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Sentenza Corte di Cassazione n. 16873 del 11 agosto 2005

Contributi INPS - Disposizioni in materia di minimale contributivo - Deroga alla regola generale consentita solo nel caso in cui la contrattazione collettiva contempli espressamente le assenze dal lavoro.

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 12/10/2002 la Corte d’appello di Firenze, riformando la statuizione resa dal Tribunale di Arezzo il 2/3/2001, rigettava le opposizioni proposte dalla società edile C. e T. SNC di C.A. & C. avverso due decreti ingiuntivi emessi a favore dell’INPS per il pagamento dei contributi evasi in relazione al periodo 1/7/1995-31/12/1997 concernenti il lavoratore G.. La Corte territoriale – premesso che l’art. 29 del D.L. 24/6/1995 n. 244 convertito in legge 8/8/1995 n. 341 dispone che i datori di lavoro esercenti attività edile sono tenuti al pagamento dei contributi previdenziali sulla base di una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore al normale orario di lavoro di cui ai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative – affermava che le eccezioni a detto principio generale, contenute nella medesima disposizione – ossia l’esclusione delle assenze per malattia, infortuni, scioperi, sospensione o riduzione dell’attività lavorativa con intervento della CIG, di altri eventi indennizzati e degli eventi per i quali il trattamento economico è assolto mediante accantonamento presso le Casse Edili – avevano carattere tassativo, con divieto dell’interpretazione analogica, mentre la generalissima ratio legis, su cui il Giudice di primo grado si era fondato, finirebbe per aprire un varco a deroghe casistiche incontrollate. Poiché risultava dal verbale ispettivo che il dipendente G. si era assentato dal lavoro per ipotesi diverse da quelle previste dal citato art. 29 (peraltro non erano stati inclusi nel calcolo dell’evasione contributiva i permessi non retribuiti previsti dal CCNL per quaranta ore annuali), la pretesa dell’Istituto era fondata e quindi le opposizioni proposte dalla società dovevano essere rigettate.

Avverso detta sentenza la società soccombente propone ricorso affidato ad un unico motivo.

L’INPS resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

La società denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del D.L. 244/95, convertito in legge 341/95, nonché del decreto del Ministero del lavoro del 16/12/1996, per avere la Corte territoriale ritenuto detta norma di carattere tassativo, mentre così non sarebbe, dal momento che la stessa disposizione rimanda, alle leggi ed alla contrattazione collettiva che prevedano una legittima sospensione dal lavoro, l’ulteriore casistica di esclusione contributiva. Inoltre nel preambolo del D.M. 16/12/1996 si era previsto espressamente che sarebbero rimaste ferme le esclusioni che derivano da leggi e da contratti, di talché il decreto ministeriale avrebbe fatto riferimento espresso alla contrattazione collettiva. Si lamenta altresì che i Giudici di appello non abbiano fatto alcun riferimento al citato decreto ministeriale.

Il ricorso non merita accoglimento.

 

1. L’art. 29 della citata legge 341 dell’8/8/1995 (di conversione del D.L. n. 244 del 23/6/1995) introduce il principio del minimale contributivo, nel senso che i contributi che le aziende edili sono tenute a versare devono necessariamente determinarsi sulla base di una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva, ossia dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale e dai relativi contratti integrativi territoriali di attuazione. Si tratta dunque di una disposizione che impone di versare i contributi sulla base di una retribuzione che può essere meramente “virtuale” nei casi in cui quella dovuta ed erogata si riferisca ad un orario di lavoro inferiore a quello “normale”. Si tratta di disposizione destinata ovviamente ad operare solo sul piano contributivo, e non già su quello del rapporto di lavoro, giacché la retribuzione non può che essere corrispondente all’orario effettivamente seguito. Si tratta di una delle molteplici disposizioni in materia di minimale contributivo, tra cui la più importante è quella di cui all’art. 1 D.L. 12/7/1989 n. 389, convertito con la legge 10/9/1989 n. 338, a norma del quale l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, il c.d. “minimale contributivo” (Cass. Sezioni Unite n. 11199 del 29/7/2002).

 

2. nel settore dell’edilizia, caratterizzato da rapporti di lavoro frammentari, il legislatore ha dunque imposto che, quale che sia l’orario di lavoro effettivamente svolto, la contribuzione da versare si debba in ogni caso parametrare all’orario “normale” quale stabilito dalla contrattazione collettiva, al fine di assicurare la necessaria provvista e garantire così l’equilibrio finanziario della gestione.

La medesima disposizione, ossia il citato art. 29, esclude però dal minimale alcuni casi in cui la prestazione lavorativa non viene per nulla effettuata, ovvero viene effettuata in misura inferiore: si tratta delle assenze per malattia, infortuni, scioperi, sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, con intervento della cassa integrazione guadagni, di altri eventi indennizzati, e degli eventi per i quali il trattamento economico è assolto mediante accantonamento presso le casse edili (si tratta tipicamente del caso di ferie). La medesima disposizione precisa poi che: “Altri eventi potranno essere individuati con decreto del Ministero del Lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, sentire le organizzazioni sindacali predette”. Se tale è la previsione normativa, non vi è dubbio che le ipotesi in cui si esclude la regola del minimale siano da considerarsi tassative: ossia solo nei casi contemplati possibile ragguagliare la retribuzione, su cui versare la contribuzione, sulla base di un orario di lavoro inferiore a quello “normale”. Infatti la esistenza stessa di una precisa elencazione conduce ad escludere che siano ammesse deroghe al principio generale diverse rispetto a quelle espressamente previste. Le deroghe però non sono solo quelle fissate dalle legge, ma anche quelle fissate dal decreto ministeriale, che la legge ha espressamente delegato all’estensione ad altre ipotesi.

Il D.M. del 16/12/1996 (che la Corte può conoscere direttamente trattandosi di atto avente valore normativo) precisa che restano “ferme restando le esclusioni che derivano da leggi e da contratti”, e proprio in forza di questa previsione, lo stesso INPS, come risulta dalla sentenza impugnata, si è astenuto dal pretendere i contributi sui permessi non retribuiti previsti dal CCNL per un numero di quaranta ore annuali, proprio perché nel CCNL si escludono dalla regola del minimale i permessi non retribuiti non superiori al detta misura.

Sarebbe stato quindi onere del ricorrente precisare la natura e la durata delle assenze dal lavoro del dipendente G., e la norma del contratto collettivo che conferiva detta facoltà, stante il richiamo che il decreto ministeriale citato opera alla contrattazione collettiva.

 

3. Non è quindi sufficiente il mero richiamo fatto in ricorso al decreto ministeriale, considerato che quest’ultimo rimanda, a sua volta, alla contrattazione collettiva, per cui solo se questa contempla espressamente le assenze dal lavoro è consentita la deroga alla regola del minimale. Ossia, la censura relativa alla mancata considerazione del decreto ministeriale ad opera dei giudici d’appello non appare decisiva dal momento che, come già rilevato, non si indica in ricorso la disposizione che completa la fattispecie, ossia la clausola del CCNL che consentirebbe di escludere, dalla regola generale, l’assenza di cui il dipendente G. ebbe a godere.

Non è infine rilevante, per annullare la sentenza impugnata, la mancata valutazione della circolare INPS.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio vengono compensate tra le parti.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio.