano fuori della nuova fattispecie incriminatrice e non possono essere puniti neppure se commessi sotto il vigore della vecchia norma abrogata.
Lavoro – Somministrazione illecita di lavoro - Appalto di mere prestazioni di lavoro – Fatti punibili nel D.Lgs. n. 276/2003 - Condizioni
La fattispecie di appalto di mere prestazioni di lavoro punita dall’art. 1, comma 3, legge 23 ottobre 1960 n. 1369 è solo parzialmente abrogata dalla fattispecie di somministrazione di lavoro esercitata da soggetti non abilitati o fuori dei casi previsti punita dall’art. 18, comma 1, primo periodo, e comma 2, primo periodo, D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276, in quanto solo alcuni fatti puniti dalla legge abrogata non costituiscono più reato secondo la legge sopravvenuta (le somministrazioni di lavoro da parte di agenzie private abilitate e nei casi consentiti), mentre altri fatti continuano ad essere puniti come reato (le somministrazioni di lavoro da parte di soggetti non abilitati o fuori dei casi consentiti, che la legge abrogata puniva come appalti di mere prestazioni di lavoro).
Svolgimento del processo
1 - Con sentenza del
20 novembre 2002, il tribunale monocratico di Vicenza, in sede di opposizione a
decreto penale, dichiarava R.M. colpevole del reato di cui all’art. 1 legge 23
ottobre 1960 n. 1369, perché - quale legale rappresentante della Cooperativa A.
- aveva fornito 50 lavoratori alla Spa A. Acciaierie B.
Per l'effetto, considerata la pena edittale dell'ammenda di lire 10.000 per
ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione (50 operai per 925
giorni), e riconosciute le attenuanti generiche, il giudice condannava il M.
alla pena (sospesa) dell'ammenda di euro 159.240 (lire 462.500.00, pari a euro
238.861, diminuite di un terzo).
In estrema sintesi, osservava il tribunale che la Cooperativa A., la quale assumeva appalti presso molte società, aveva ricevuto in appalto
dalla società B. il servizio di movimentazione dei laminati e di gestione del
magazzino, utilizzando all'uopo il capannone della ditta appaltante, munito di
un impianto di otto carri ponti. Per conseguenza, era integrata la fattispecie
contravvenzionale contestata, giacché per legge ricorre l'appalto vietato di
mere prestazioni di lavoro quando l'appaltatore impieghi capitali, macchine e
attrezzature fornite dall'appaltante, anche se - come nel caso della
Cooperativa A. - l'appaltatore utilizzi una autonoma gestione aziendale e
assuma un limitato rischio di impresa.
2 - I difensori dell'imputato hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi a sostegno.
2.1 - Col primo
lamentano inosservanza degli artt. 1, 3 e 5 della legge n. 1369/1960 e del
D.P.R. 18 aprile 1994, nonché mancanza e/o manifesta illogicità di
motivazione sul punto.
In sostanza sostengono che il giudice di merito non ha considerato: a) che a
fronte della disciplina generale dell'appalto vietato di mere prestazioni di
lavoro, di cui all'art. 1 della legge, per il facchinaggio all'interno
dell'azienda appaltante eseguito con organizzazione e gestione propria
dell'appaltatore, esiste una disciplina specifica dettata dall'art. 3; b) che la Cooperativa A. era munita dell'autorizzazione preventiva dell'Ispettorato del lavoro,
prevista dall'art. 5 per le imprese di facchinaggio che impiegano il personale
dipendente presso più aziende contemporaneamente; c) che la fattispecie del
facchinaggio era anche disciplinata specificamente prima dalla legge 3 maggio
1955 n. 407 e ora dal D.P.R. 18 aprile 1994 n. 342.
2.2 - Col secondo motivo i ricorrenti lamentano ancora inosservanza ed erronea applicazione degli art. 1, 3 e 5 legge n. 1369/1960, nonché manifesta illogicità di motivazione sul punto, giacché il tribunale non ha adeguatamente valorizzato la circostanza che la Cooperativa A. aveva l’autonoma organizzazione e gestione del servizio e assumeva il rischio (non limitato) di impresa.
