Torna a Massime e Sentenze

Sentenza Corte di Cassazione n° 1186 del 17 novembre 2000

Contributi unificati in agricoltura - Servizio per i contributi - Elenchi - Lavoratori agricoli a tempo determinato - Diritto alle prestazioni previdenziali - Presupposti - Prestazione lavorativa per un numero minimo di giornate - Iscrizione negli appositi elenchi (o possesso del certificato sostitutivo) - Necessità - Prova della complessa fattispecie - Onere gravante sul lavoratore - Esistenza di prove contrapposte - Prudente apprezzamento del giudice - Necessità.

Lavoro - Lavoro subordinato - Lavoro agricolo - In genere (Scambi di mano d'opera) - Lavoratori agricoli a tempo determinato - Diritto alle prestazioni previdenziali - Presupposti - Prestazione lavorativa per un numero minimo di giornate - Iscrizione negli appositi elenchi (o possesso del certificato sostitutivo) - Necessità - Prova della complessa fattispecie - Onere gravante sul lavoratore - Esistenza di prove contrapposte - Prudente apprezzamento del giudice - Necessità.

Corte di Cassazione - Sezioni Unite - 6.4/17.11.2000, n. 1186/00 - Pres. Grossi - Rel Prestipino - P.M. Lo Cascio (Conf.) - I.N.P.S. (Avv.ti Gigante e Cerioni) - Ioverno Maria Luisa.

Con riferimento ai lavoratori subordinati a tempo determinato nel settore dell'agricoltura, il diritto dei medesimi alle prestazioni previdenziali, al momento del verificarsi dell'evento protetto, è condizionato, sul piano sostanziale, dall'esistenza di una complessa fattispecie, che è costituita dallo svolgimento di una attività di lavoro subordinato a titolo oneroso per un numero minimo di giornate in ciascun anno di riferimento, che risulti dall'iscrizione dei lavoratori negli elenchi nominativi di cui al R.D. 24 settembre 1940 n. 1949 e successive modificazioni e integrazioni o dal possesso del cosiddetto certificato sostitutivo (il quale, a norma dell'art. 4 D.L.Lgt. 9 aprile 1946 n. 212, può essere rilasciato a chi lo richiede nelle more della formazione degli elenchi).

Pertanto, sul piano processuale, colui che agisce in giudizio per ottenere le suddette prestazioni ha l'onere di provare, mediante l'esibizione di un documento che accerti la suddetta iscrizione negli elenchi nominativi o il possesso del certificato sostitutivo (ed eventualmente, in aggiunta, mediante altri mezzi istruttori), gli elementi essenziali della complessa fattispecie dedotta in giudizio, fermo restando che il giudice del merito, a fronte della prova contraria eventualmente fornita dall'ente previdenziale, anche mediante la produzione in giudizio di verbali ispettivi, non può limitarsi a decidere la causa in base al semplice riscontro dell'esistenza dell'iscrizione anche perché quest'ultima, al pari dei suddetti verbali ispettivi e alla stregua di ogni altra attività di indagine compiuta dalla pubblica amministrazione, ha efficacia di prova fino a querela di falso soltanto della provenienza dell'atto dal pubblico funzionario e della veridicità degli accertamenti compiuti, ma non del contenuto di tali accertamenti, qualora questi siano basati su dichiarazioni rese da terzi o, addirittura, dall'interessato), ma deve pervenire alla decisione della controversia mediante la comparazione e il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi probatori acquisiti alla causa.

      FATTO. - Con ricorso del 29 maggio 1992 Maria Luisa Ioverno conveniva davanti al Pretore del lavoro di Rossano l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e, facendo valere la sua qualità di bracciante agricola iscritta negli elenchi previsti dalla legge, chiedeva che l'ente convenuto fosse condannato a pagarle l'indennità di maternità relativa a due diversi periodi riguardanti gli anni 1987 e 1988.

      Costituitosi in giudizio, l'Istituto previdenziale, oltre ad eccepire la prescrizione del diritto, ne contestava la fondatezza, deducendo l'inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato in capo alla ricorrente.

      Con sentenza dell'8 ottobre 1996 il Pretore, disattesa l'eccezione preliminare, accoglieva il ricorso.

      Questa decisione, impugnata dall'INPS, veniva confermata dal Tribunale di Rossano con sentenza del 18 marzo 1997.

      Il giudice di appello, per quanto ancora interessa, osservava che l'appellata risultava iscritta negli elenchi nominativi dei braccianti agricoli, il che era sufficiente perché la stessa ottenesse l'erogazione delle prestazioni previdenziali richieste, dato che sfornita di prova si era rivelata l'eccezione dedotta dall'INPS circa l'inesistenza di un valido rapporto di lavoro subordinato negli anni di riferimento.

      Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'INPS in base ad un unico motivo poi illustrato da memoria.

      La Ioverno non ha svolto attività difensiva.

      Il ricorso è stato assegnato dal Primo Presidente a queste Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 374, secondo comma, c.p.c., per la composizione di un contrasto sorto all'interno della Sezione Lavoro della Corte in ordine alla interpretazione delle disposizioni di legge riguardanti la materia e relative alla ripartizione dell'onere della prova degli elementi costitutivi del diritto dedotto in giudizio.

      DIRITTO. - Con l'unico motivo dell'impugnazione l'Istituto ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 3 e 4 D.Lgs. lgt. 9 aprile 1946 n. 212 e 15 L. 30 dicembre 1971 n. 1204, oltre a vizi di motivazione, in relazione all'art. 360, primo comma n. 3 e 5, c.p.c. e sostiene che il Tribunale, nel riconoscere che alla intimata spettano le chieste indennità, non avrebbe considerato che il diritto dei lavoratori agricoli alle prestazioni previdenziali deriva non dalla semplice iscrizione negli elenchi nominativi, ma direttamente dalla legge in relazione allo svolgimento di una attività di lavoro subordinato a titolo oneroso per il periodo di tempo richiesto, con la conseguenza che, in caso di contestazione dell'esistenza di tale requisito, incombe sull'interessato l'onere della relativa prova. Aggiunge il medesimo ricorrente che il giudice di appello non ha avuto nemmeno cura di esaminare il rapporto ispettivo che da esso Istituto era stato prodotto in giudizio e dal quale risultava l'inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato in capo alla intimata.

      Il ricorso è fondato nei termini che saranno indicati.

      I. L'iscrizione dei lavoratori agricoli in appositi elenchi nominativi (principali e suppletivi) allo scopo della erogazione delle prestazioni previdenziali trova la sua originaria disciplina nell'art. 12 R.D. 24 settembre 1940 n. 1949, che prevedeva, per ciascun Comune, la compilazione di tali elenchi distinti per categorie di lavoratori e da pubblicarsi a cura del prefetto.

      La formazione degli elenchi, prima di competenza di apposite commissioni, con D.Lgs. CPS 7 novembre 1947 n. 1308 era stata affidata al Servizio per la compilazione degli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli e per l'accertamento e la riscossione dei contributi, istituito con D.Lgs. lgt. 8 febbraio 1945 n. 75, successivamente denominato Servizio per i Contributi Agricoli Unificati (SCAU) e riconosciuto come ente di diritto pubblico (art. 24 L. 22 novembre 1954 n. 1136). Tale ente, come è noto, è stato poi soppresso, a norma dell'art. 19 L. 23 dicembre 1994 n. 724, con decorrenza dal 1° luglio 1995 e, per conseguenza, è stato disposto, da un lato, il subentro dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) in tutti i rapporti attivi e passivi che allo stesso facevano capo (v. l'art. 9 sexies, secondo comma, L. 28 novembre 1996 n. 608, che ha convertito, con modificazioni, il D.L. 1° ottobre 1996 n. 510, ultimo di una serie di decreti legge via via reiterati) e, dall'altro, il trasferimento delle sue funzioni, a seconda della relativa competenza, sia all'INPS che all'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL).

      Dopo le modifiche apportate al sistema da diverse disposizioni di legge succedutesi nel tempo (v. le leggi 5 marzo 1963 n. 322 e 12 marzo 1968 n. 334, il cui contenuto, ai fini della decisione, non rileva riferire), a seguito dell'entrata in vigore del D.L. 3 febbraio 1970 n. 7, convertito in L. 11 marzo 1970 n. 83, l'accertamento dei lavoratori agricoli, ai fini del loro collocamento, è stato assegnato alle Commissioni circoscrizionali per la manodopera agricola (regionali provinciali e locali), poi denominate, in base alla L. 28 febbraio 1987 n. 56, Commissioni circoscrizionali per il collocamento in agricoltura. A queste Commissioni è stato attribuito il compito, fra gli altri, di registrare in un elenco principale - che ora deve essere trasmesso all'INPS, come prima era trasmesso allo SCAU, entro il 20 gennaio di ogni anno - il numero di giornate lavorative assegnato nell'anno a ciascun iscritto.

