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Sentenza Cassazione Sezione Lavoro n. 25666 del 7 dicembre 2007

 

LAVORO SUBORDINATO - AUTONOMO, ETERODIREZIONE

 

"Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato (per quest’ultimo il fondamentale

requisito della subordinazione configurandosi come vincolo di soggezione del lavoratore al potere

direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, estrinsecantesi nell’emanazione di ordini

specifici, oltre che nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle

prestazioni lavorative, da apprezzarsi concretamente con riguardo alla specificità dell’incarico

conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione) non deve prescindersi dalla volontà delle

parti contraenti e, sotto questo profilo, va tenuto presente il “nomen juris” utilizzato, il quale però

non ha un rilievo assorbente, poiché deve tenersi altresì conto, sul piano della interpretazione della

volontà delle stesse parti, del comportamento complessivo delle medesime, anche posteriore alla

conclusione del contratto, ai sensi dell’art. 1362, secondo comma, cod. civ., e, in caso di contrasto

fra dati formali e dati fattuali relativi alle caratteristiche e modalità della prestazione, è necessario

dare prevalente rilievo ai secondi."

 

Svolgimento del processo

Con ricorso alla Corte d’Appello di Roma la C.A. Srl proponeva appello avverso la sentenza del

Tribunale di Roma con la quale era stata accolta la domanda di R. P. e dichiarata la sussistenza di

un rapporto di lavoro subordinato e la illegittimità del licenziamento intimatole in data 26/2/97, con

condanna alla reintegra e al pagamento delle retribuzioni.

L’appellata contrastava il gravame e la Corte d’Appello lo rigettava sulla base delle seguenti

considerazioni: infondata era la prima censura sulla pretesa nullità della domanda per mancata

indicazione del contratto applicabile, in quanto la domanda era compiutamente formulata in modo

da individuare petitum e causa petendi e tutti gli elementi di fatto e diritto posti a fondamento

delle pretesa.

Nel merito, dalla prova era emerso che la R. era adibita all’analisi di campioni di laboratorio in vari

settori, eseguiva i prelievi, analizzava i campioni e redigeva i referti; tempi di lavoro e modalità di

esecuzione erano determinati dal direttore tecnico e dall’Amministratore della società che

predisponevano i turni; anche nello svolgimento dell’attività di analisi le direttive sulle priorità

dell’una rispetto all’altra erano date dal direttore, che autorizzava ferie e permessi (testi C. e P. ),

mentre le assenze giornaliere dovevano essere segnalate perché la direzione provvedesse

all’eventuale sostituzione (teste C. ); in caso di assenza la R. veniva comunque retribuita con il

compenso mensile percepito (teste M.).

Sussisteva quindi una eterodirezione, il controllo sul lavoro svolto e l’inserimento in una

organizzazione prefissata da altri, il rispetto di un orario di lavoro, la necessità di segnalare le

assenze e di concordare le ferie; ciò escludeva ogni ipotesi di autonomia e poneva in luce un

rapporto di lavoro subordinato: il carattere distintivo di questo era dato dal vincolo di soggezione

del lavoratore al potere organizzativo e disciplinare del datore di lavoro che si estrinsecava

nell’emanazione di ordini specifici, oltre che nell’attività di vigilanza e controllo, anche se si

atteggiava diversamente in relazione alla peculiarità delle prestazioni lavorative (Cass. n. 3745/95).

Accanto a questo criterio di qualificazione c’erano poi quelli complementari e sussidiari utili ai fini di

tale riconoscimento (orario predeterminato, retribuzione a scadenze fisse, lo svolgimento del

lavoro in sede aziendale e con strumenti messi a disposizione del datore) (Cass. n. 3853/95;

3745/95), Questi parametri sussistevano nel caso di specie e deponevano per un chiaro rapporto

di lavoro subordinato. L’appello quindi doveva essere rigettato.