2.3 - Col terzo motivo, infine, si lamenta ancora inosservanza o erronea applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 1369/1960, nonché manifesta illogicità di motivazione sul punto, giacché la sentenza impugnata non ha considerato che se la proprietà degli immobili (capannone e carri ponte bitrave), la quale non ha rilievo in virtù del disposto dell'art. 3, apparteneva alla società B., la proprietà di tutte le attrezzature mobili apparteneva alla Cooperativa A.
2.4 - Con memoria aggiuntiva ritualmente depositata, i difensori rilevano che ora tutta la materia è regolata dal D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276 (che è entrato in vigore il 24 ottobre 2003). Questo decreto da una parte (art. 29) distingue la somministrazione di lavoro dall'appalto, in base alla organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché in base all’assunzione del rischio di impresa da parte del medesimo appaltatore; dall'altra abroga tutta la legge 23 ottobre 1960 n.1369.
Motivi della decisione
3 - Va premesso che
il monopolio pubblico del collocamento, stabilito dalla legge 29 aprile 1949 n.
264 e ribadito dalla legge 1369 del 23 ottobre 1969, è stato progressivamente
superato nell'ordinamento italiano, anche sulla spinta del diritto e della
giurisprudenza comunitaria.
Dapprima la legge 24 giugno 1997 n. 196 ha legittimato, in determinati casi, le imprese private iscritte in apposito albo nazionale (c.d. fornitrici) a
mettere a disposizione di altre imprese (c.d. utilizzatrici) l'opera di
prestatori di lavoro temporaneo assunti dalle prime, ai quali era assicurato il
trattamento retributivo e previdenziale vigente nelle seconde. Nei confronti
delle imprese che fornivano o utilizzavano prestazioni di lavoro al di fuori
dei casi e dei limiti previsti dalla legge, peraltro, continuava ad applicarsi
la legge n. 1369/1960 (art. 10, D.Lgs. n. 196/1997).
In seguito, il D.Lgs. 23 dicembre 1997 n. 469, con l'art. 10, ha consentito che l'attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro fosse esercitata da
imprese con determinati requisiti, previa autorizzazione del Ministero del
lavoro. Se però la mediazione era esercitata da imprese non autorizzate trovava
ancora applicazione la legge n. 1369/1960 (cfr. Cass. Sez. III, n. 1055 del 14
gennaio 2003, P.M. in proc. Vezzoli, rv. 223228). Infine il recente D).Lgs. 10
settembre 2003 n. 276, emanato in forza della legge delega 14 febbraio 2003 n.
30, attuando una generale riforma del mercato del lavoro (c.d. riforma Biagi),
ha abrogato - tra l’altro - l'art. 27 della legge n. 264/1949, tutta la legge
n. 1369/1960, i primi undici articoli della citata legge n. 196/1997, nonché
tutte le disposizioni legislative e regolamentari incompatibili col decreto
stesso.
In particolare, la riforma ha istituito un albo ministeriale delle agenzie per
il lavoro, articolato in cinque sezioni (agenzie di somministrazione di lavoro
a tempo determinato, agenzie di somministrazione di lavoro a tempo
indeterminato, agenzie di intermediazione, agenzie di ricerca e selezione del
personale, agenzie di supporto alla ricollocazione professionale); e ha
dettagliatamente disciplinato il contratto di somministrazione di lavoro,
distinguendolo dall'appalto di servizi e dal distacco. L'esercizio abusivo
delle attività riservate alle agenzie iscritte all'albo è sanzionato penalmente
(art. 18); mentre quando la somministrazione di lavoro è posta in essere con la
specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto
collettivo, il somministratore e l'utilizzatore del lavoro sono puniti con
un'ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di
somministrazione (art. 28).
