Sentenza Corte di Cassazione n° 1924 del 19 febbraio 2000
Lavoro Subordinato
- In Genere (Nozione, Differenze dall'Appalto e dal Rapporto di Lavoro Autonomo, Distinzioni) Qualificazione del rapporto data dalle parti - Rilevanza - Limiti - Modalità di esecuzione del rapporto - Prevalenza.Corte di Cassazione Sezione lavoro - 18.11.1999/19.2.2000 n° 1924 - Pres. De Musis - Rel. Figurelli - P.M. Frazzini (Conf.) - M.V.M. Meccanica Val Metauro Srl ed altro (Avvocati Boer Costantini) - INPS (Avvocati Ponturo - Fonzo - Correra).
La valutazione del giudice di merito circa la riconducibilità di determinate prestazioni ad un rapporto di lavoro subordinato, invece che ad un rapporto di lavoro autonomo avente ad oggetto mera attività di consulenza, e circa il carattere dirigenziale delle stesse prestazioni - valutazione che, pur non potendo prescindere del "nomen juris" utilizzato dalle parti, deve tener conto prevalentemente del comportamento in concreto tenuto dalle stesse nell'esecuzione del contratto (per il determinante rilievo dell'interpretazione che le stesse parti danno al proprio contratto attraverso la relativa esecuzione, oltre che per l'ipotizzabilità di una nuova diversa determinante volontà contrattuale eventualmente intervenuta nel corso della relativa attuazione e diretta a modificare la stessa iniziale natura del rapporto) si risolve in un accertamento di fatto, che, ove adeguatamente e correttamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità.
FATTO.
- Con ricorso del 23 novembre 1992 l'INPS di PESARO esponeva che nel giugno del 1991, a seguito di ispezione amministrativa effettuata presso la M.V.M. di Lucrezia di Cartoceto, aveva accertato che la predetta ditta aveva intrattenuto un rapporto di lavoro subordinato con il sig. Giovanni Cenerelli dal 6 ottobre 1980 al 31 maggio 1987; che da quest'ultima data tale rapporto era stato considerato dalle parti come rapporto di lavoro autonomo, pur avendo il Cenerelli continuato a svolgere le medesime mansioni.L'Istituto chiedeva quindi che fosse accertata la natura subordinata del rapporto di cui sopra relativamente al periodo giugno 1987 - giugno 1991 e che la M.V.M. fosse condannata a corrispondere la somma di lire 91.348.000 a titolo di omessa contribuzione.
Si costituiva la M.V.M., che contestava la domanda attrice e ne chiedeva il rigetto.
Nel frattempo l'Istituto aveva ottenuto ordinanza ingiunzione, notificata alla M.V.M. in data 19 febbraio 1993, per il pagamento delle sanzioni amministrative relative all'omessa contribuzione di cui sopra; a tale ingiunzione si opponeva la M.V.M..
Riunite le due cause, il Pretore adito accoglieva la domanda dell'INPS e rigettava l'opposizione della M.V.M., con sentenza in data 26 gennaio 1995; resisteva l'INPS.
Con sentenza in data 15 ottobre - 14 dicembre 1996 il Tribunale di Pesaro rigettava l'appello proposto dalla M.V.M. Meccanica Val Metauro S.r.l., in persona del legale rappresentante Capodagli Severino - anche in proprio - avverso la sentenza pretorile, che confermava, e condannava gli appellanti a rifondere - in solido - all'appellato Istituto le spese di lite.
Osservava il Tribunale che dall'interrogatorio del legale rappresentante della M.V.M. era emerso che il Cenerelli passava molte ore presso la ditta, che il di lui compito era quello di coordinare e seguire dapprima il lavoro di due ragionieri, quindi di coordinarne e guidarne ben quattro; che il Cenerelli aveva poteri di firma nei confronti degli istituti di credito, operava con i mezzi esistenti nell'azienda (ma aveva anche uno studio presso la sua privata abitazione), "appoggiandosi" presso l'ufficio dell'amministratore, che gli aveva fornito anche la chiavi dell'azienda perché potesse svolgere i compiti affidatigli a sua completa discrezione; che il Cenerelli riceveva mensilmente una rata del compenso fisso annuale; che quanto affermato dal Capodagli era stato precisato dal teste Bacchiocchi; che dall'esame di tali risultanze era possibile individuare le c.d. "circostanze spia" del rapporto di lavoro subordinato, che dall'esame delle mansioni espletate dal Cenerelli, questo sembrava svolgere una funzione rasentante quella dirigenziale, e pertanto connotata da particolare elasticità dell'orario di lavoro; che l'entità delle prestazioni del Cenerelli in favore di altre compagnie aziendali era molto esigua a fronte dei corrispettivi annualmente ricevuti dalla M.V.M.; che non si verteva nel caso in questione in ipotesi di litis - consorzio necessario.
Avverso detta sentenza, con atto notificato il 19 dicembre 1997, la M.V.M. Meccanica Val Metauro S.r.l., in persona del legale rappresentante ing. Severino Capodagli, e quest'ultimo anche in proprio, hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L'Istituto intimato, con atto notificato il 22 gennaio 1998 ha resistito con controricorso ed ha proposto altresì ricorso incidentale condizionato, affidato ad unico complesso motivo.
Con atto notificato il 3 marzo 1998 la M.V.M. Meccanica Val Metauro S.r.l. in persona del Capodagli e questi anche in proprio hanno resistito con controricorso al ricorso incidentale condizionato.
DIRITTO. - Con il primo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 102 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., i ricorrenti principali deducono che i giudici del merito avrebbero dovuto ritenere la necessarietà del litis - consorzio fra l'INPS, il lavoratore e l'azienda, in ipotesi, tenuta al versamento dei contributi INPS per tale presunto dipendente, in quarto era "lo stesso Ente previdenziale a dubitare della natura del rapporto sostanziale".