Lo svolgimento di un numero minimo di giornate lavorative nell'anno (risultante dalla registrazione negli elenchi) costituisce un elemento indispensabile per l'erogazione delle prestazioni previdenziali spettanti ai lavoratori agricoli. Come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare in una non recente sentenza, l'iscrizione negli elenchi nominativi, che consiste "in un atto di certazione inteso a qualificare, in relazione ad una effettiva attività lavorativa ... ed in presenza di specifici requisiti, una situazione giuridica obiettiva ... è il presupposto necessario per l'istituzione tra le parti (lavoratori agricoli ed ente gestore delle assicurazioni sociali obbligatorie) del rapporto giuridico previdenziale" (Cass. Sez. Un. 11 novembre 1983 n. 6688). D'altra parte, come è stato osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 87 del 10 giugno 1970 (v. successivamente, anche Cass. 18 febbraio 1985 n. 1408), al contrario di quanto avviene nel comparto industriale, nel quale i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori dipendenti sono relativamente continui e stabili, nel settore agricolo l'attività, oltre ad essere discontinua, può essere collegata a una pluralità di rapporti con datori di lavoro diversi, "in modo tale da rendere difficile la costituzione della posizione assicurativa di ogni singolo lavoratore". Pertanto, poiché ai fini previdenziali la qualifica di bracciante agricolo è subordinata all'esercizio nell'anno di un periodo minimo di attività di lavoro subordinato, certificata dall'iscrizione negli elenchi nominativi, gli interessati possono esperire gli opportuni rimedi, anche in sede giurisdizionale, per contestare tanto l'iscrizione e, soprattutto, la mancata iscrizione (Cass. Sez. Un. 11 novembre 1983 n. 6688, sopra indicata) quanto "l'assegnazione di un numero di giornate di lavoro superiore o inferiore a quelle effettivamente prestate" (art. 17, comma 1, del D.L. n. 7 del 1970, convertito nella legge n. 83 del 1970, sopra indicato).

      II. Per quanto concerne l'indennità economica di malattia va fatto riferimento alla originaria disciplina contenuta nel D.Lgs. lgt. 9 aprile 1946 n. 212, con il quale è stato previsto che, per i lavoratori agricoli e previa indicazione della categoria di appartenenza, il diritto alle prestazioni "sorge con la iscrizione negli elenchi nominativi di cui al R.D. 24 settembre 1940 n. 1949 e decorre dalla data di validità degli elenchi medesimi" (art. 4, commi primo e secondo); e, inoltre, che debbono considerarsi come appartenenti alla categoria dei braccianti "solo quei lavoratori che dedicano ai lavori agricoli più di 51 giornate all'anno" (art. 3, quarto comma).

      Avuto riguardo a queste disposizioni, il diritto all'iscrizione negli elenchi può essere (tuttora, come si dirà fra breve) rivendicato non già da qualsiasi lavoratore, bensì da coloro che abbiano svolto nell'anno un'attività di lavoro per il numero di giorni previsto dalla legge.

      Le norme appena indicate debbono ritenersi sostanzialmente ancora in vigore, essendo state espressamente richiamate, direttamente o indirettamente, dalle successive disposizioni che hanno regolato la materia e, in particolare, dall'art. 5, sesto comma, D.L. 12 settembre 1983 n. 463, convertito in L. 11 novembre 1983 n. 638, con il quale è stato disposto che i lavoratori agricoli a tempo determinato hanno diritto alle prestazioni economiche di malattia "a condizione che risultino iscritti nei predetti elenchi nell'anno precedente per almeno 51 giornate" (v., al riguardo, la L. 26 febbraio 1982 n. 54, la quale, in deroga alla precedente disciplina, ha suddiviso la mano d'opera agricola svolgente lavoro subordinato nelle due grandi categorie degli operai a tempo indeterminato e di quelli a tempo determinato: cfr., in proposito, Cass. Sez. Un. 13 gennaio 1997 n. 265).

      Anche dopo l'entrata in vigore di queste ultime disposizioni di legge, quindi, deve ritenersi tuttora operante il suddetto principio secondo cui, in tanto può essere erogata l'indennità economica di malattia agli operai agricoli a tempo determinato iscritti negli elenchi nominativi, in quanto i medesimi abbiano svolto nell'anno un'attività lavorativa che sia pari o superiore alle 51 giornate.

E' da notare che il medesimo criterio del numero minimo delle cinquantuno giornate lavorative nell'anno, previsto per l'indennità di malattia, è stato pure stabilito per l'indennità di maternità dall'art. 15 L. 30 dicembre 1971 n. 1204 (v. anche il successivo art. 13 DPR 25 novembre 1976 n. 1026), mentre per l'indennità di disoccupazione dispone il DPR 3 dicembre 1970 n. 1049, il cui art. 1, secondo comma, ha commisurato la durata della corresponsione dell'indennità dovuta ai lavoratori agricoli "alla differenza tra il numero di 270 ed il numero delle giornate di effettiva occupazione prestate nell'anno, comprese quelle per attività agricole in proprio o coperte da indennità di malattia, infortunio, maternità, e sino ad un massimo di 180 giornate annue" (v. anche l'art. 7 L. 16 febbraio 1977 n. 37 e l'art. 4, decimo comma, L. 11 novembre 1983 n. 638).

      Come deve essere, infine, precisato, a norma del suddetto art. 4 del D.Lgs. lgt. 9 aprile 1946 n. 212, nelle more della formazione degli elenchi gli effetti dell'iscrizione possono essere anticipati con l'esibizione di un certificato d'urgenza, attestante il diritto all'iscrizione negli elenchi dell'anno in corso, con conseguente ammissione alle prestazioni previdenziali dalla data di rilascio del certificato stesso (Cass. 18 gennaio 1996 n. 381; v. Corte cost. 10 novembre 1995 n. 483, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del suddetto art. 4, quarto comma, del D.Lgs. lgt. n. 212 del 1946, nella parte in cui prevede che l'ammissione alle prestazioni economiche di malattia decorre dalla data del rilascio del certificato anziché dalla data della domanda del medesimo).