4 - Riprendendo il
contenuto della legge n. 196/1997, il D.Lgs. n. 276/2003, all'art. 20,
definisce il contratto di somministrazione di lavoro, che si distingue
essenzialmente dal contratto di somministrazione di cose di cui all’art. 1559
cod. civ. appunto per la diversità dell'oggetto. Per tutta la durata della
somministrazione i lavoratori svolgono la propria attività nell’interesse e
sotto la direzione e il controllo della impresa utilizzatrice.
La somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa per ragioni di
carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili
all’ordinaria attività dell'utilizzatore. Mentre la somministrazione di lavoro
a tempo indeterminato è specificamente ammessa per alcuni particolari servizi
(servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, servizi di
pulizia, custodia, portineria, servizi di trasporto di persone o di trasporto e
movimentazione di macchinari e merci. servizi di istallazione o smontaggio di
impianti e macchinari, e simili).
Nella somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, i lavoratori rimangono
a disposizione del somministratore per i periodi in cui non svolgono la
prestazione lavorativa presso un utilizzatore.
A garanzia dei lavoratori è previsto un regime di solidarietà a carico del
somministratore e dell'utilizzatore in ordine agli obblighi retributivi e
previdenziali (art. 2, 3).
Con l'art. 29 vengono ribaditi i criteri distintivi tra la somministrazione di
lavoro e l’appalto di opera o di servizio di cui all’art. 1655 cod.civ., che
sono identificati nelI'organizzazione dei mezzi necessari e nell'assunzione del
rischio d'impresa in capo all’appaltatore.
Come già accennato, ogni attività non autorizzata di somministrazione di lavoro
è punita con l'ammenda di 5 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni
giornata di lavoro; mentre l'esercizio abusivo dell'attività di intermediazione
è punito con l'arresto fino a sei mesi e l'ammenda da 1.500 a 7.500 euro, e con l'ammenda da 500 a 2.500 euro se non vi è scopo di lucro (art. 18).
5 - Posto che il
D.Lgs. n. 276/2003 è entrato in vigore il 24 ottobre 2003, si tratta ora
di stabilire se, ai sensi del secondo comma dell'art. 2 c.p., i fatti puniti
dalle norme abrogate non costituiscono più reato ai sensi delle norme
sopravvenute, ovvero se, ai sensi del terzo comma dello stesso art. 2, i fatti
puniti dalle norme abrogate sono ancora punibili a norma della legge
sopravvenuta.
Questa suprema corte ha già ritenuto che le sanzioni penali previste dalla
legge n. 264/1949 (art. 27) e dalla legge n. 1369/1960 (art. 2) continuano a
trovare applicazione, anche dopo che la legge n. 196/1997 e il D.Lgs. n.
469/1997 hanno incisivamente riformato la disciplina della intermediazione del
lavoro, abolendo il monopolio pubblico in materia degli uffici territoriali del
Ministero e affiancando ad essi soggetti privati debitamente autorizzati (sent.
Vezzoli su citata). Ma il problema si ripropone in termini nuovi ora che il
D.Lgs. n. 276/2003, perfezionando la precedente riforma, ha espressamente
abrogato le norme sanzionatorie previste nelle citate leggi n. 264/1949 e n.
1369/1960, sostituendole con nuove ipotesi incriminatrici.
anno al riguardo applicati i principi da ultimo affermati dalle Sezioni Unite
in materia di continuità normativa (n. 25887 del 16 giugno 2003), Giordano e
altri, che ha precisato e parzialmente corretto le precedenti sentenze 7
novembre 2000, Di Mauro, e 13 dicembre 2000, Sagone, secondo cui ricorre una abrogatio
sine abolitione se i fatti costituenti reato secondo la legge anteriore siano
tuttora punibili secondo la legge posteriore, mentre se alcuni fatti puniti
dalla legge anteriore restano fuori dal perimetro normativo della nuova
fattispecie penale ricorre una abrogazione con effetto solo parzialmente
abolitivo.
