Sentenza Corte di Cassazione n° 151 del 5 gennaio 2001
Lavoro subordinato, in genere - Distinzione tra lavoro autonomo e subordinato - Utilizzazione del nomen juris dato dalle parti - Rilevanza - Comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto.
Corte di Cassazione - 16.11.2000/8.1.2001, n.151/01 - Pres. Sciarelli - Rel. Stile - P.M. Pivetti (Conf.) - Readytec Dataduemila S.r.l. (Avv. Bozza) - INPS (Avv.ti Ponturo, Fonzo e Correra).
Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato invece che come autonomo, essendo l'iniziale contratto causa di un rapporto che si protrae nel tempo, la volontà che esso esprime e il nomen juris che utilizza non costituiscono fattori assorbenti, diventando, viceversa, il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto, elemento necessario non solo ai fini della sua interpretazione, ma anche utilizzabile ai fini dell'accertamento d'una nuova diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso dell'attuazione del rapporto e diretta a modificare singole sue clausole e talora la stessa natura del rapporto lavorativo inizialmente prevista (da autonoma a subordinata), cui la conseguenza che, in caso di contrasto fra i dati formali iniziali di individuazione della natura del rapporto e quelli fattuali emergenti dal suo concreto svolgimento, a questi ultimi deve darsi necessariamente rilievo prevalente, e ciò non soltanto nell'ambito di una richiesta di tutela formulata fra le parti del contratto, ma anche ai fini di una richiesta di tutela da parte del terzo che - come nella specie l'INPS - sia parte di un rapporto avente causa dall'attuazione del contratto stesso in quanto di lavoro subordinato. (Massima non ufficiale).
FATTO. - Con sentenza del 7/9 dicembre 1995 il Pretore di Siena accertava la natura autonoma del rapporto di lavoro intrattenuto da Roberto Bianconi, Maurizio Chionne, Marco Massai e Angelo Di Mario con la Readytec Dataduemila S.r.l. e la natura subordinata del rapporto di lavoro che la stessa società intratteneva con Giorgio Pifferi e Sandro Giannotti, con ciò riconoscendo gli obblighi contributivi connessi alla posizione dei due dipendenti, da versarsi a favore dell'INPS.
A tale conclusione il Pretore perveniva considerando l'ampia discrezionalità attribuita dalla società ai quattro collaboratori, il criterio di determinazione del compenso e l'assenza di dimostrazione dell'elemento sussuntivo della subordinazione.
L'accertamento relativo al Giannotti, invece, si fondava sulla mancanza di discrezionalità nell'espletamento, da parte di costui, della propria prestazione (rappresentata dall'assenza di un potere di scelta anche della merce da commercializzare), nonché sul suo stretto inserimento nell'organizzazione aziendale, sulla titolarità di potere dispositivo nei confronti di altri dipendenti, sulla continuità della prestazione e sulla sua durata, ecc.. Analoghe considerazioni venivano fatte riguardo alla posizione del Pifferi.
Tale decisione veniva impugnata dalla Readytec Dataduemila in relazione alla ritenuta sussistenza del rapporto di lavoro subordinato con il Giannotti ed il Pifferi, nonché dall'INPS, con appello incidentale, in relazione alla ritenuta esclusione di un rapporto di tale natura con gli altri quattro lavoratori.
Con sentenza del 16 luglio/12 novembre 1997, l'adito Tribunale di Siena, rigettava entrambi gli appelli condividendo le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la Readytec Dataduemila S.r.l. formulando quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..
Resiste l'INPS con controricorso.
DIRITTO. - Con il primo motivo la ricorrente, denunciando la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ed in particolare della norma di cui all'art. 1417 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), si duole che il Tribunale di Siena, sul dichiarato presupposto che le convenzioni contrattuali intercorse con i signori Giannotti e Pifferi dissimulassero un rapporto di lavoro subordinato, avrebbe erroneamente introdotto ed esaminato nel giudizio di appello una questione, quella appunto della simulazione, che non era mai stata dedotta dalle parti nel corso del giudizio di primo grado, pronunciando, in tal modo, oltre i limiti delle domande avanzate dalle parti. La controversia, infatti, aveva ad oggetto unicamente la richiesta di accertamento in ordine alla natura, autonoma o subordinata, dei rapporti intercorsi fra la ricorrente medesima ed alcuni dei suoi soci.
Nel caso di specie, peraltro, il riferimento all'istituto della simulazione risultava del tutto inappropriato, posto che in giudizio non era in alcun modo emerso che il reale svolgimento dei rapporti intercorsi fra la società Readytec Dataduemila ed i soci Giannotti e Pifferi fosse stato in alcun modo diverso da quello rappresentato nelle scritture private allegate agli atti.
Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), deduce che il Tribunale, pur affermando di dover fare applicazione del secondo comma di detto articolo, avrebbe violato proprio il disposto della norma stessa, - la quale prescrive che, nell'interpretare un contratto si deve tenere conto della "comune intenzione delle parti" e non limitarsi al senso letterale delle parole - , trovando detto criterio ermeneutico applicazione unicamente allorquando la questione interpretativa sia sorta tra le stesse parti del contratto, e non tra una delle parti ed un terzo.
Orbene - prosegue la ricorrente - poiché, nel caso di specie, il giudizio era stato promosso nei confronti dell'INPS e non nei confronti dei soci Giannotti e Pifferi, il Tribunale di Siena avrebbe erroneamente applicato il principio interpretativo in parola facendo ricorso - al fine di integrare il pur chiaro ed univoco senso letterale degli accordi codificati nelle scritture private in questione - alla valutazione del comportamento complessivamente tenuto ed adottato dalle parti anche successivamente alla stipulazione di dette convenzioni; ed avrebbe nuovamente errato nel non considerare che, anche a seguito della errata valutazione di detto complessivo comportamento, lo stesso era stato del tutto conforme al contenuto dei richiamati accordi.
Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2094 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), deduce che il Tribunale avrebbe completamente disapplicato la disposizione in esso contenuta, omettendo di indicare attraverso quali attività o modalità di svolgimento dei rapporti di collaborazione esaminati si sarebbe esplicata la subordinazione sia come potere direttivo della società sia come soggezione allo stesso da parte dei due soci. Né sarebbe stato in alcun modo considerato dal Tribunale di Siena che l'oggetto del contratto intercorso con Giannotti e Pifferi era costituito dalla messa a disposizione dell'attività e capacità tecnica e professionale e non dalle loro energie lavorative.
Con il quarto motivo, infine, la ricorrente denunciando omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti (art. 360 n. 5 c.p.c.), si duole che il Tribunale avrebbe omesso di esaminare la questione, dalla stessa sollevata a seguito della proposizione dell'appello incidentale da parte dell'INPS, concernente la nullità dell'atto stesso per mancanza assoluta dei motivi.
I primi tre motivi, da trattarsi congiuntamente perché strettamente connessi, sono infondati.
Giova premettere che al fine della qualificazione del rapporto di lavoro, poiché l'iniziale contratto è causa d'un rapporto che si protrae nel tempo, la volontà che esprime e lo stesso nomen iuris che utilizza, pur necessari elementi di valutazione, non costituiscono fattori assorbenti; ed il comportamento posteriore alla conclusione del contratto diventa elemento necessario non solo (per l'art. 1362 secondo comma cod. civ.) all'interpretazione dello stesso iniziale contratto (Cass. 22 giugno 1997 n. 5520) bensì all'accertamento d'una nuova diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso della relativa attuazione e diretta a modificare singole clausole e talora la stessa natura del rapporto di lavoro inizialmente previste; e pertanto in caso di contrasto fra iniziali dati formali e successivi dati fattuali (emergenti dallo svolgimento del rapporto), questi assumono necessariamente un rilievo prevalente; ciò, non solo nell'ambito della tutela del lavoratore subordinato (Cass. 22 giugno 1997 n. 5520) bensì (con ulteriore fondamento) ai fini della necessaria tutela del terzo (quale l'Istituto previdenziale) il quale diventi parte d'un rapporto avente causa dall'attuazione d'un contratto intervenuto fra altri soggetti che lo hanno precostituito nel proprio esclusivo interesse (e, eventualmente, anche in suo danno) (Cass. 15 giugno 1999 n. 5960).
La necessità di una verifica della congruenza o meno del rapporto lavorativo, considerato nella sua fase attuativa, rispetto alla qualificazione formale del contratto che ne costituisce la fonte, comporta che, ove sia contestata la natura del rapporto di lavoro, la relativa controversia implica inevitabilmente l'accertamento di una eventuale simulazione relativa, che, anche se non espressamente e formalmente dedotta, può ritenersi implicitamente prospettata nella domanda proposta in giudizio o nella contestazione mossa a tale domanda.
In quest'ordine di idee deve escludersi che il giudice di merito, cui compete di dare l'esatta qualificazione giuridica del rapporto, incorra in vizio di ultrapetizione, allorché indaghi, pervenendo alle conseguenti conclusioni, sulla corrispondenza del nomen iuris rispetto alla reale natura del rapporto, quale desumibile dalla sua attuazione.
Costituisce, del resto, orientamento assolutamente prevalente di questa Corte che, sia nell'ipotesi in cui le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, abbiano simulatamente dichiarato di volere un rapporto di lavoro autonomo al fine di eludere la disciplina legale inderogabile in materia, sia nel caso in cui l'espressione verbale abbia tradito la vera intenzione delle parti, sia infine nell'ipotesi in cui, dopo aver voluto realmente il contratto di lavoro autonomo, durante lo svolgimento del rapporto le parti stesse, attraverso fatti concludenti, mostrino di aver mutato intenzione e di essere passate ad un effettivo assetto di interessi corrispondente a quello della subordinazione, il giudice di merito deve attribuire valore prevalente - rispetto al "nomen iuris" adoperato in sede di conclusione del contratto - al comportamento tenuto dalle parti nell'attuazione del rapporto stesso (Cass. 10 aprile 2000 n. 4533).
E nell'ambito di questo concreto svolgimento - come è stato ripetutamente affermato - , l'elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato è l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore, con la conseguente limitazione della sua autonomia ed il suo conseguente inserimento nell'organizzazione aziendale (Cass. 4 marzo 1998 n. 2370, 25 luglio 1994 n. 6919).
Altri elementi quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza d'un orario e la forma della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva (Cass. 15 maggio 1991 n. 5409, 29 marzo 1990 n. 2553).
Nel caso in esame il Tribunale, ha affermato la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato nei confronti di Giannotti e Pifferi, pervenendo alla decisione sulla base della esatta applicazione al caso di specie dei principi e criteri generali in materia, ravvisando nel caso concreto uno stretto inserimento dei due lavoratori nell'organizzazione aziendale; la titolarità di potere dispositivo nei confronti degli altri dipendenti; la continuità della prestazione e la durata della stessa; il carattere di esclusività della prestazione; l'assenza di una organizzazione imprenditoriale dei collaboratori; l'esistenza di un compenso predeterminato annualmente e corrisposto mese per mese.
Va disatteso, infine, il quarto motivo, con cui la ricorrente lamenta l'omessa pronuncia in ordine alla eccepita nullità dell'appello incidentale dell'INPS, avendo il Tribunale rigettato detto appello, rendendo, per ciò stesso, la società priva di interesse a tale censura.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese di questo giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
(Omissis)