III. Nell'interpretazione delle disposizioni di legge indicate nel precedente punto I, attributive, come si è visto, ai lavoratori agricoli a tempo determinato del diritto alle prestazioni previdenziali sulla base della iscrizione negli elenchi nominativi per un numero minimo di giornate nell'anno, la giurisprudenza di legittimità si era attestata su due convergenti indirizzi (con, all'interno, alcuni punti di contrasto).

      Era stato, in primo luogo, costantemente affermato che i provvedimenti di iscrizione o di cancellazione dagli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli sono atti amministrativi - "diretti al riscontro, senza margine di discrezionalità che non sia meramente tecnica, dei presupposti di legge per il conseguimento delle prestazioni assicurative" - che il giudice ordinario può sindacare incidenter tantum e disapplicare ove non conformi a legge (cfr., per tutte, Cass. 30 gennaio 1987 n. 910 e Cass. 16 luglio 1992 n. 8626). Ed era stato aggiunto, sul rilievo che i singoli lavoratori possono adire il giudice civile per contestare la loro mancata iscrizione negli elenchi in questione (v. quanto è stato detto sopra con il richiamo fatto a Cass. Sez. Un. 11 novembre 1983 n. 6688), che il presupposto indispensabile per ottenere l'iscrizione eventualmente negata è costituito dallo svolgimento di una attività lavorativa per almeno cinquantuno giornate nell'anno di riferimento, la cui prova, unitamente a tutti gli altri requisiti previsti dalla legge, deve essere fornita dall'interessato (cfr., fra le varie sentenze, Cass. 17 giugno 1992 n. 7429 e Cass. 21 agosto 1997 n. 7837; v. pure Cass. 4 gennaio 1995 n. 70, secondo cui colui che invoca lo svolgimento di una attività lavorativa, per il numero minimo delle giornate necessario per l'iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli, alle dipendenze di un soggetto a lui legato da un rapporto di affinità, deve fornire la prova idonea a vincere la presunzione di gratuità che deriva dall'esercizio di prestazioni lavorative eseguite, di solito affectionis causa, a favore di persone legate da vincoli di parentela o di coniugio o di affinità).

In secondo luogo, con specifico riferimento alle controversie aventi per oggetto la richiesta di prestazioni economiche formulata contro l'INPS, era stato sostenuto che, sebbene l'iscrizione dei lavoratori agricoli negli elenchi nominativi abbia efficacia costitutiva dello status di assicurato con diritto alla conseguente tutela da parte dell'ente gestore delle assicurazioni sociali (con tale locuzione intendendosi affermare che l'iscrizione è condizione indispensabile per l'erogazione delle prestazioni economiche; ma v. Cass. 11 novembre 1986 n. 6617, secondo cui il lavoratore agricolo che agisce in giudizio per ottenere la pensione di invalidità ha l'onere di dimostrare, in base alla regola generale posta dall'art. 2697, primo comma, c.c., oltre al requisito contributivo e alla riduzione della capacità, anche il requisito assicurativo, la cui prova non può dirsi soddisfatta dalla mera produzione del certificato di iscrizione negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli), tuttavia l'ente può rifiutare il trattamento assicurativo ove risulti che la domanda non sia fondata sull'effettivo esercizio dell'attività lavorativa, dal momento che, in ordine ai provvedimenti di iscrizione negli elenchi, valgono i principi stabiliti dalla L. 20 marzo 1865 n. 2248 all. E, con conseguente possibilità per il giudice ordinario non tanto di annullare o modificare l'atto quanto di disapplicarlo ai sensi dell'art. 5 della legge (Cass. 28 novembre 1984 n. 6202). Ed era stato pure asserito che, se è vero che l'iscrizione negli elenchi o la certificazione d'urgenza sostitutiva non attengono alla fattispecie costitutiva del diritto alle prestazioni previdenziali, perché quest'ultimo sorge direttamente dalla legge - che prende in considerazione una situazione di lavoro subordinato - e non dal provvedimento amministrativo di iscrizione (Cass. 14 agosto 1998 n. 8027; v., in precedenza, Cass. 11 novembre 1986 n. 6617, già indicata, secondo cui l'iscrizione o l'equipollente certificazione non sono idonee a realizzare lo scopo probatorio ove non risulti pure dimostrato il minimo di contribuzione nel quinquennio antecedente la domanda), è altrettanto vero che l'iscrizione e l'equivalente certificazione si giustificano con la funzione, specifica degli elenchi nominativi in ordine alla dimostrazione della qualità e quantità di lavoro effettuato, non contrastando con il principio dell'automatismo proprio delle assicurazioni sociali una previsione legislativa che subordini la fruizione delle prestazioni previdenziali al possesso di ulteriori requisiti soggettivi ed oggettivi ed in particolare alla condizione inerente alla data di validità degli elenchi nominativi, anticipabile, quanto alla certificazione sostitutiva, con la presentazione della relativa domanda (Cass. 18 gennaio 1996 n. 381).