Con il secondo motivo, denunziando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., i ricorrenti principali deducono che il Tribunale ha ignorato del tutto le risultanze probatorie, e che la sentenza impugnata evidenzia insufficienza ed erroneità argomentativa, essendo l'unica fonte di prova per l'INPS il verbale ispettivo con relativa testimonianza dei verbalizzanti; mentre il Tribunale aveva totalmente escluso tutti gli elementi atti a provare la sussistenza dell'autonomia, anche se temperata dalla particolare natura del rapporto; che l'omissione contributiva era stata contestata al Cenerelli unicamente per il periodo antecedente al conseguimento da parte del medesimo del "diploma" di consulente del lavoro e della sua successiva iscrizione al relativa albo.
Con il terzo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., i ricorrenti deducono che, nell'assoluta prevalenza degli elementi di "autonomia" nella configurazione del rapporto "de quo", o, a tutto concedere, nell'equivalenza di tali elementi, il Tribunale avrebbe dovuto dare contezza del perché non aveva ritenuto di tenere nella minima considerazione l'espressa volontà, delle parti e di considerare, ai sensi dell'art. 1362 c.c:, il comportamento complessivo delle stesse anche successivamente alla conclusione del contratto, e quindi all'instaurazione del rapporto.
E' infondato il ricorso principale.
In particolare non condivisibile è il primo motivo, attinente ad una asserita violazione dell'art. 102 c.p.c., connessa alla pretesa qualità di litis consorte del lavoratore, poiché questa Corte Suprema, a far data dalla sentenza delle S.U. n. 1 del 1973, ha sempre ritenuto che nella controversia tra ente previdenziale e datore di lavoro, avente ad oggetto il pagamento di contributi omessi, la mera contestazione da parte del datore di lavoro della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, non determina la situazione di litisconsorzio necessario nei confronti del lavoratore (v. pure in tema Cass. 1555/1987).
Analogamente non condivisibili si appalesano il secondo ed il terzo motivo, qui congiuntamente esaminati perché intimamente connessi, con i quali la ricorrente censura la decisione impugnata, per aver questa ritenuto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato relativamente alla collaborazione prestata quale consulente da un proprio ex dipendente, contestando in particolare le modalità ed i criteri seguiti dal giudice di merito nel pervenire a tale decisione.
Trascura però la ricorrente di considerare che secondo l'indirizzo giurisprudenziale, di recente ribadito da questa Corte (Cass. n. 8574 del 1999), la valutazione del giudice di merito circa la riconducibilità di determinate prestazioni ad un rapporto di lavoro subordinato, invece che ad un rapporto di lavoro autonomo, avente ad oggetto mera attività di consulenza, e circa la qualificazione stessa delle prestazioni - valutazione che, pur non potendo prescindere dal "nomen juris" utilizzato dalle parti, deve tener conto prevalentemente del comportamento in concreto tenuto dalle stesse nell'esecuzione del contratto - si risolve in un accertamento di fatto che, ove adeguatamente e correttamente motivato, come appunto nella specie, è incensurabile in sede di legittimità.
La deduzione, infatti, di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno od all'altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo dell'omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito - il che non è nella specie -, sia ravvisabile traccia evidente del mancato od insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero quando esista insanabile contrasto - il che nella specie neppure sussiste - tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione (Cass. n. 13045 del 27 dicembre 1997).
Vero è infatti che se qualche "artifizio", ravvisato dal Tribunale, può realisticamente ritenersi nella sostanza non sufficientemente argomentato, resta in definitiva, a fronte di un'eventuale affermazione sovrabbondante, la sostanziale organicità, sotto i profili logico-formali e giuridici, della motivazione in ordine alla ritenuta persistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Del resto ogni attività umana, economicamente rilevante, può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di rapporto di lavoro autonomo, i quali si distinguono per la presenza, nel primo del vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, vincolo la cui esistenza va apprezzata - come correttamente ha fatto il Tribunale - con riguardo alla specificità, dell'incarico conferito al lavoratore ed al modo della sua attuazione
(Cass. n. 5710 del 9 giugno 1988).E' d'altra parte "jus receptum" che, ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come subordinato, la volontà espressa dai contraenti non assurge ad elemento decisivo, qualora alla medesima volontà le parti non si siano attenute, se risulta che nello svolgimento del rapporto questo si sia concretizzato - come accertato in fatto dal Tribunale - nel senso della subordinazione. In merito alla verifica di tale situazione l'assoggettamento alle altrui direttive rappresenta l'elemento tipico al quale bisogna riferirsi, ed al quale il Tribunale si è riferito. Quanto poi ai criteri sussidiari di supporto, quali la collaborazione sistematica e non occasionale, il versamento a cadenze fisse della retribuzione - quali che siano le modalità di calcolo -, il coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto organizzativo e per le finalità dell'impresa, sono tutti elementi correttamente evidenziati dal Tribunale nella valutazione complessiva del rapporto di lavoro in questione.
Consegue il rigetto del ricorso principale, ed a tale rigetto consegue l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato, con il quale l'Istituto, denunziando violazione e falsa applicazione di legge, nonché vizio di motivazione, deduce che la società ricorrente avrebbe accettato la sentenza di primo grado, avendo presentato domanda di condono (senza apposizione di riserva).
In definitiva, disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni avverso la stessa sentenza, va rigettato il ricorso principale con assorbimento di quello incidentale condizionato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza ai sensi dell'art. 91 c.p.c., con liquidazione come da dispositivo, e condanna solidale dei ricorrenti, stante il comune interesse, ex art. 97 c.p.c.
(Omissis)