 

Motivi della decisione

È domandata ora la cassazione di questa pronuncia con un solo complesso motivo, col quale si

lamenta violazione dell’art. 2094 e vizio di motivazione, per non avere tenuto presente il giudice

d’appello che ogni attività umana può essere espletata in maniera autonoma o subordinata e

trascurato i principi fissati dalla Suprema Corte con varie sentenze (n. 13884/04; 17459/03) con

particolare riferimento alla grande considerazione che deve essere attribuita all’elemento

volontaristico (Cass. n. 4308/00; 4948/96); così come ha trascurato altri elementi che avrebbero

dovuto portare ad una diversa decisione: che le direttive impartite dal datore di lavoro, o

committente sono compatibili con entrambi i rapporti di lavoro subordinato autonomo (Cass. n.

12364/03); che non è stata dimostrata la sussistenza del criterio principale della subordinazione,

esclusa peraltro per espressa volontà delle parti con la scrittura privata del 28/12/95 con la quale

la ricorrente ha riconosciuto di avere espletato nel passato “attività libero professionale” e dal suo

successivo rifiuto di essere assunta come dipendente al fine di poter continuare l’attività libero

professionale in favore anche di altri soggetti per i quali lavorava.

Tale espresso rifiuto doveva necessariamente portare al ribaltamento della prima sentenza in

quanto la R. si garantiva il tal modo da ogni contestazione per la mancata presenza, l’abbandono

del posto, l’assenza ingiustificata, ecc.; ciò è sufficiente per dimostrare l’insussistenza del vincolo di

subordinazione (cui sarebbe stata soggetta in caso di accettazione del rapporto di lavoro

subordinato) confermata dal pagamento delle competenza previo rilascio di fattura. Tutte queste

circostanze sono state poste in evidenza in sede di merito, ma il giudice d’appello le ha ignorate.

Solo in assenza degli elementi essenziali della subordinazione il giudice può ricorrere ai criteri

sussidiari (Cass. n. 849/04); il Tribunale invece ha confuso il primo con i secondi, rendendo in tal

modo difficile la difesa; in ogni caso l’uso congiunto del criterio principale e di quello sussidiario

genera “un error decidendi di per sé assorbente”.

Sotto altro profilo la sentenza è censurabile per non avere il giudice correttamente valutato

l’attendibilità del testi M. e C. . La prima è una teste “de relato”, che nella sua “foga difensiva”

nega persino che la R. lavorasse per altri centri di analisi “mentre la circostanza era emersa

pacificamente in sede di libero interrogatorio”; anche la seconda era una teste “de relato actoris” e

per di più aveva una causa pendente con la società. Anche su tali rilievi essenziali il giudice

d’appello non ha risposto e quindi la sentenza deve essere cassata.

Resiste la R. con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memorie illustrative.

Il ricorso è infondato.

La Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto secondo cui “ai fini della distinzione

tra lavoro autonomo e subordinato (per quest’ultimo il fondamentale requisito della subordinazione

configurandosi come vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e

disciplinare del datore di lavoro, estrinsecantesi nell’emanazione di ordini specifici, oltre che

nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle prestazioni

lavorative, da apprezzarsi concretamente con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al

lavoratore e al modo della sua attuazione) non deve prescindersi dalla volontà delle parti

contraenti e, sotto questo profilo, va tenuto presente il “nomen juris” utilizzato, il quale però non

ha un rilievo assorbente, poiché deve tenersi altresì conto, sul piano della interpretazione della

volontà delle stesse parti, del comportamento complessivo delle medesime, anche posteriore alla

conclusione del contratto, ai sensi dell’art. 1362, secondo comma, cod. civ., e, in caso di contrasto

fra dati formali e dati fattuali relativi alle caratteristiche e modalità della prestazione, è necessario

dare prevalente rilievo ai secondi. Tuttavia, quando sia proprio la conformazione fattuale del

rapporto ad apparire dubbia, non ben definita o non decisiva, l’indagine deve essere svolta in

modo tanto più accurato sulla volontà espressa in sede di costituzione del rapporto” (Cass. n.