      IV. A tali conclusioni - non sempre, come si è visto, del tutto conformi - la giurisprudenza era pervenuta anche in base alle argomentazioni svolte dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 87 del 1970 e n. 483 del 1995, entrambe già indicate, con le quali è stata riconosciuta la legittimità costituzionale del sistema della registrazione dei lavoratori dell'agricoltura, delineato dal legislatore, in considerazione della particolare attività dei suddetti lavoratori, essendo questa, di solito, esercitata presso datori di lavoro diversi nel corso di un medesimo anno (v. quanto si è sopra esposto nel precedente punto I).

Nella prima delle due sentenze dalla Corte costituzionale era stato precisato che "il diritto alle prestazioni sorge in ogni caso dalla situazione di lavoratore subordinato, mentre gli elenchi assolvono la funzione specifica di fornire la prova della sussistenza di tale diritto", aggiungendosi che, fermo restando il principio dell'automatismo dell'assicurazione contro le malattie, sancito dall'art. 11, terzo comma, della L. 11 gennaio 1943 n. 138, a favore di tutti i lavoratori, ivi compresi quelli operanti nel settore dell'agricoltura - giacché "anche per costoro si prescinde dalla costituzione della posizione assicurativa e dal pagamento effettivo i dei contributi dovuti dal datore di lavoro" - tuttavia al concetto di automatismo "è estraneo il principio che le prestazioni siano dovute in conseguenza del solo rapporto di lavoro e non possano invece essere subordinate all'esistenza di altre condizioni, come quella relativa alla validità degli elenchi", che il lavoratore può anticipare richiedendo il certificato di cui all'art. 4 del D.Lgs. lgt. n. 212 del 1946.

      Nella seconda sentenza, poi, era stato asserito che non è esatto ritenere che l'iscrizione negli elenchi nominativi o il certificato provvisorio sostitutivo abbiano una mera funzione certificatoria del fatto costitutivo della qualità di bracciante agricolo (basata sull'esercizio di attività lavorativa per almeno cinquantuno giornate nell'anno) cui è subordinato il diritto alle prestazioni economiche di malattia erogate dall'INPS, dal momento che i fatti o gli atti costitutivi di uno status o di una qualità delle persone (come quella di bracciante agricolo) "non attingono rilevanza giuridica se non per il tramite di un atto formale, iscritto in pubblici registri, albi, elenchi, ecc., che li rende legalmente certi", dato che l'atto di certificazione pubblica ha la funzione, di diritto sostanziale, di qualificazione giuridica, "che determina il momento in cui la fattispecie dello status o della qualità personale acquista efficacia, almeno in ordine agli effetti nei confronti dei terzi", solendosi in tal senso asserire, "non del tutto propriamente, che l'atto attributivo di certezza legale, del quale qui si discute, ha valore costitutivo".

V. In tempi più recenti, come sviluppo di alcuni principi in precedenza enunciati, dalla giurisprudenza di legittimità è stato affermato che l'erogazione delle prestazioni previdenziali non può avvenire indipendentemente dalla costituzione del rapporto assicurativo, che a sua volta è automaticamente correlato all'esistenza di un valido rapporto di lavoro al cui accertamento il giudice deve procedere indipendentemente dalle risultanze della fase amministrativa (Cass. 14 agosto 1998 n. 8027). E, in applicazione di questo principio, è stato pure precisato che, avendo l'atto amministrativo di iscrizione negli elenchi nominativi solamente una funzione di certificazione pubblica, a tale iscrizione non può essere attribuito rilievo decisivo riguardo alla prova della sussistenza del rapporto di lavoro, sicché, a fronte della eccezione dell'INPS relativa alla titolarità del rapporto fatto valere in giudizio - alla quale deve assegnarsi la natura "di eccezione in senso improprio, o per meglio dire di mera difesa, diretta a contrastare la fondatezza della domanda e che, come tale, può essere proposta per la prima volta anche in appello" (Cass. 19 marzo 1999 n. 2543; conf., in precedenza, Cass. 11 novembre 1986 n. 6617) - resta a carico di chi agisce per ottenere la prestazione previdenziale l'onere di provare l'esistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge (Cass. 30 luglio 1999 n. 831).

VI. Sempre in tempi recenti, peraltro, la Sezione Lavoro della Corte, con due distinte sentenze (Cass. 16 maggio 1998 n. 4936 e Cass. 24 giugno 1999 n. 6491), è pervenuta a risultati (parzialmente) diversi; e ciò ha determinato il contrasto che ha dato luogo all'intervento di queste Sezioni Unite.