5.1 - A questa stregua, secondo una valutazione di tipo strutturale delle fattispecie tipiche, non sembra dubbio che la fattispecie di illecita mediazione nella fornitura di manodopera punita dall'art. 27 legge n. 264/1949 è solo parzialmente abrogata dalla fattispecie di esercizio abusivo della intermediazione di cui all'art. 18, comma primo, secondo e terzo periodo, D.Lgs. n. 276/2003. Infatti, l'area della intermediazione abusiva era molto più ampia quando l'intermediazione legittima era monopolizzata dagli uffici ministeriali di collocamento, e diventa molto più ristretta quando l'intermediazione tra domanda e offerta di lavoro è attribuita - a partire dalla legge n. 196/1997 - anche a soggetti privati debitamente autorizzati: sicché i fatti di intermediazione commessi da soggetti privati non formalmente autorizzati, che erano punibili secondo la legge precedente, restano punibili anche con la nuova legge, con la conseguenza che si applicherà ad essi il principio della legge più favorevole di cui al terzo comma dell'art. 2 c.p.; mentre altri fatti di intermediazione, che sono diventati Iegittimi con le leggi di riforma del mercato del lavoro, restano fuori dalla nuova fattispecie incriminatrice e non possono essere puniti neppure se commessi sotto il vigore della vecchia norma abrogata.
5.2 - Più complesso il
rapporto tra la fattispecie penale di cui agli artt. 1 e 2 legge n. 1369/1960,
ora abrogata, e quella introdotta dall'art. 18, primo comma, primo periodo, e
secondo comma, primo periodo, D.Lgs. n. 276/2003, giacché qui appare di più
incerta applicazione il criterio della coincidenza strutturale tra le due
fattispecie.
Data l'amplissima formulazione dei divieti previsti dai primi due commi dell’art.
1 legge n. 1369/1960, la fattispecie abrogata puniva (con un'ammenda
proporzionale al numero dei lavoratori e alle giornate lavorative) sia il
committente che l'appaltatore che ricorressero a qualsiasi esecuzione di
prestazioni lavorative mediante impiego, sotto qualsiasi forma, di manodopera
assunta dall'appaltatore ma di fatto operante alle dipendenze del committente.
La fattispecie introdotta dalla nuova legge punisce (sempre con un'ammenda
proporzionale al numero dei lavoratori e alle giornate lavorative) sia chiunque
eserciti attività non autorizzate di somministrazione di lavoro, sia
l'utilizzatore che ricorra alla somministrazione di lavoro fornita da soggetti
non abilitati o comunque al di fuori dei casi previsti dalla legge [art. 4,
comma 1, lett. b), in relazione all’art. 20, comma 3, lettere da a) ad h)].
Se si tiene presente la chiara opzione non formalistica del legislatore nella
soggetta materia, per cui i contratti valgono per il loro contenuto effettivo e
non per il nomen iuris loro assegnato, e si considera la distinzione tra
somministrazione di lavoro e appalto di servizi ribadita dall'art. 29 D.Lgs. n.
276/2003, per cui sussiste l'appalto solo nel caso in cui l'organizzazione dei
mezzi produttivi, la direzione dei lavoratori e il rischio d'impresa sono
intestati all'appaltatore e non al committente o utilizzatore delle
prestazioni, se ne deve concludere che ogni volta che un imprenditore utilizzi
prestazioni di lavoratori forniti da altri, assumendosi però l'organizzazione
dei mezzi, la direzione dei lavoratori e il rischio d'impresa, si concretizza
una somministrazione di manodopera, che resta vietata e penalmente sanzionata
se priva dei requisiti soggettivi e oggettivi prescritti dalla nuova legge.
Per conseguenza, quello che secondo la legge abrogata era considerato appalto
di mere prestazioni di lavoro, perché l'appaltatore impiegava capitali,
macchine e attrezzature fornite dal committente (art. 1, comma 3, legge n.
