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Natura del rapporto di lavoro e rilievo della volontà delle parti

Cassazione Sezione Lavoro 22 novembre 1999, n. 12926

Ove le parti, nel regolare i loro reciproci interessi, abbiano dichiarato di voler escludere la natura subordinata di un rapporto di lavoro, è possibile pervenire ad una diversa qualificazione di esso, soltanto se si dimostra in concreto l’elemento della subordinazione, intesa come vincolo di natura personale, che assoggetta il prestatore di lavoro al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore, che si deve estrinsecare nella specificazione della prestazione lavorativa richiesta in adempimento delle obbligazioni assunte dal prestatore medesimo; subordinazione che deve essere in fatto provata nello svolgimento del rapporto di lavoro.

Le indagini del giudice

Nel caso in cui un lavoratore sostenga di avere prestato la sua opera in condizioni di subordinazione, pur avendo inizialmente firmato un formale contratto di lavoro autonomo, possono distinguersi due ipotesi, che il giudice deve verificare.

La prima è che le parti abbiano voluto attuare un rapporto di subordinazione, ma, per aggirare o nascondere la subordinazione, e con essa gli obblighi e gli oneri che la sua disciplina comporta, abbiano dichiarato espressamente di volere un rapporto di lavoro autonomo oppure se siano espresse in modo non chiaro. Il contratto dissimulato prevale su quello simulato ai sensi del secondo comma dell’art. 1414 cod. civ., mentre le difficoltà di interpretare le dichiarazioni di volontà debbono essere superate ai sensi dell’art. 1362 cod. civ., che prescrive all’interprete di non limitarsi al senso letterale delle parole, ma di valutare anche il comportamento delle parti in sede esecutiva. Ciò in quanto, la pur preliminare indagine sull’effettiva volontà negoziale non può essere disgiunta da una verifica dei relativi risultati con riguardo alle modalità e caratteristiche concrete assunte dalla prestazione nel corso del rapporto.

La seconda ipotesi è che i contraenti, voluto effettivamente un rapporto di lavoro autonomo, non abbiano, poi, tradotto in atto la dichiarazione, ma durante lo svolgimento del rapporto stesso abbiano manifestato – attraverso fatti concludenti – modifiche o mutamenti della volontà negoziale già espressa, con conseguente mutamento del regime normativo. Specialmente nel rapporto di lavoro, del resto, gli atteggiamenti delle parti assumono rilevanza giuridica non tanto in sede di conclusione del contratto quanto nella fase in cui le prestazioni vengono scambiate, onde è dal contenuto di essa che è dato risalire al tipo negoziale in cui la vicenda concreta deve essere inquadrata.

Nell’una e nell’altra ipotesi spetta dunque al giudice di merito il rilievo, e la conseguente qualificazione giuridica, del comportamento tenuto dalle parti durante l’attuazione del rapporto di lavoro, prendendo come base di partenza il nomen iuris, utilizzato dai contraenti

Commento

Sul rilievo da dare alla volontà delle parti in ordine alla qualificazione del rapporto di lavoro (se subordinato o autonomo) esistono nella giurisprudenza della Cassazione due ben distinti indirizzi giurisprudenziali: uno, come la decisione in commento, che attribuisce rilevanza primaria, anche se non determinante, alla volontà delle parti ed alla qualificazione del rapporto data dalle stesse; l’altro (di cui è espressione Cass. N. 7885 del 1997) secondo cui aspetta al giudice del merito accertare il comportamento tenuto dalle parti nell’attuazione del rapporto di lavoro, al fine della conseguente qualificazione giuridica dello stesso come lavoro autonomo ovvero lavoro subordinato, senza che a ciò sia di impedimento la formale qualificazione delle parti in sede di conclusione del contratto individuale, sia nel caso in cui le parti, pur volendo attuare un rapporto di subordinazione, abbiano simulatamente dichiarato di volere un rapporto di lavoro autonomo (al fine di eludere la disciplina legale inderogabile in materia), sia nell’ipotesi in cui tale volontà sia autentica, ma durante lo svolgimento del rapporto medesimo le parti stesse, con comportamenti concludenti, abbiano manifestato l’intenzione di mutare la natura del rapporto, ponendo in essere un rapporto di lavoro subordinato.