Nelle due sentenze è stato affermato che la prova dell'esistenza del rapporto di lavoro non deve essere fornita dal lavoratore che pretende la prestazione previdenziale, dato che l'iscrizione negli elenchi nominativi o l'apposito certificato sostitutivo, essendo atti assistiti da una presunzione di legittimità in quanto provenienti da una pubblica amministrazione, integrano il titolo per la costituzione del rapporto giuridico di previdenza sociale; con la conseguenza che, se è vero che l'INPS può far valere, ai fini della sua disapplicazione, l'illegittimità dell'atto relativo all'iscrizione del lavoratore nei sopra indicati elenchi, è altrettanto vero che l'Istituto assicuratore ha l'onere di provare o la cancellazione del lavoratore dagli elenchi "o che, sulla base di accertamenti ispettivi, la prestazione lavorativa denunciata era in realtà inesistente".

      Nella prima delle due sentenze è stata richiamata, a conforto dell'interpretazione data alle norme di legge che regolano la materia, la precedente sentenza n. 1906 del 25 febbraio 1994, sempre della Sezione Lavoro della Corte, nella quale era stato sostenuto che il diritto alle prestazioni previdenziali per i lavoratori agricoli sorge con l'iscrizione negli elenchi nominativi ovvero per effetto del certificato sostitutivo, l'una e l'altro attestanti la qualifica (in base alla quale il lavoratore ha diritto all'iscrizione medesima). Va, peraltro, rilevato che tale richiamo non può essere ritenuto del tutto pertinente, dato che nella sentenza da ultimo indicata non era stata affrontata la questione relativa alla ripartizione dell'onere della prova nel giudizio promosso contro l'ente previdenziale, essendo stato solamente sottolineato che l'iscrizione negli elenchi (o la certificazione d'urgenza sostitutiva) costituiscono il necessario presupposto per far valere il diritto all'indennità di maternità nei confronti dell'ente medesimo (non era stato, infatti, asserito che il suddetto presupposto integrasse l'unico requisito, da solo sufficiente, anche al di là della comprovata inesistenza del rapporto di lavoro).

      Come è opportuno, per inciso, rilevare, ai fini che qui interessano non può essere fatto riferimento alle argomentazioni svolte nella sentenza n. 6516 del 17 giugno 1991, emessa dalla Terza Sezione civile della Corte - nella quale, come risulta dal principio di diritto che ne è stato ricavato dall'Ufficio del massimario di questa Corte, è stato precisato che gli elenchi formati dallo SCAU integrano veri e propri accertamenti costitutivi dello status di lavoratore agricolo ed hanno, quindi, formale natura di atti amministrativi con effetti costitutivi, assistiti da una presunzione di legittimità facente fede fino a querela di falso - dal momento che la pronuncia è stata resa in un processo in cui si discuteva della qualità di coltivatore diretto di una delle parti, questione, codesta, che esula dal presente giudizio.

      VII. Come si sostiene in dottrina, il rapporto giuridico assicurativo nei confronti dell'ente previdenziale sorge come diretta conseguenza di una attività di lavoro, subordinata o autonoma, svolta da un determinato soggetto: l'attività lavorativa, quindi, costituisce il presupposto (o l'elemento) essenziale per la nascita del rapporto.

      Quando ricorrono tutti questi presupposti e, inoltre, nel momento in cui si verifica l'evento protetto, l'ente è obbligato ad erogare la prestazione prevista dalla legge. Il che significa che l'obbligo dell'assicuratore, al verificarsi dell'evento protetto, è condizionato dall'esistenza o dell'unico presupposto - lo svolgimento di un'attività di lavoro, autonoma o, subordinata - o di tutti i presupposti previsti dalla legge, il primo dei quali, la prestazione lavorativa, rimane l'elemento essenziale per il sorgere della complessa fattispecie.

      Inoltre, per ripetere quanto dalla Corte costituzionale è stato affermato nella sentenza n. 87 del 1970 (v. quanto è stato esposto nel precedente punto IV), il fatto che la legge talvolta pretenda l'esistenza di altri presupposti, oltre a quello essenziale, non implica la menomazione del principio dell'automaticità delle prestazioni - il quale, attenendo alle assicurazioni sociali, deve essere inteso nel senso che, quando esiste un'attività lavorativa, l'ente assicuratore è tenuto all'adempimento delle prestazioni previdenziali anche in mancanza dell'avvenuto versamento dei contributi (perché ciò che conta è l'esistenza del relativo obbligo, ancorché non ancora adempiuto, per il periodo, di tempo considerato) - dato che, qualora dalla legge sia prevista, per il sorgere del rapporto assicurativo, una fattispecie complessa, al principio in questione deve farsi riferimento ogni qualvolta vengano in essere tutti gli elementi che compongono la fattispecie e non solo quello costituito dallo svolgimento dell'attività lavorativa.