1369/1960), è ora qualificato come somministrazione di lavoro ed è ugualmente
punito se esercitato da soggetti non abilitati o fuori delle ipotesi previste
dalla nuova legge. In questo senso, secondo i parametri precisati dalla ultima
giurisprudenza delle Sezioni Unite, anche nella ipotesi in esame si verifica
una abrogazione parziale della fattispecie penale precedente, giacché solo
alcuni fatti puniti dalla legge abrogata non costituiscono più reato secondo la
legge sopravvenuta (le somministrazioni di lavoro da parte di agenzie private
abilitate e nei casi consentiti), mentre altri fatti continuano ad essere
puniti come reato (le somministrazioni di lavoro da parte di soggetti non
abilitati o fuori dei casi consentiti, che la legge abrogata puniva come
appalti di mere prestazioni di lavoro).
6 - Tanto premesso,
ne consegue che il fatto tipico contestato al legale rappresentante della
Cooperativa A. - aver fornito 50 lavoratori alla società Acciaierie B. - non è
stato depenalizzato dal D.Lgs. n. 276/2003. E infatti gli stessi difensori non
hanno sostenuto la tesi che il fatto non è più preveduto come reato ai sensi
dell'art. 2, comma 2, c.p., ma hanno argomentato nella memoria aggiuntiva a
sostegno della diversa tesi dell'applicazione della legge successiva
asseritamente più favorevole ex art. 2, comma 3, c.p.
Resta però da vedere se il fatto contestato integrava gli estremi del reato di
appalto di mano d'opera, previsto dalla legge abrogata nella parte che
sopravvive all’abrogazione, ovverosia integra gli estremi del reato di
somministrazione illecita previsto dalla nuova legge.
In linea di fatto è risultato che la Cooperativa A., la quale svolgeva i suoi servizi presso molte aziende, aveva avuto l'incarico di movimentare i laminati e di
gestire il magazzino della società B. Giova sottolineare che il servizio così
assunto rientra perfettamente tra quelli per cui la nuova legge ammette la
somministrazione di lavoro a tempo indeterminato (art. 20, comma 3, lett. c),
D.Lgs. n. 276/2003, che si riferisce a servizi di trasporto e movimentazione di
macchinari e merci da e per lo stabilimento).
Data la natura dell'incarico, da eseguirsi almeno in parte all'interno
dell’azienda B., è evidente che la cooperativa prestava il suo lavoro anche
dentro i capannoni dello stabilimento della società committente, dove erano
impiantati alcuni carri ponti necessari per la movimentazione dei materiale.
E' certo comunque che, a parte questi beni immobili di proprietà del
committente, la cooperativa gestiva il servizio con mezzi mobili di sua
pertinenza (un locotrattore di notevole valore economico per la rnovimentazione
dei vagoni, scale per salire e scendere dalle cataste di laminati, attrezzi e
mezzi antinfortunistici, ecc.); inoltre dirigeva autonomamente i lavoratori
dipendenti; e infine assumeva il rischio dell'impresa, giacché veniva compensata
in base al materiale movimentato, con una penale di 100.000 lire per ogni
tonnellata di materiale movimentato in meno rispetto allo standard giornaliero
pattuito.
Che poi la penale fosse limitata al 7% del corrispettivo annuo fatturato dalla
cooperativa non escludeva il rischio, come invece ritiene illogicamente il
giudice di merito. Laddove pretende che il rischio essenziale per la
sussistenza di un regolare appalto di servizi debba essere "totale",
il tribunale monocratico non tiene conto che in un rapporto di appalto è
normale che la disciplina contrattuale non escluda mai una delle parti dal
rischio di una esecuzione più o meno favorevole ai suoi interessi. Una cosa
infatti è il rischio attinente al l'organizzazione imprenditoriale - che è
quello rilevante ai fini della configurazione di un legittimo appalto - altra
cosa è il rischio conseguente al rapporto contrattuale.