13884/04; conf. n. 4948/96; 12364/03; 4308/00).

La Corte condivide questo principio sul rilievo essenziale che ogni attività umana può essere

espletata sia in regime di subordinazione che in forma autonoma, per cui ai fini della qualificazione

del rapporto vanno esaminati tutti gli elementi disponibili. Nella specie, sentenza impugnata ha

qualificato il rapporto come subordinato sulla base del rilievo che “i tempi e le modalità di

esecuzione della prestazione erano determinati dal direttore tecnico e dall’Amministratore della

società, che predisponevano i turni di servizio”, davano direttive sulla priorità di un’attività d’analisi

rispetto ad altre, autorizzavano ferie e permessi; dovevano inoltre essere segnalate le assenze per

eventuale sostituzione, per cui sussisteva l’eterodirezione, il controllo sul lavoro svolto, il rispetto di

un orario di lavoro e l’inserimento in una organizzazione aziendale.

Richiama poi genericamente la Corte d’Appello i principi enunciato da questa Corte in ordine al

carattere distintivo del rapporto di lavoro subordinato ed ai criteri sussidiari utili ai fini del suo

riconoscimento e conclude affermando che l’appello deve essere rigettato.

Si osserva in proposito che la “eterodirezione” è in linea di principio sufficiente per la qualificazione

del rapporto come lavoro subordinato, per cui l’accertamento compiuto dal giudice di merito in

ordine alla sussistenza di tale requisito fondamentale è sufficiente per superare l’autoqualificazione

fatta dalle parti, fatta peraltro non all’inizio ma nel corso del rapporto di lavoro, della natura

autonoma del rapporto medesimo.

Quanto all’altro elemento, addotto dal ricorrente come determinante a sostegno della autonomia, il

rifiuto cioè espresso dalla lavoratrice di essere assunta come dipendente, basta rilevare che la

società ricorrente non precisa in che modo abbia provato tale circostanza e non riporta gli elementi

di prova addotti in sede di merito e che sarebbero stati ingiustamente trascurati dal giudice, in

modo da consentire alla Corte la valutazione in ordine alla decisività degli stessi, alle condizioni che

sarebbero state offerte per la costituzione del rapporto subordinato ed alle ragioni del rifiuto. Sotto

questo profilo il ricorso difetta di autosufficienza, perché si dilunga a spiegare le ragioni della

difesa, ma non offre i necessari elementi di valutazione.

Per il resto il ricorso si risolve in censure relative all’attendibilità dei testi (cioè in valutazioni di

merito contrarie a quelle fatte dal giudice di merito) e nella enunciazione di principi di diritto, in

astratto condivisibili ma non sufficienti a contrastare validamente le ragioni della decisione e tutto il

complesso degli accertamenti di fatto su cui la stessa si regge.

Quanto all’espletamento di attività libero professionale a favore di terzi, che sarebbe stata

ammessa dalla lavoratrice in sede di interrogatorio libero, il ricorrente non spiega le ragioni di fatto

e diritto per cui sarebbe errata l’affermazione della sentenza impugnata, che ai fini del

riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato “non è necessaria la esclusività della

prestazione” e sarebbe contraddittoria la giustificazione che “non risulta (che) tale attività (abbia)

in alcun modo precluso alla R. quella continua dedizione delle energie lavorative agli obiettivi della

società C. Analisi Srl, che …è postulata dalla subordinazione”; non specifica il ricorrente quali siano

state le concrete modalità di espletamento di incarichi in favore di terzi e le ragioni per cui tale

attività abbia interferito con la prestazione lavorativa resa in suo favore.

Tutte le censure sono quindi infondate ed il ricorso va rigettato. Le spese vanno poste a carico del

ricorrente e liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in euro 19,00 oltre ad euro

2000,00 per onorario, nonché alle spese generali IVA e CPA.