VIII. Tutti questi principi debbono essere applicati alla materia che forma oggetto del presente giudizio.

Va, al riguardo, richiamato quanto è stato detto nel precedente punto I, quando è stato chiarito che, in base al tenore letterale delle norme di cui agli artt. 3 e 4 D.Lgs. lgt. 9 aprile 1946 n. 212 (confermate dalle disposizioni di legge successivamente emanate) e alla relativa ratio - fondata sulla peculiarità che contraddistingue il tipo di attività lavorativa svolta dai lavoratori a tempo determinato nel settore dell'agricoltura, il più delle volte esercitata, nell'anno, alle dipendenze di una pluralità di datori di lavoro - il diritto alle prestazioni previdenziali sorge per effetto dello svolgimento di tale attività per un numero minimo di giornate nell'anno, certificata dall'iscrizione negli elenchi nominativi di cui al R.D. 24 settembre 1940 n. 1949. E si deve, quindi, affermare che le prestazioni non possono essere erogate qualora l'interessato non possa subito dimostrare l'esistenza della condizione relativa alla iscrizione negli elenchi (o al possesso dell'equipollente certificato), in tale limitato senso, e cioè qualificando l'iscrizione come una vera e propria condizione per l'erogazione delle prestazioni economiche, potendosi asserire che la registrazione ha efficacia costitutiva dello status di assicurato, con diritto alla relativa tutela.

      Per altro verso, poiché i dati di fatto emergenti dai registri o dal certificato sostitutivo costituiscono l'oggetto di un accertamento effettuato da organi della pubblica amministrazione, va fatto riferimento, vertendosi in tema di efficacia di atti pubblici (artt. 2699 e 2700 c.c.), alla regola secondo cui l'atto fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha redatto, degli atti compiuti dal medesimo e di quelli avvenuti in sua presenza, mentre, per quanto concerne le circostanze risultanti da dichiarazioni di terzi, le stesse sono dotate di un grado di attendibilità che può essere inficiato da qualsiasi prova contraria (cfr., fra le tante sentenze, per quanto concerne l'atto pubblico in generale, Cass. 23 gennaio 1998 n. 672 e Cass. 20 novembre 1996 n. 10219 e, quanto ai verbali redatti dalla polizia giudiziaria, Cass. 20 maggio 1999 n. 4915). Pertanto, pur non essendo corretto affermare che gli atti in questione, in quanto provenienti da organi della pubblica amministrazione, sono assistiti da una presunzione di legittimità - concetto, codesto, ormai giustamente ripudiato dalla dottrina, giacché negli atti di che trattasi manca qualsiasi valore probatorio precostituito - è tuttavia evidente che alle circostanze di fatto derivanti da dichiarazioni di terzi non può essere attribuito il valore di un vero e proprio accertamento che non sia passibile di prova contraria.

      IX. Da questi rilievi debbono essere tratti, sul piano processuale, i seguenti corollari.

      IX. 1. Va tenuta presente la regola generale posta dall'art. 2697, primo comma, c.p.c., secondo cui l'onere della prova del fatto costitutivo del diritto grava su colui che agisce in giudizio per far valere una determinata pretesa nei confronti della controparte. Pertanto, il lavoratore, che domanda l'erogazione della prestazione previdenziale, deve dimostrare di avere esercitato un'attività di lavoro subordinato per un numero minimo di giornate nell'anno di riferimento e la prova deve essere sempre fornita o mediante il documento che dimostra l'iscrizione negli elenchi nominativi o mediante il certificato d'urgenza sostitutivo (senza che, com'è ovvio, possa essere impedito alla parte di dedurre ulteriori mezzi per fondare il convincimento del giudice). L'iscrizione negli elenchi o il certificato, infatti, come è stato sopra chiarito in base ai rilievi esposti dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 483 del 1995 (v. il precedente punto IV), hanno la funzione di rendere certa la qualità di lavoratore agricolo, conferendole efficacia nei confronti dei terzi.

      IX. 2. Tanto il documento che dimostra l'iscrizione negli elenchi nominativi quanto il certificato d'urgenza sostitutivo non integrano, peraltro, una prova legale - salvo che per quanto concerne la provenienza del documento stesso e i fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti - costituendo gli stessi, alla stregua di qualsiasi altra attestazione proveniente dalla pubblica amministrazione, una risultanza processuale che deve essere liberamente valutata dal .giudice (cfr., per quanto riguarda le iscrizioni delle ditte nelle Camere di commercio e i relativi certificati, Cass. 5 febbraio 1977 n. 502, Cass. 27 gennaio 1986 n. 524 e Cass. 11 giugno 1998 n. 5830). Ne deriva che l'ente previdenziale, quando eccepisce l'inesistenza o dell'attività lavorativa o del vincolo della subordinazione - rectius, quando contesta l'esistenza di tali elementi, non integrando la contestazione una eccezione vera e propria - ha a sua volta l'onere di fornire, con qualsiasi mezzo, la suddetta prova contraria, cui l'interessato può replicare mediante offerta, a sua volta, di altri mezzi di prova (che si rivelano indispensabili qualora la contestazione verta sulla non esistente presunzione di onerosità del rapporto determinata da un vincolo di parentela o di coniugio o di affinità con il datore di lavoro); con l'ulteriore conseguenza che, se la prova contraria viene data mediante la produzione in giudizio di verbali ispettivi - i quali, a loro volta, essendo attestazioni di fatti provenienti da organi della pubblica amministrazione, sono soggetti al medesimo regime probatorio sopra illustrato per l'iscrizione negli elenchi (cfr. Cass. 18 giugno 1998 n. 6110 e Cass. Sez. Un. 3 febbraio 1996 n. 916) - l'esistenza della complessa fattispecie deve essere accertata mediante la comparazione e il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi acquisiti alla causa - .