6.1 - A rigore, non
rileva ai fini penali che il fatto così accertato rientrasse o meno nei lavori
di facchinaggio di cui all'art. 3 o all'art. 5 della legge n. 1369/1960. Se vi
rientrava (come pure appare verosimile) l'unica conseguenza sarebbe che ai
sensi dell'art. 3 la società B. era tenuta in solido con la Cooperativa A. ad assicurare ai dipendenti di quest'ultima un trattamento retributivo e
normativo non inferiore a quello spettante ai dipendenti della prima; ovvero
che, ai sensi dell'art. 5, questo regime solidale non era applicabile a
condizione che la cooperativa A. fosse stata effettivamente autorizzata
dall'Ispettorato del lavoro territorialmente competente.
Quel che soltanto rileva ai fini penali è se il rapporto configurava un
legittimo appalto di servizi, oppure una illecita somministrazione di mere
prestazioni lavorative, cioè il c.d. appalto di mano d'opera vietato dall'art.
1 legge n. 1369/1960 (pseudoappalto). Orbene, a norma del terzo comma dello
stesso art. 1, ricorrevano nella fattispecie l'elemento distintivo del
legittimo appalto di servizi, giacchè la Cooperativa A. organizzava il lavoro con propri mezzi e macchinari, eccetto - e non poteva
essere altrimenti - la sede materiale attrezzata dove il servizio doveva essere
contrattualmente eseguito, che era di proprietà del committente che utilizzava
il servizio stesso.
A quest'ultimo riguardo già la giurisprudenza civile ha chiarito che
“l’utilizzazione da parte dell'appaltatore di capitali, macchine ed
attrezzature fornite dall'appaltante dà luogo a una presunzione legale assoluta
di sussistenza della fattispecie (pseudoappalto) vietata dall'art. 1, primo
comma, della legge n. 1369 del 1960 solo quando detto conferimento di mezzi sia
di rilevanza tale da rendere del tutto marginale ed accessorio l'apporto
dell'appaltatore” (Cass. sez. lavoro, n. 4585 dell'11 maggio 1994, F. A. c. Enel, rv. 486567; Cass. sez. lavoro, n. 6579 del 26 aprile 2003, D. L. c. A. M. Spa,
rv. 562475).
Posto che questa comparazione ponderale tra i due conferimenti va condotta in
relazione al contenuto concreto del contratto intercorso tra i due
imprenditori, non v'è dubbio che la organizzazione dei mezzi produttivi nella
fattispecie de qua faceva capo alla Cooperativa A. in misura qualificante,
considerato che l'apporto della società B. era limitato ai beni immobili in cui
la prima doveva necessariamente svolgere il servizio.
6.2 - Se poi si assumono
i parametri formulati dalla nuova normativa (che all’art. 29, D.Lgs. n.
276/2003 ha meglio definito la distinzione tra appalto di servizi e
somministrazione di lavoro, recependo anche l'elaborazione giurisprudenziale in
materia) qualsiasi dubbio eventuale sulla qualificazione della fattispecie
concreta non è più consentito. Infatti i criteri distintivi codificati per
configurare il legittimo appalto diventano due: 1) l'organizzazione dei mezzi
produttivi da parte dell'appaltatore, che può essere desunta anche dalla
direzione dei lavoratori da parte dello stesso appaltatore; 2) il rischio
d'impresa in capo a quest'ultimo.
Nel caso di specie, per le considerazioni già svolte, il rischio d'impresa
gravava sulla Cooperativa A. (senza con ciò escludere che un rischio incombesse
anche alla impresa B. come controparte contrattuale), e inoltre la direzione e
gestione dei lavoratori impiegati nel servizio, da cui poteva desumersi anche
la completa organizzazione dei mezzi produttivi, facevano capo sempre alla stessa
cooperativa appaltatrice.
Si trattava quindi in concreto di un legittimo appalto di servizi e non di
illecita fornitura di lavoro, sicché l'imputato doveva essere assolto perché il
fatto a lui contestato non sussiste, né ai sensi della legge n. 1369/1960, né -
a maggior ragione - ai sensi del D.Lgs. n. 276/2003.