      IX. 3. In conclusione, come è opportuno precisare, la formazione degli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli subordinati è il risultato di un complesso procedimento amministrativo, che è diretto all'accertamento dei soggetti aventi diritto alla tutela previdenziale e che si completa con la pubblicazione degli elenchi stessi al fine della loro rilevanza esterna: ciò, però, non impedisce al giudice del merito, a fronte della contestazione formulata in giudizio dall'ente convenuto e della prova offerta dal medesimo, di verificare, previo esercizio dei suoi poteri cognitori, se sussistono tutte le condizioni di legge per affermare il diritto dell'interessato alla prestazione previdenziale.

      X. Nel caso in esame, tenuto conto di tutte le considerazioni svolte, non può essere sindacata la motivazione che sorregge la decisione impugnata sul punto in cui è stato affermato - con una locuzione, peraltro, non corretta sotto il profilo strettamente giuridico - che l'iscrizione negli elenchi nominativi integra una presunzione di legittimità che può essere superata dall'ente previdenziale, perché con tale espressione il giudice dì appello ha inteso (legittimamente) asserire, che da parte del convenuto può essere offerta la prova contraria dell'esistenza del rapporto di lavoro risultante dagli elenchi.

Fondate, viceversa, risultano le censure formulate dall'Istituto ricorrente in ordine al vizio di motivazione, parimenti dedotto, dato che il giudice di appello, nonostante la contestazione formulata dal medesimo Istituto fin dal momento della sua costituzione nel giudizio di primo grado e suffragata, come ora si sostiene, dalla produzione di un verbale redatto dagli ispettori del lavoro, ha affermato che era "inammissibile il rilievo circa l'insussistenza di un valido rapporto di lavoro, in quanto del tutto sfornito di prova, attesa l'assenza in atti di idonei verbali ispettivi", aggiungendo che l'appellante "non aveva portato nessun elemento di prova idoneo a vincere la suddetta presunzione dì legittimità".

      Il ricorso deve essere, quindi, accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio della causa ad un altro giudice, che si designa nella Corte di appello di Catanzaro e che dovrà uniformarsi al seguente principio di diritto:

      "Con riferimento ai lavoratori subordinati a tempo determinato nel settore dell'agricoltura il diritto dei medesimi alle prestazioni previdenziali, al momento del verificarsi dell'evento protetto, è condizionato, sul piano sostanziale, dall'esistenza di una complessa fattispecie, che è costituita dallo svolgimento di una attività di lavoro subordinato a titolo oneroso per un numero minimo di giornate in ciascun anno di riferimento e che deve risultare dall'iscrizione del lavoratore negli elenchi nominativi di cui al R.D. 24 settembre 1940 n. 1949 e successive modificazioni e integrazioni o dal possesso del c.d. Certificato sostitutivo (il quale, a norma dell'art. 4 D.Lgs. lgt. 9 aprile 1946 n. 212, può essere rilasciato a chi lo richiede nelle more della formazione degli elenchi). Pertanto, sul piano processuale, colui che agisce in giudizio per ottenere le suddette prestazioni ha l'onere di provare, mediante l'esibizione di un documento che accerti la suddetta iscrizione negli elenchi nominativi o il possesso del certificato sostitutivo (ed eventualmente, in aggiunta, mediante altri mezzi istruttori), gli elementi essenziali della complessa fattispecie dedotta in giudizio, fermo restando che il giudice del merito, a fronte della prova contraria eventualmente fornita dall'ente previdenziale (anche mediante la produzione in giudizio di verbali ispettivi), non può limitarsi a decidere la causa in base al semplice riscontro dell'esistenza dell'iscrizione - giacché quest'ultima, alla pari dei suddetti verbali ispettivi e alla stregua di ogni altra attività di indagine compiuta dalla pubblica amministrazione, ha efficacia di prova fino a querela di falso soltanto della provenienza dell'atto dal pubblico funzionario e della veridicità degli accertamenti compiuti, ma non del contenuto di tali accertamenti qualora questi siano basati su dichiarazioni rese da terzi o, men che meno, dall'interessato - sicché lo stesso giudice deve pervenire alla decisione della controversia mediante la comparazione e il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi probatori acquisiti alla causa".

      Il giudice di rinvio dovrà provvedere anche sulle spese della presente fase del giudizio.

(Omissis)